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Tra Israele e Palestina è guerra di gas.

L’appropriazione ed il controllo dei giacimenti di metano al largo sarebbero il vero obiettivo della recente invasione militare della striscia di Gaza da parte di Israele: questa l’interessante tesi proposta dall’economista canadese Michel Chossudovsky.

L’8 gennaio scorso su www.globareseach.ca (sito del Centro per la Ricerca sulla Globalizzazione) è apparso un articolo in cui Chossudovsky, professore di economia all’Università di Ottawa, analizzava le vicende degli ultimi dieci anni che hanno visto protagonisti i giacimenti di gas al largo di Gaza, nonché i governi palestinese e israeliano. Dietro l’offensiva avviata da Israele lo scorso dicembre, nominata Operazione Piombo Fuso, ci sarebbero quindi le mire su ricche riserve di metano scoperte tra il 1999 e il 2000: si tratterebbe di tre miliardi di metri cubi di gas, pari a 150 milioni di barili di petrolio. Già nell’estate 2007, una nostra giornalista specializzata in energia, Debora Billi, aveva messo in evidenza come la scoperta di questi giacimenti costituisse “una scoperta preziosissima, che avrebbe potuto significare l'indipendenza energetica per la Palestina, lo sviluppo della produzione elettrica, persino la messa in opera di importanti impianti di dissalazione.”

Il governo palestinese aveva firmato nel 1999 un accordo di validità venticinquennale con il quale aveva concesso all’azienda British Gas, ed al suo partner Consolidated Contractors International Company, di esplorare le acque alla ricerca di giacimenti. I diritti sui depositi trovati furono previsti appartenere per il 60% a BS, per il 30% a CCC, mentre il restante 10% andava all’Autorità Palestinese. Sebbene la sovranità sui giacimenti spettasse di diritto al governo palestinese, Israele ha cercato fin da subito di metterla in discussione. Il controllo palestinese sulle risorse di metano fu contestato di fronte alla Corte Suprema Israeliana ed il primo ministro Ariel Sharon, eletto nel 2001, si oppose più volte ai tentativi di accordo con l’Autorità Palestinese e la British Gas. La morte di Arafat nel 2004 e la vittoria di Hamas alle elezioni del 2006 hanno indebolito ulteriormente la posizione della Palestina nella contesa per il metano, consentendo - quindi - agli Israeliani di stabilire un controllo di fatto sui giacimenti. Nel maggio 2007 si giunse ad un accordo, voluto dal Primo Ministro israeliano Ehud Olmert, secondo il quale veniva riconosciuta la proprietà dei pozzi ai palestinesi, ma si stabiliva che la vendita avrebbe portato profitto a Tel Aviv. In pratica, il metano sarebbe stato fatto confluire tramite un gasdotto marino verso il porto di Ashkelon: Israele avrebbe gestito la vendita e una parte dei proventi sarebbe andata alla Palestina. Ma se in un primo momento si era concordato che 1 miliardo di dollari, dei 4 previsti come guadagno, sarebbe stato ceduto ai palestinesi, ben presto il governo israeliano decise che non avrebbe spartito le royalties, bensì avrebbe pagato il suo debito solo in termini di beni e servizi. La giustificazione ufficiale fu che Sharon non voleva che del denaro andasse a finire nelle casse di Hamas, organizzazione riconosciuta come terrorista. Ovviamente gli accordi decaddero e dopo poco la British Gas si ritirò dai negoziati, chiudendo il proprio ufficio in Israele. Era il gennaio 2008. Come si arriva all’Operazione Piombo Fuso del dicembre dello scorso anno? Chossudovsky rileva che il piano di invasione della striscia di Gaza prese le mosse già nel giugno dello scorso anno, in un periodo in cui, al contrario, governo di Israele e Hamas negoziavano una tregua del conflitto. Guarda caso, in quello stesso periodo le autorità di Tel Aviv prendevano contatto con la British Gas per riavviare una discussione sull’estrazione e la gestione del metano al largo di Gaza.

Tali trattative hanno registrato un’accelerazione nella parte finale dello scorso anno: “sembrerebbe che Israele fosse ansiosa di arrivare ad un accordo con British Gas Group prima dell’invasione, che era già ad un punto avanzato di pianificazione”, scrive l’economista canadese. “L’occupazione militare di Gaza è finalizzata a trasferire la sovranità sui giacimenti di gas ad Israele, in violazione del diritto internazionale”, afferma Chossudovsky, “che cosa possiamo aspettarci nella scia dell’invasione?” Probabilmente Israele sottrarrà definitivamente alla Palestina i pozzi al largo di Gaza e li integrerà a quelli che già possiede nelle acque vicine. Dopo 9 anni di controversie, dunque, molto probabilmente i palestinesi si vedranno privati di risorse che di fatto apparterrebbero loro e che avrebbero permesso al popolo di raggiungere l’indipendenza energetica e di sviluppare la propria economia. Scopriremo prossimamente che ne sarà di questo metano, ma è intuibile che prenderà presto la via dei gasdotti israeliani. L’ analisi condotta dal professor Chossudovsky, già noto per le sue indagini sulle relazioni storiche che legano il governo degli Stati Uniti, Osama Bin Laden e Al Qaeda, risulta credibilissima. Del resto le guerre del petrolio sono una realtà confermata e di quelle per l’acqua si discute ormai da tempo: non meraviglia dunque che al centro di contese internazionali, anche violente, possa esserci il gas. Senza dubbio nella società odierna l’approvvigionamento di energia è un problema fondamentale, perché da esso dipende criticamente lo sviluppo economico e sociale di un Paese, nonché il suo livello di benessere ed autonomia. E’ evidente che chi ha bisogno di risorse vi si attacchi come una belva affamata sulla preda. D’altro canto, dati gli enormi profitti che si generano in tale settore di mercato, chi possiede un oggetto di così tanti desideri esercita il potere che gliene deriva. E la storia si ripete. (di Virginia Greco)
www.terranauta.it

lunedì 9 febbraio 2009


 
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