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Pianeta Wal-Mart: è la nuova schiavitù?

Il colosso della distribuzione Usa è diventato l'azienda più grande del mondo. Tagliando prezzi e stipendi. Ora è un caso politico
di Enrico Pedemonte

Lo scorso 23 ottobre è stata una giornata tragica per la Wal-Mart, il colosso della distribuzione Usa. Decine di squadre di agenti federali hanno fatto irruzione in 61 ipermercati in 21 Stati americani e circa 250 lavoratori clandestini sono finiti in manette. L'operazione ha portato alla luce vicende che la Wal-Mart, cioè la più grande azienda del mondo, mai avrebbe voluto divulgare. Nel New Jersey, per esempio, nel supermercato di Piscataway, sono stati trovati parecchi lavoratori messicani privi di documenti che hanno confessato di avere lavorato per tre anni 60 ore alla settimana. Erano pagati sei dollari l'ora, senza mai un giorno di vacanza, senza straordinari, senza assicurazione sanitaria, senza contratto. Lavoravano tutte le notti per ripulire i supermercati e sistemare le merci sugli scaffali. I dirigenti della Wal-Mart hanno spiegato che si trattava di lavoratori assunti da società esterne: "Se qualcuno dei nostri ha violato la legge vogliamo sapere chi è, per essere certi che non lavorerà più per la nostra azienda", è stata la risposta ufficiale di Mona Williams, vicepresidente per le comunicazioni. Anche in Oregon, in Minnesota e California, dove l'azienda è stata accusata di non aver pagato gli straordinari a molte centinaia di lavoratori tra il 1995 e il 1999, il commento è stato: "Se qualche manager non ha rispettato le regole sarà sottoposto ad azione disciplinare".

Nella California meridionale 70 mila lavoratori hanno aderito a uno sciopero generale perché la Safeway, la più grande catena di supermercati alimentari a ovest del Mississipi, per difendersi dalla concorrenza della Wal-Mart ha deciso di ridurre l'assistenza sanitaria dei suoi dipendenti. E altre catene di supermarket stanno seguendo la stessa strada, giustificandosi così: o ci si adegua ai metodi della Wal-Mart, o si chiude. Per certi versi si tratta di uno sciopero paradossale: gli Stati Uniti sono l'unico paese del mondo industrializzato dove chi sciopera può essere sostituito da altri assunti a termine. Quindi i lavoratori stanno a casa, ma i negozi continuano a vendere le loro merci. Ma lo sciopero serve comunque a scuotere le coscienze, e a far capire che il "modello Wal-Mart", con la sua corsa spietata a prezzi sempre più bassi, rischia di cambiare in modo radicale la vita di milioni di lavoratori.

Infatti non è più solo una questione californiana. Sono in sciopero anche migliaia di supermercati nel West Virginia, in Kentucky, nell'Indiana, in Arizona e nell'area di Chicago. Persino il settimanale "Business Week", alfiere del liberismo, si chiede in copertina: "Wal-Mart è troppo potente?". I sindacati rispondono di sì: l'azienda è diventata un monopolio ingombrante e bastano pochi numeri per capire perché. Wal-Mart è l'azienda più grande del mondo, ha un milione e 400 mila dipendenti e un fatturato annuo di 245 miliardi di dollari. Ogni settimana 138 milioni di persone entrano in uno dei suoi centri commerciali per fare almeno un acquisto. La ragione di questo successo è semplice: secondo la Ubs Warburg, alla Wal-Mart i prezzi sono in media più bassi del 14 per cento rispetto ai concorrenti. Ma, con un gioco di parole ormai abusato dalla stampa Usa, "prezzi così bassi hanno un prezzo molto alto". I lavoratori Wal-Mart guadagnano un terzo in meno rispetto al salario garantito dagli accordi sindacali. Infatti, poiché all'interno della Wal-Mart i sindacati non esistono, l'azienda non deve tener conto di alcun contratto.

L'amministratore delegato Lee Scott spiega così la filosofia aziendale a "Business Week": "Pensiamo che sia meglio avere a che fare con i nostri dipendenti a livello individuale, senza bisogno di intermediari". D'altra parte, assicura Scott, i dipendenti sono liberi di organizzarsi in sindacato. Ma stranamente non lo fanno. E forse questo spiega perché negli ultimi anni sui tavoli del ministero del Lavoro Usa siano piovute 60 denunce per i comportamenti antisindacali dell'azienda. La Wal-Mart paga i dipendenti, in media, 14 mila dollari, contro i 18 mila dei concorrenti. Se si aggiunge che il governo ha posto la "linea della povertà" a 15.060 dollari per una famiglia con tre persone, e che i lavoratori Wal-Mart devono pagare di tasca propria una quota sempre più alta dell'assicurazione sanitaria, si capisce come la posta in gioco stia diventando drammatica. E si capisce perché, il 14 novembre, il "New York Times" abbia pubblicato un violento editoriale denunciando il pericolo di una "Wal-Martizzazione" dell'America: "Bisogna evitare che centinaia di migliaia di persone che lavorano nei servizi passino dalla middle class alla fascia della povertà". Secondo il "Times" non si tratta solo di un problema di diritti sindacali: Wal-Mart mette a rischio la stessa organizzazione sociale e quindi è un problema che riguarda i consumatori. L'invito ad azioni di boicottaggio nei confronti dell'azienda non è tanto velato.

La Wal-Mart difende la sua filosofia senza incertezze. L'azienda è una macchina da guerra progettata per aumentare incessantemente la produttività e abbassare i prezzi, adeguandosi prima degli altri alle nuove condizioni dei mercati.
Sam Walton, il fondatore della Wal-Mart, alla metà degli anni Ottanta lanciò una grande campagna a favore del made in America. Ora l'azienda è sotto accusa per la politica di prezzi stracciati messa in atto grazie a importazioni crescenti dai paesi in via di sviluppo, specie dall'Oriente. Nel 2002 la Wal-Mart ha importato merci prodotte in Cina per un valore di 12 miliardi di dollari, circa il 10 per cento di tutte le importazioni americane da quel paese. Gli agenti Wal-Mart trattano direttamente con i produttori asiatici alla ricerca dei prezzi più bassi. E negli ultimi anni, stimolando la concorrenza locale, l'azienda è riuscita a ottenere risultati clamorosi.
I jeans targati George, venduti in Gran Bretagna e Germania, negli ultimi due anni sono passati da 27 a 8 dollari. Questo consente all'azienda di contrattare prezzi stracciati anche con i produttori americani, come la Levi's, che è stata obbligata ad accettare condizioni capestro per evitare che le proprie merci fossero escluse dagli scaffali Wal-Mart.

Leggendo una recente ricerca della Nielsen, si scopre che negli Stati Uniti la Wal-Mart ha una quota di mercato del 32 per cento nella vendita di pannolini, del 26 per cento nei dentifrici, del 30 per cento nei prodotti per la cura dei capelli, del 20 per cento nel cibo per animali. Nessun produttore può rischiare di essere escluso da questa rete di vendita. Ogni volta che Wal-Mart decide di entrare in un settore, i concorrenti tremano perché il suo arrivo comporta un'immediata corsa al ribasso di prezzi, stipendi e condizioni di lavoro. Ora il modello Wal-Mart sta diventando un caso politico. La decisione di aprire 40 ipermercati di 12 mila metri quadrati ciascuno nella California meridionale ha fatto scattare la molla della rivolta. I supermercati concorrenti hanno cominciato a tagliare i salari ai dipendenti, chiedendo loro di pagare quote crescenti dell'assicurazione sanitaria. Ma contro la vittoria di questo modello aziendale si sta scatenando il finimondo. Gli attivisti sindacali dicono che il potere di Wal-Mart va ridimensionato. Grazie alle pressioni sui produttori e alle economie di scala praticate l'azienda è in grado ormai di sbaragliare ogni concorrenza e far sparire i supermarket concorrenti. Denny Feingold, dirigente della Los Angeles Alliance For a New Economy, dice: "Bisogna impedire che sia la Wal-Mart a decidere i nostri standard di vita".

Alcune amministrazioni pubbliche sono intenzionate a porre limiti ai nuovi ipermercati. Ma Wal-Mart minaccia di ricorrere a un referendum. Lo ha già fatto nella contea di Contra Costa, in California, dove si voterà il 4 marzo. E in Oregon sta per succedere la stessa cosa. I dirigenti della Wal-Mart usano gli argomenti del neoliberismo: "I nostri prezzi bassi favoriscono i consumatori e hanno un effetto moltiplicatore sull'economia". Si tratta di argomenti controversi che potrebbero diventare uno dei temi centrali della campagna elettorale per le presidenziali. Wal-Mart importa dall'estero il 96 per cento dei prodotti per l'abbigliamento, l'80 per cento dei giocattoli e il 100 per cento dell'elettronica. E i sindacati dicono che per rispettare lo slogan esposto in ogni negozio ("Lavoriamo per diminuire i prezzi ogni giorno") la Wal-Mart esporta centinaia di migliaia di posti di lavoro americani all'estero e ne impoverisce altrettanti all'interno. Sono le delizie della globalizzazione. Ma molti americani cominciano a domandarsi se ne valga la pena.
giovedì 29 gennaio 2004


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