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IL DISASTRO DELLA SOIA ARGENTINA

I coltivatori ansiosi di coltivare soia OGM dovrebbero studiare con attenzione come sono andate le cose in Argentina. I coltivatori italiani, inglesi o francesi ansiosi di coltivare anche loro la soia geneticamente modificata farebbero bene a studiare co
La storia comincia nell'ormai lontano 1997, quando quel paese latino americano fu il primo ad autorizzare l'uso della soia Roundup Ready della Monsanto nelle sue coltivazioni. E' questa una soia resistente all'erbicida Roundup, prodotto e venduto dalla stessa Monsanto e il suo vantaggio dichiarato è quello di permettere meno diserbante. E l'Argentina ne aveva davvero bisogno, dato che i suoi terreni, delle pampas ma non solo, erano da tempo soggetti a erosione; con la soia Monsanto, invece, si poteva seminare senza dissodare il terreno, semplicemente buttando i semi sul campo e poi spruzzandoli di Roundup due volte soltanto. Ai contadini veniva proposto un pacchetto particolarmente favorevole: semi, attrezzature e pesticidi, oltre tutto a prezzo scontato perché il brevetto Monsanto allora era valido solo negli Usa e dunque la Monsanto aveva il timore della concorrenza di prodotti similari e «generici». La soia, come noto, è ormai l'alimento principale degli animali da allevamento, di cui l'Argentina è gran produttore. Da qui una grande e frenetica espansione delle coltivazioni: c'erano 37.700 ettari a soia nel 1971 e diventarono 11,6 milioni nel 2002. E con le estensioni crescevamo clamorosamente anche i raccolti, aumentando in soli 5 anni del 173%. Spostiamoci adesso al febbraio 2003, in un piccolo villaggio del nord dell'Argentina, chiamato Colonia Loma Senes. Quel giorno una nube tossica invase case e campi e nei giorni successivi animali abortirono e raccolti vennero persi. Era successo che nella vicina fattoria dove si coltivava soia genetica avevano deciso di effettuare una fumigazione d'emergenza con poderose quantità di erbicidi perché, malgrado il Roundup della Monsanto, non riuscivano più a liberarsi delle erbe nocive. Lo scoprì una rapida indagine dei ricercatori dell'università di Rosario e successivamente una sentenza del giudice inibì che simili azioni venissero ripetute, dato che «danneggiavano i raccolti e la salute delle persone». Comunque, le coltivazioni successivamente ripresero, non appena arrivarono dei nuovi proprietari, cui legalmente non si applicava quella sentenza. Sembra proprio che si fosse avverata una delle infauste ma fondate profezie avanzate nel 2001 da Charles Bembrook dell'organizzazione «Northwest Science and Environmental Policy Center» di Sandpoint nell'Idaho. In un saggio ormai famoso egli aveva cercato invano di mettere in guardia i coltivatori argentini dall'uso spinto della soia Ogm. Il rapporto è tuttora disponibile in rete all'indirizzo http:// www.biotech-info.net/troubledtimes.html. In particolare Bembrook segnalava come il consumo di Roundup fosse in Argentina il doppio che nelle coltivazioni convenzionali, per effetto della comparsa di erbacce ormai resistenti agli erbicidi. Consigliava dunque di ridurre la percentuale di terreni coltivati a soia Ogm e aggiungeva: «La storia ci mostra che l'affidarsi eccessivamente a una singola strategia per fronteggiare le piante e gli insetti nocivi, a lungo termine si rivela un fallimento per effetto delle risposte ecologiche e genetiche» Fu un appello inascoltato: il consumo argentino di glyphosate (la sostanza chimica su cui è basato il Roundup) che era di 13,9 milioni di litri nel 1997,arrivò a 150 milioni di litri nel 2002. Intanto,all'università di Rosario un gruppo di studiosi documentava che l'abuso di Roundup aveva prodotto l'emergere di erbe resistenti - come da facile previsione. Commenta Bembrook (citato da New Scientist, 17 aprile 2004): «L'Argentina ha adottato la tecnologia Ogm più rapidamente e più radicalmente di ogni altro paese. Non ha preso le opportune precauzioni per gestire la resistenza e proteggere la fertilità dei suoli. Sulla base di questi risultati non penso che questo tipo di agricoltura sia sostenibile per più d'un altro paio di anni».


lunedì 22 novembre 2004


News

FPP2 GRATIS, ANNUNCIO DI BIDEN, COSA ASPETTA DRAGHI?
Il presidente USA Biden, raccogliendo la richiesta che da tempo avanza Bernie Sanders, ha annunciato che gli Stati Uniti forniranno mascherine ffp2 gratis ai cittadini. >>



Pesticidi in Unione europea.
La European Food Safety Authority (EFSA) ha pubblicato un report sugli ortaggi e frutta più contaminati da pesticidi... studio pubblicato nel mese di febbraio 2021 che discute i dati del 2019. In tutta Europa, nell’anno 2019, sono stati analizzati 96.302 campioni e la frequenza media si attesta su 19 analisi per 100mila abitanti. I paesi più virtuosi sono la Lituania (125 analisi su 100mila abitanti), la Bulgaria (104 analisi) e il Lussemburgo (81 analisi). I meno virtuosi sono la Gran Bretagna (1,5 analisi), la Spagna (5 analisi) e la Polonia (7 analisi). L’Italia e la Francia si attestano sulla media europea di 19 analisi per 100mila abitanti, la Germania appena un po’ in più con 25 analisi. >>



Sesto Rapporto IPCC - Working Group I su nuove conoscenze e cambiamenti climatici.
In occasione della presentazione del rapporto del Working Group I dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) che delinea le nuove conoscenze scientifiche in merito ai cambiamenti climatici, ai loro effetti e agli scenari futuri, di seguito sono proposti i dati del VI rapporto Ipcc riassunti e forniti dall’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac) di Bologna. Sesto Rapporto IPCC – Working Group I Annalisa Cherchi, Susanna Corti, Sandro Fuzzi Lead Authors IPCC WG I Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima Consiglio Nazionale delle Ricerche Bologna INTRODUZIONE SU IPCC Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), creato dalle Agenzie delle Nazioni Unite UNEP (UN Environmental Program e WMO (World Meteorological Organisation) nel 1988, ha il compito di redigere a scadenza regolare rapporti di valutazione sulle conoscenze scientifiche relative al cambiamento climatico, ai suoi impatti, ai rischi connessi, e alle opzioni per la mitigazione e l’adattamento. È attualmente in corso di finalizzazione il 6° Rapporto IPCC (AR6). Ogni Rapporto IPCC si compone di tre parti, ognuna redatta a cura di un apposito Working Group (WG). Working Group I: valuta le nuove conoscenze scientifiche emerse rispetto al rapporto precedente. Working Group II: valuta gli impatti del cambiamento climatico sull’ambiente e la società e le azioni di adattamento necessarie. Working Group III: valuta le azioni di mitigazione del cambiamento climatico. Ogni WG redige un rapporto mediamente dell’ordine di 2-3000 pagine, accompagnato da un Riassunto tecnico che mette in evidenza i punti salienti del rapporto e un breve Summary for Policy Makers ad uso dei responsabili politici dei paesi associati all’ONU, nei quali sono condensate per punti essenziali tutte le informazioni analizzate nel dettaglio nei singoli rapporti. Ogni WG si compone mediamente di 200-250 scienziati (Lead Authors) scelti su proposta dei singoli governi dal Bureau IPCC. La partecipazione dei singoli scienziati è volontaria e non retribuita. È bene ricordare che i risultati dei Rapporti IPCC sono basati esclusivamente sull’esame critico di diverse migliaia di lavori scientifici pubblicati (14.000 solo per quanto riguarda il WG I). I Rapporti IPCC, la cui stesura impegna gli scienziati per circa tre anni, sono soggetti prima della stesura finale a due fasi di revisione da parte di diverse centinaia di altri scienziati esperti del settore e da parte di esperti dei singoli governi. Il giorno 9 agosto 2021 verrà presentato ufficialmente il Rapporto del Working Group I dedicato allo stato dell’arte delle basi scientifiche del cambiamento climatico e degli avanzamenti rispetto all’ultimo rapporto AR5. Gli altri due Rapporti di cui si compone AR6 sono tuttora in corso di elaborazione e verranno presentati nei primi mesi del 2022. Per quanto riguarda il Working Group I, sui 234 Lead Authors provenienti da 66 Paesi, tre sono gli scienziati appartenenti a un’istituzione di ricerca italiana, tutti ricercatori dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Consiglio Nazionale delle Ricerche. >>