«La guerra è un ostacolo alla lotta contro la fame»
ROMA «La lotta alla fame non ha prodotto i risultati sperati perché il
mondo ha vissuto dei ”traumi”, crisi interne e conflitti tra stati
allontanano lo sviluppo, mentre i paesi, come il Mozambico, che godono di
una relativa stabilità hanno compiuto passi in avanti». È l’opinione dell’
ambasciatore Manfredo Incisa di Camerana, vice direttore della Fao.
Ambasciatore, ancora una volta i dati che la Fao diffonde, dimostrano che
solo una piccola parte del pianeta si sta emancipando dalla schiavitù della
fame, mentre ampie parti del mondo, in special modo in Africa, non riescono
a sollevarsi.
«Non vi è stato il cambiamento auspicato anche perché la situazione mondiale
ha registrato ”traumi” che causano instabilità e, di conseguenza, la povertà
continua a persistere e, in certi casi, ad estendersi. La Fao fotografa una
situazione che, da un lato, presenta aspetti positivi; alcuni paesi
registrano concreti progressi. Tra questi si possono citare Mozambico,
Angola, Benin, Brasile, Ciad, Cile, Cina ed altri. Nei paesi che godono di
una relativa stabilità politica e sociale è stato possibile portare avanti
programmi a largo raggio soprattutto per quanto riguarda l’agricoltura. Dove
c’è stabilità c’è progresso».
Quali sono invece ”i traumi” ai quali si riferisce?
«Vi sono situazioni di crisi e conflitti che condizionano negativamente lo
sviluppo. Noi non entriamo nel dibattito politico, ma sappiamo quali sono
gli ostacoli. Abbiamo constatato che nelle aree interessate da situazioni di
conflitto sono aumentate la povertà e la fame. Mi riferisco a crisi interne
o tra stati. L’altro elemento che ha influito negativamente sono stati i
disastri naturali che accentuano la fragilità di alcuni paesi».
È possibile indicare le aree di maggiore sofferenza del pianeta?
«Si tratta delle realtà maggiormente interessate dalle crisi, come quella
dei Grandi Laghi africani, e poi la Somalia, la Costa d’Avorio. Ma, al tempo
stesso, alcuni paesi africani registrano significativi progressi, la fasce
di povertà sono state ridotte grazie appunto alla stabilità. Il Mozambico ad
esempio è un paese pacificato, e, pur avendo enormi problemi, anche grazie
alla gestione seria da parte del governo ed ad una cooperazione
internazionale intelligente, sta creando le basi per un vero sviluppo.
Questo è l’esempio che noi vorremmo estendere ad altre realtà».
Il fatto che i risultati nella lotta alla fame non siano soddisfacenti è
dovuto anche alla scarsa generosità dei paesi ricchi?
«A livello internazionale è in atto una riflessione sulla strategia d’
intervento per lo sviluppo. Dopo decenni di interventi caratterizzati da
importanti flussi finanziari e di risorse, abbiamo constatato che i
risultati non coincidevano con gli obiettivi che ci eravamo preposti. Questa
riflessione coinvolge tutto il sistema delle Nazioni Unite. Si è deciso di
rivedere le strategie e di adattare alle realtà. Il Nepad (programma
partenariato tra Africa e paesi sviluppati, ndr) è diventato un elemento
quasi rivoluzionario in quanto sono i paesi africani che hanno preso
coscienza della necessità di fissare nelle loro politiche nazionali, come
priorità assoluta, lo sviluppo. In tal sono diventati i primi responsabili e
la comunità dei donatori ha reagito in modo positivo offrendo aiuto ai
programmi nazionali».
In tal modo si evita che gli aiuti finiscano nelle mani di dirigenti
corrotti?
«Credo di sì, ma come dicevo, la questione essenziale è quella della
stabilità. E poi occorre considerare l’impegno della Ong che noi riteniamo
un attore essenziale. Le Organizzazioni non governative sono per noi un
interlocutore essenziale e nei nostri programmi c’è un posto rilevante per
loro per discutere con il paese beneficiante le forme migliori per rendere
efficace gli’interventi». (Toni Fontana)
Tratto da "L'Unità"
mercoledì 8 dicembre 2004
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