Virus, le nuove minacce.
L'influenza dei polli, la sars, ma non solo: l'elenco dei nemici biologici è lungo e il pericolo di un'epidemia mondiale non è mai stato, dicono gli esperti, così vicino.
A riaccendere l'allarme è bastata, negli ultimi giorni, la notizia del primo verosimile caso di trasmissione da uomo a uomo del virus dei polli, noto con la sigla H5N1, verificatosi in Thailandia: una donna di 26 anni è morta per aver contratto la malattia probabilmente dalla figlia che aveva accudito in ospedale (deceduta anch'essa). Se così fosse, sarebbe un segnale preoccupante, che si aggiunge alla notizia di una terza vittima dell'influenza aviaria: una bambina thailandese di 9 anni. Secondo gli esperti, dopo l'ultima pandemia di influenza cinese del 1968, il mondo non è mai stato così vicino a una nuova minaccia globale. E questo a soli due anni dall'esordio della sars.
Ma il rischio non arriva solo dal virus dei polli o dalla polmonite atipica. In tutto il pianeta ci sono focolai di infezioni emergenti, nemici biologici pronti a conquistare nuovi spazi. Negli Stati Uniti i casi di encefalite da West Nile virus hanno provocato, soltanto nel 2003, 8.700 contagi e centinaia di vittime. Sempre gli Usa sono minacciati dagli Hantavirus, che causano sindromi polmonari. Encefaliti da zecche colpiscono l'Europa centro-settentrionale, mentre in Malaysia, nell'estate 2003, il virus Nipah, che infetta i pipistrelli, è passato all'uomo facendo 110 morti. Il pericolo sempre più elevato di virus emergenti, che compaiono ex novo nella specie umana, ha riunito a Marburg, Germania, epidemiologi da tutto il mondo per il convegno «Emerging infections and new vaccinations». Alla fine del Novecento, hanno ricordato gli esperti, il mondo industrializzato si era compiaciuto di avere debellato le malattie infettive. Già negli ultimi due decenni del secolo, però, con l'arrivo di un'aggressiva pattuglia di virus (dall'hiv all'epatite C) e la recrudescenza di vecchie patologie (dalla malaria alla tbc) ciò si è dimostrato illusorio.
«Siamo biologicamente vulnerabili agli agenti infettivi» ricorda lo storico della medicina Gilberto Corbellini. Virus, batteri e protozoi tornano alla carica grazie a un insieme di circostanze: popolazione mondiale in crescita, maggiore mobilità umana (migrazioni, viaggi), sviluppo di megalopoli, di tecnologie mediche (trapianti e trasfusioni), cambiamenti nelle abitudini sessuali. «Le epidemie sono la conseguenza di dinamiche biologiche-evolutive causate dall'uomo». Anche il famoso storico della medicina Mirko D. Grmek era convinto che, più che i mutamenti del genoma dei microbi, sono i cambiamenti umani (agricoltura, zootecnia, produzione alimentare intensiva) a favorire la diffusione degli agenti infettivi. Non solo. Secondo l'ex consulente dell'Oms Tony McMichael, trasformazioni del clima e degli habitat portano a contatto uomini e animali, serbatoi di agenti patogeni: l'aumentato consumo di carne selvatica in Asia (come lo zibetto) ha facilitato l'esplosione della sars; il riscaldamento globale ha contribuito nei tropici alla diffusione della dengue (malattia emorragica trasmessa dalle zanzare); e fenomeni come El Niño hanno dato origine a una proliferazione di roditori, che trasmettono l'Hantavirus.
Emblematico è il caso delle encefaliti virali: «Sono causate» chiarisce Franz X. Heinz dell'Università di Vienna «da Flavivirus, con le caratteristiche dei virus emergenti. Sono endemiche in molte regioni europee, dall'Austria alla Norvegia, diffuse da zanzare o zecche». Analoga la genesi dell'encefalite da virus del West Nile (trasportato da uccelli e trasmesso dalla zanzara), apparsa a New York nel 1999 e da allora diventata un problema di salute pubblica. «Assai simile» aggiunge Heinz «è la storia del virus Usutu, di recente introdotto in Austria dall'Africa, forse attraverso uccelli migratori. Finora ha causato la morte di uccelli domestici, ma potrebbe rivelarsi patogeno per l'uomo». Come fare per non essere sopraffatti da questi formidabili avversari? Mentre classiche misure di contenimento come la quarantena e le restrizioni ai viaggiatori sono riuscite a circoscrivere l'epidemia di sars, le stesse risorse sarebbero insufficienti per una pandemia influenzale: «Ho sentito alcuni sostenere» riferisce l'epidemiologo Roy Anderson «che se ci siamo riusciti una volta ce la faremo anche la prossima. Ma è un falso senso di sicurezza».
Tenere sotto controllo la sars è stato possibile, dice Anderson, perché il picco dell'infettività si manifesta da 7 a 10 giorni dopo i primi sintomi clinici. Nel caso di un virus influenzale «cattivo», il discorso sarebbe diverso: «Il punto debole sono le grandi città, con collegamenti internazionali intensi e limitate possibilità di isolamento. Per Gustav Nossal, consulente Oms, quello di Anderson è un «pessimismo realistico». La parola d'ordine è: tenersi pronti all'inaspettabile. Quindi, in attesa del «Big one pandemico», accumulare scorte di farmaci antivirali (l'unico che potrebbe funzionare è l'oseltamivir) e potenziare la capacità di produrre vaccini. «Oggi ci sono le tecnologie adeguate per mettere a punto un vaccino in tempi brevi» dice Rino Rappuoli, direttore della ricerca della multinazionale Chiron. «Abbiamo già i lotti per l'H5N1, preparati in collaborazione con i National institutes of health e i Centers for disease control di Atlanta».
Per preparare nuovi vaccini si punta in particolare sulle più avanzate metodiche genomiche e postgenomiche. «Ma il mercato non ha incentivato altre industrie a investire nel settore» commenta Klaus Stöhr, esperto dell'Oms. «La produzione di vaccini comporta costi rilevanti che non potrebbero essere recuperati se, per esempio, la temuta pandemia influenzale tardasse ad arrivare». E i metodi standard, che prevedono la crescita del virus in uova embrionate di pollo, non funzionano con l'H5N1: quest'ultimo è così letale che ammazza gli embrioni. Traendo indicazioni dal passato, l'immunologo Anthony Fauci, direttore del National institute of allergy and infectious diseases di Bethesda, Washington, prevede che una pandemia influenzale di origine aviaria possa iniziare con un focolaio limitato (ancora il Sud-Est asiatico?) e che l'eventuale diffusione potrebbe lasciare forse tempo sufficiente ai produttori di farmaci e vaccini. Forse. Di certo c'è il monito proveniente dalla sars: un focolaio epidemico che scoppia in un'area circoscritta del pianeta, in tempi in cui un virus può salire a bordo di un aereo su un vettore umano e sbarcare dopo poche ore in un'altra parte del globo. Diventando un serio problema per tutto il mondo.
NEMICO NUMERO UNO: L'H5N1
Il virus dell'influenza aviaria sta diventando più pericoloso
Sarà l'H5N1, il virus dell'influenza dei polli vietnamiti e thailandesi, che finora ha provocato una trentina di morti, la causa della grande pandemia influenzale paventata e attesa dagli esperti? Nessuno può dirlo. È un rischio che finora si può ragionevolmente temere, visto che da quando il ceppo virale H5N1 ha fatto la sua apparizione, alla fine del 2003, in numerosi allevamenti del Sud-Est asiatico, gli eventi hanno seguito un percorso purtroppo prevedibile.
Prima la dimostrazione di un passaggio diretto dagli uccelli all'uomo, poi la scoperta dell'infezione in gatti domestici e maiali: animali considerati «recipienti di mescolamento» del dna virale di origine aviaria e umana, da cui possono scaturire nuovi virus letali per l'uomo; si è accertato inoltre che l'H5N1 è in grado di infettare le tigri degli zoo. Infine, il sospetto di un primo probabile caso di trasmissione da uomo a uomo del virus. Per fortuna, questo non significa che un'epidemia globale sia ormai inevitabile: «Anche se il problema non è più il se ma il quando, l'esordio di una pandemia è influenzato da eventi non prevedibili» dice l'epidemiologo inglese Roy Anderson. Aggiunge che sarebbe da irresponsabili non prepararsi al peggio. E i governi dovrebbero elaborare tutti i possibili scenari per poter programmare adeguate strategie di contenimento. «Ma chi lo sta facendo davvero?» si chiede.
domenica 10 ottobre 2004
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