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Genova, non era «pesto»indagate otto industrie.

FRODI Nel mirino Star Barilla e Nestlè.
di Francesca Forleo - GENOVA «Il pesto di Genova non avrà mai più lo stesso significato». La battuta di Beppe Grillo sul G8 del 2001, torna di attualità oggi. Oggi sui tavoli della procura di Genova c'è un fascicolo che chiama in causa otto aziende produttrici di pesto in scatola a livello industriale. Tra queste, la multinazionale Nestlè-Buitoni, Barilla e Star Alimentare, tutte accusate dai carabinieri del Nas di «frode in commercio» e «vendita di prodotti alimentari con segni mendaci» per aver immesso sul mercato un prodotto che non ha niente a che fare con il pesto alla genovese. La ricetta originale del pesto, infatti, riportata dai Nas nella denuncia (nonché depositata presso la Camera di Commercio del capoluogo ligure) è tassativa tanto nella prescrizione degli strumenti con cui preparare la deliziosa salsa al basilico (guai a schiacciare le foglie e i pinoli con qualcosa che non sia un pestello di legno in un contenitore che non sia un mortaio di marmo) quanto ovviamente nelle definizione degli ingredienti: basilico, olio extravergine d' oliva, formaggio (pecorino o parmigiano) sale grosso, pinoli e aglio.Ma sulle confezioni di pesto esaminate nel corso delle indagini dai carabinieri del Nas, i militari hanno trovato fra gli ingredienti indicati nelle etichette anche amido di mais, siero di latte, sciroppo di glucosio. Da qui prende le mosse la denuncia del Nas nei confronti dei vertici e dei responsabili legali delle otto società: 4 della Nestlè Italia di Milano, due di «Casa Buitoni», otto della Star Alimentare di Agrate Brianza, due della «Barilla Alimentare» di Parma, uno della «Monti di Mont» del Cuneese, uno della «Giesse Gastronomia» di Fossano (Cuneo), due della «Crema Lombardi» di Filettole (Pisa), uno della «Pamfood» di Savona e uno della «Golden Fresh» di Ceranesi, nell' entroterra di Genova.Il procuratore aggiunto Mario Morisani, al quale è giunta la denuncia poi assegnata al piemme Giovanni Arena, ha spiegato che il reato ipotizzabile è il 517 del codice penale e cioè la vendita di prodotti industriali con descrizioni mendaci. «Ma per il momento - dice Morisani - non ci sono gli estremi per chiedere il sequestro preventivo che si attua in caso di pericolo per l'incolumità pubblica. Pericolo che in questo caso non sussiste».


mercoledì 14 agosto 2002


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