SCACCO AI FARMER USA DA BRASILE, CINA E INDIA
I tre Paesi erodono velocemente le quote di mercato dei produttori nordamericani: la superpotenza agricola potrebbe registrare nel 2005 il primo deficit commerciale degli ultimi quaranta anni.
Il primato degli Stati Uniti nell'agricoltura ha i mesi conta
DISAVANZO IMMINENTE
Il campanello d'allarme è suonato l'estate scorsa. A giugno e agosto le importazioni agricole negli Usa hanno superato le esportazioni. Non accadeva dal 1986, quando la depressione colpì gli altopiani centrali del Paese.
Nonostante le difficoltà, il saldo annuale non sprofondò comunque in rosso.
Adesso invece il pericolo è alle porte: la stima per il 2004 ha subìto via via ritocchi all'ingiù da parte del Dipartimento all'Agricoltura ed è attualmente positiva per 9,5 miliardi di dollari. Ma nel 2005 si assottiglierà ulteriormente, a 2,5 miliardi.
«Abbiamo il più esiguo surplus da 25 anni — ricorda Tom Buis, vicepresidente della National Farmers Union, associazione di agricoltori americani —. La situazione è precipitata in fretta: soltanto otto anni fa, nel 1996, viaggiavamo con un attivo dieci volte superiore, pari a 27 miliardi di dollari».
EXPORT STAGNANTE
Cosa è successo in poco meno di un decennio alla superpotenza dei cereali e della carne? È accaduto che il valore delle importazioni sia cresciuto del 60%, trainato dalle esigenze sempre più raffinate dei consumatori americani, dall'apertura dei mercati con la graduale eliminazione delle barriere commerciali e da politiche agricole di sussidi che hanno portato all'abbandono di molti prodotti di largo consumo, come verdura e pomodori, a favore di raccolti più remunerativi.
È avvenuto, al contempo, che il valore delle esportazioni abbia segnato il passo, aumentando di un misero 4 per cento.
CONCORRENTI AGGRESSIVI
«L'export è stagnante da circa dieci anni» conferma Ben Lilliston, coordinatore della comunicazione all'Istituto per l'agricoltura e le politiche commerciali, think-tank indipendente di Minneapolis.
«Gli Stati Uniti sono tallonati da concorrenti aggressivi — continua —: il Brasile sta diventando leader nella produzione di soia, e lo è già nell'allevamento di bestiame; l'Argentina cresce negli stessi settori; Australia e Canada vendono sempre più carne. Persino Cina e India hanno cominciato a esportare un po' di mais e grano».
Infine, Russia, Ucraina e Kazakhstan, riemerse dal lungo sonno del comunismo, hanno ripreso a produrre grano: nel 2005 si accaparreranno oltre il 10% dell'export mondiale e in un decennio potrebbero raddoppiare.
Se negli anni 80 gli Stati Uniti controllavano la metà del commercio del grano, ora sono scesi al 25 per cento.
Intanto le multinazionali agroalimentari, al seguito dei profitti, hanno spostato i propri interessi nei Paesi che offrono prezzi bassi. Costo del lavoro e "manipolazione" delle valute, secondo Buis, aiutano i nuovi attori.
Il rancore verso la politica del libero commercio fa da sottofondo alle critiche degli agricoltori che pure ricevono cospicui sussidi dal Governo. Nel 2003 il sostegno negli Usa è stato di 40 miliardi di dollari, circa il 20% del reddito lordo del settore.
Agricoltura e attività collegate costituiscono il 12% del Pil e il 17% dei posti di lavoro.
LA BATTAGLIA DEI MERCATI
Non aiuta a contenere la concorrenza nemmeno il recente, lieve recupero dell'export agricolo Usa realizzato grazie al dollaro debole.
Ai contadini statunitensi basta guardare un po' a Sud perché le paure prendano corpo: in Brasile i proprietari terrieri negli ultimi due anni hanno ricoperto di piantagioni di soia un'area grande il doppio di Israele.
È la Cina il maggior importatore di soia brasiliana, concorrente diretta di quella Usa: nel 2003 l'export agroalimentare del Paese sudamericano verso il colosso asiatico è balzato dell'84% a 1,82 miliardi di dollari. Le vendite di soia hanno contato per oltre il 70 per cento.
Con 170 milioni di capi di bestiame, inoltre, il Brasile è il primo allevatore al mondo ma "minaccia" di mettere a segno nuovi exploit: razionalizzando l'industria potrebbe ridurre i 200 milioni di ettari di pascolo per aumentare di 30 milioni quelli di terra coltivabile.
CINA E INDIA
Insieme primo produttore e consumatore di frumento, la Cina con il suo miliardo e 300 milioni di abitanti per nutrire i suoi animali fa fuori un terzo della soia commerciata sul pianeta.
E spaventa i principali esportatori quando decide di puntare all'autosufficienza alimentare. La sua dipendenza dall'import è ancora pesante, ma i contadini ricevono tagli alle imposte per aumentare i raccolti e quest'anno, stando al ministro dell'Agricoltura, la produzione di grano dovrebbe crescere del 3% rispetto al 2003.
L'India non è da meno: è passata dalla fame all'accumulo di surplus di riso e farina mentre diventava leader nella coltivazione di frutta e verdura.
Nel 2001 il Governo ha permesso le prime esportazioni di grano anche se la distribuzione di cibo alle popolazioni povere non era ancora capillare, né aveva risolto la piaga della malnutrizione.
L'EUROPA
Il vecchio continente, intanto, ha inferto più di un colpo alla produzione Usa, limitando l'import di carne agli ormoni e imponendo barriere agli Ogm.
Ma Stati Uniti e Ue si ritrovano uniti nella preoccupazione di non cedere troppo terreno alla crescita, a passi lunghi, dei giganti sudamericani e asiatici.
lunedì 22 novembre 2004
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