In mare crescono le "zone morte"
Con l'estate, puntuale, nel Golfo del Messico torna la "zona morta". E' da una trentina d'anni ormai che succede. "Zona morta", in un mare, è una zona in cui l'ossigeno disciolto nell'acqua è pochissimo, troppo poco perché sopravvivano plankton, alghe, e ogni altro organismo vivente: un mare inabitabile. Quest'anno la "zona morta" nel Golfo del Messico è stata misurata attorno ai 15 mila chilometri quadrati e come dimensioni non è il record, perché a volte è arrivata a 21 mila; questa volta però è molto più vicina del solito alla terra ferma, si estende dalla foce del Mississippi (Louisiana sud-orientale) fino al Texas 400 chilometri più a ovest. "I pesci e i granchi in grado di nuotare scappano, tutto il resto muore", spiegava il 3 agosto all'agenzia reuter Nancy Rabalais, capo-scienziata di una task force dell'Università della Louisiana per la ricerca su questo fenomeno, chiamato ipoxia (mancanza di ossigeno). E quella del Golfo del Messico è solo una di numerose "zone morte" sparse nei mari del pianeta: un dispaccio del Earth Policy Institute (l'istituto di politica ambientale fondato da Lester Brown) in giugno ne segnalava ben 146, per lo più stagionali ma alcune ormai perenni. Dagli anni `60, il numero di zone morte marine è raddoppiato a ogni decennio.Le cause di questo disastro sono varie: una catena che parte di solito dai fertilizzanti chimici (a base di azoto) usati a man bassa in agricoltura: i reflui azotati vanno a finire nei corsi d'acqua e da qui nel mare. Azoto e fosforo "fertilizzano" il mare, facendo proliferare micro organismi vegetali (fitoplankton). Questi prima si espandono, poi muoiono e vanno a depositarsi sui fondali, dove sono "digeriti" da altri microorganismi: ed è questo processo che consuma ossigeno. Così il mare poco a poco muore, asfissiato.Gli scarichi dell'agricoltura intensiva sono dunque la prima causa, ma ce ne sono altre: i depositi di particelle di azoto e altre sostanze chimiche derivate dalla combustione di fossili (centrali termiche e industria), o dagli scarichi umani portati dalle fognature. La più grande "zona morta" nota al mondo, quella del Mar Baltico, è dovuta proprio a una combinazione di scarichi agricoli, industriali e umani. Quella dell'Adriatico settentrionale (ricordate le "mucillagini"?) è creata dagli scarichi agricoli e degli allevamenti di maiali dell'intera pianura padana. Gran parte delle "zone morte" sono in acque temperate: la cartina pubblicata dall'Earth Policy Institute le mostra lungo la costa orientale degli Stati uniti, nei mari europei, lungo le coste giapponesi - un fenomeno da paesi ricchi, agricoltura intensiva, al grande uso di fertilizzanti. Zone morte sono comparse ormai anche nel Mar Giallo e nel Golfo di Thailandia.La signora Rabalais diceva alla reuter: quasi nulla viene fatto per fermare l'afflusso di azoto nel Mississippi, dunque la "zona morta" ricomparirà ogni anno. Già perché il Mississippi raccoglie i reflui di un gigantesco bacino, il 41 percento della massa emersa statunitense - anche se l'azoto e il fosforo che porta vengono tutti dalla cosiddetta corn belt, "fascia del granturco", nel midwest meridionale: ogni anno qualcosa come 1,6 milioni di tonnellate di azoto arrivano nel Golfo del Messico portati dal Mississippi, più del triplo della media tra il 1955 e il 1970. In tutto il mondo l'uso di fertilizzanti chimici è aumentato di circa dieci volte negli ultimi cinquant'anni. Allo stesso tempo sono andate declinando le "zone umide" lungo i fiumi e sulle coste - stagni e acquitrini hanno una funzione importante di filtro - e così è diminuita la capacità naturale dei fiumi di "ripulirsi". Gli stati agricoli del midwest hanno perso l'80% delle loro zone umide; la parte bassa del corso del Mississippi ne ha persa la metà. Tutto questo concorre a fare le "zone morte".E però l'ipoxia si può curare. Bisogna diminuire l'inquinamento da azoto e altri elementi "nutrienti", ripristinare le zone umide, restituire agli ecosistemi le loro funzioni. E aspettare, perché il ciclo della vita marina riprenderà lentamente.
TERRATERRA PAOLA DESAI
domenica 29 agosto 2004
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