Il radicchio variegato di Lusia
Qualcuno ricorderà una rubrica de "La settimana enigmistica" dal titolo "non
tutti sanno che...", ecco anche in merito all'alimentazione ..."non tutti
sanno che" e non è male informarsi su come l'industrializzazione
dell'agricoltura abbia modificato non solo i metodi produttivi dei prodotti
massali ma anche quella dei prodotti tipici ad alto contenuto di
professionalità, legati alle specificità territoriali. Il radicchio di Lusia
ancora presente sulle nostre tavole, raggiungeva punte di vera eccellenza,
oggi non più anche se mantiene sempre una qualità superiore nel comparto del
radicchio. Vediamo perchè.
(a cura di ALtrAgricoltura Nord Est)
L’inverno freddo è la stagione classica dei radicchi. Quando il paesaggio è
nero per il fango o completamente bianco per la neve, in mezzo alla
campagna veneta s’ergono delle chiazze di intensi, stupendi colori estivi:
le varie tonalità di rosso del treviso, del chioggia e del verona o le
sfumature del bianco-giallo con screziature rosso violacee del castelfranco
e del lusia.
Il radicchio variegato di Lusia si presentava al consumatore come un grumolo
compatto, della forma e dimensione di un uovo di gallina con una corta,
appuntita radice. Le foglie strettamente avvolgenti erano di un giallo
chiaro con puntini e leggere striature violacce. Si mangiava tagliato in
quattro spicchi, compresa la radice, esclusivamente in insalata, leggermente
condito. Un turbinio di sensazioni tattili e gustative si sprigionavano
nella bocca, una persistenza aromatica intensa accompagnava il fortunato
consumatore che solo con questo ortaggio aveva la possibilità di fare un
perfetto equilibrio gustativo con le prime fette del fresco salame.
Era… Quella delizia più pregiata di ogni altro radicchio, quel nostrano
tartufo per tanti ristoratori anche fuori del veneto ormai non c’è più. È
stato ucciso dalla necessità della quantità, dalla modificazione dell’
ambiente e dalla indisponibilità del moderno consumatore a pagare tutto il
lavoro manuale necessario. Il seme veniva fatto da ogni singolo orticoltore
che aveva la sapienza di scegliere e portare a seme le piante con le
migliori caratteristiche estetiche e gustative, seminato in semenzaio a
luglio, trapiantato a radice nuda in agosto veniva accudito con zappa,
annaffiatoio e qualche pizzico di concime fino ad autunno inoltrato. Poi si
lasciava che lavorassero le piogge, l’alternarsi delle brine e magari una
spruzzata di neve che lo proteggeva come un manto dai freddi più intensi.
Con una profonda vangata ogni singolo radicchio veniva delicatamente tolto
dal fango con quanta più radice era possibile (che sia forse per questo che
si chiamano “radici”?) e, sgrossato dalle foglie marcescenti, ripiantato
sulla sabbia presa in golena dell’Adige e stesa in una posta della stalla.
Qui, coperto di paglia, nel caldo umido e umificato emanato dalle vacche
rifaceva centinaia di peli radicali che assorbivano i minerali della sabbia
e l’umidità lasciata dalle foglie esterne che marcivano e davano alimento
per far sbocciare in quindici giorni un nuovo cuore. L’orticoltore con abile
mano estraeva dal groviglio di foglie ormai marce il compatto e croccante
grumolo, gli rifilava la radice lasciandogli solo il pezzettino tenero,
commestibile e, accuratamente lavato, lo portava al mercato disposto ad alta
piramide nella cassa di legno. Il più delle volte riceveva il giusto
ricompenso di cotanto lavoro.
Poi i prezzi sempre più bassi hanno imposto all’orticoltore di selezionare
per il seme non le piante più buone ma quelle più grosse e la sparizione
delle stalle e le ditte sementiere hanno rovinato tutto il resto.
Si continua ancora a chiamarlo radicchio di Lusia e rimane un ortaggio buono
da mangiare e ricco di proprietà nutrizionali. Continua ad avere un gusto
delicato e fragrante che lo rende ideale per le insalate e indicato per i
pasticci o le creps di radicchio. Il colore è ancora molto bello e l’interno
del grosso grumolo è ancora croccante. Restiamo in un buon artigianato anche
se non siamo più nell’arte. Per poterlo meglio vendere alcuni orticoltori
sono stati costretti ad aprirlo, a farlo sembrare un Castelfranco. Stiamo
rinnegando anche la nostra identità.
Ma Lovato a Villafora e i Mantovani a Lusia continuano a selezionare il loro
seme -anche se vanno alla ricerca del più grosso o di quello che può
assomigliare al Castelfranco- e, con l’aiuto del centro sperimentale di Po
di Tramontana di Veneto Agricoltura, si potrebbe ricostituire il nostro
radicchio di Lusia. Nuove macchine e tecnologie di forzatura potrebbero
alleviare il lavoro senza comprometterne l’originaria bontà. Il costo di
produzione sarebbe simile a quello del radicchio di Treviso I.G.P.
Ci saranno dei consumatori e dei ristoratori disponibili a pagare quel
prezzo anche per il radicchio di Lusia classico?
Prezzi orientativi dei prodotti ortofrutticoli prodotti in Polesine nei
supermercati e negozi ortofrutticoli per la corrente settimana:
lattuga cappuccina 2.00
lattuga gentile 2.50
Cavoli cappucci 0.60
Cavoli verza 0.80
Porro 1.10
Radicchio Chioggia 1.90
Radicchio rosso precoce 2.20
Radicchio di Lusia chiuso 1.75
Radicchio di Verona 2.25
Mele Stark 1.00
Mele Golden 1.00
Mele Granny smith 1.20
Mele imperatore 0.75
Pere Kaiser 1.60
Pere William 1.75
Pere Conference 1.75
Pere Decana 1.60
Per Abate 1.80
Kiwi 1.20
domenica 2 gennaio 2005
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