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Parmalat

«Non ci sono solo i creditori» Per i sindacati al centro vanno messi i lavoratori
PARMALAT Dopo l'autorizzazione ministeriale al Piano Bondi, la vicenda Parmalat non si avvia a una facile conclusione. Oltre al non ancora intervenuto «placet» dei creditori, restano, infatti, nel pettine sindacale nodi rilevanti. Durante il coordinamento delle Rsu del gruppo di Collecchio, svoltosi lunedì a Roma, il problema occupazionale ha reso i commenti tutt'altro che euforici. Dall'assemblea, difatti, è venuto fuori un aut aut al governo: o le risposte ai quesiti delle parti sociali sono repentine o si «avvierà un piano di mobilitazione in accordo con le segreterie nazionali». Sul tavolo le prospettive sono queste: gli occupati diminuiranno quasi della metà - 17 mila invece di 32 mila. I siti produttivi si ridurranno da 132 a 81, i marchi da 130 a 30. La Parmalat sarà presente all'estero solo in 12 paesi rispetto ai 32 precedenti. Le produzioni da forno non rientreranno nel core business: incerta, pertanto, la sorte di due stabilimenti del nord e di due stabilimenti del sud. Poche certezze anche per la Emmegi di Termini Imerese (tra fissi e stagionali gravitano attorno al polo siciliano 150 lavoratori), rispetto alla quale i sindacati hanno denunciato anche l'indifferenza della Regione Sicilia. Con il commissario straordinario Enrico Bondi le parti sociali chiaramente condividono le finalità del piano di ristrutturazione, cioè salvataggio e rilancio dell'azienda. Ma sul modo in cui riempire queste griglie larghissime d'intenti il consenso ha ceduto invece il passo a più di una perplessità. Ai ministri competenti, infatti, è stata chiesta «una svolta nella gestione del confronto sindacale», anche perché i rappresentanti dei lavoratori ritengono che l'ottica privilegiata, nella lettura di questa vicenda, sia stata soprattutto quella dei creditori e non quella dei lavoratori. La parola d'ordine emersa dall'assemblea è stata, infatti, «protezione sociale». Per i siti dislocati all'estero si chiede che il gruppo organizzi una serie di incontri mirati, nei quali coinvolgere i sindacati dei diversi paesi (ad esempio, la Parmalat Brasile occupa 6.500 persone in 8 stabilimenti). In Italia le parti sociali chiedono che al centro sia messa la questione del mantenimento degli occupati. «Rispetto a questi problemi - sostiene Antonio Mattioli, segretario della Flai Cgil di Parma - il governo è stato fin dall'inizio latitante. Per tutti gli stabilimenti che non rientrano nel core business, vogliamo che si attuino delle cessioni guidate. La proposta di conferire ai creditori delle quote di capitale sociale potrebbe, infatti, portare alla creazione di un azionariato diffuso, interessato a vendere per incassare subito degli utili senza interessarsi del destino dei lavoratori». Improrogabile è, secondo Mattioli, sia la convocazione di un tavolo ministeriale permanente di confronto sia la costituzione di un comitato di controllo che «prevenga traumi da cessioni senza garanzie».

GIOVANNA FERRARA
mercoledì 28 luglio 2004


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