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Il grano alle stelle, maggiordomi cinesi, e dieci piccoli indiani.

Abbiamo sentito ripetere in questi mesi che se i prezzi internazionali del grano sono in crescita vertiginosa, e le strade del mondo si riempiono di persone affamate e arrabbiate, questo è colpa di cinesi e indiani che mangiano di più. I più cattivi, però, come al solito sono i cinesi: il loro consumo di carne totale tra maiale, manzo e varia animalità è cresciuto dal 1990 del 142%. Il bestiame mangia tanti cereali e il disastro, condito con qualche eccesso di entusiasmo sui biocarburanti, è così servito: ben 40 Paesi sono stati scossi negli ultimi mesi da vere e proprie rivolte di gente a stomaco vuoto, e ben 21 di essi si trovano in quell'Africa già tanto martoriata. Daryll E. Ray, dell'Agricultural Policy Analysis Center dell'Università del Tennessee però non ha creduto ad una ricetta così semplicistica e si è messo a verificare da vicino questo fenomeno, diremmo, gastronomico quanto macabro, dati alla mano. La prima sorpresa deriva dal fatto che se la Cina ha deciso di mangiare più carne, in realtà ne ha prodotta talmente tanta da rimanere saldamente un Paese esportatore netto. Ma c'è di più. Nel 1996 il USDA World Agricultural Outlook Board, la proiezione statunitense più autorevole sui mercati agricoli internazionali, aveva previsto che nel 2005, proprio per la crescita demografica e dei redditi incessante, la Cina sarebbe diventata un'importatrice netta di grano, con un flusso in entrata di almeno 10,7 milioni di tonnellate provenienti in gran parte dagli Stati Uniti stessi.

La Cina, in realtà, con un gioco sapiente di produzione, di protezione del mercato interno alla faccia delle richieste di maggiore liberalizzazione che le rivolge incessantemente l'Organizzazione Mondiale del Commercio, e di un buon utilizzo del meccanismo dello stoccaggio, non ha avuto bisogno di guardarsi intorno: nel 2005, infatti, risultava essere ancora un esportatore netto di grano, con ben 15,2 milioni di tonnellate in viaggio intorno al mondo. Dunque se il mondo soffre la fame, e se quegli 850 milioni di persone che nel mondo la patiscono probabilmente aumenteranno nei prossimi anni, non è proprio colpa dei cinesi. Che cosa sta succedendo allora? Se i prezzi agricoli crescono, perché i più affamati sono proprio i contadini? Un paradosso vuole che circa tre quarti di quel miliardo e duecento milioni di persone che vivono in estrema povertà abitino in aree rurali, cioè a diretto contatto con quella terra che potrebbe e dovrebbe dar loro da mangiare a sufficienza, oltre che un reddito. Per di più l'agricoltura è stato un settore sempre più trascurato dagli investimenti pubblici: se tra il 1980 e il 2007 i Paesi industrializzati (OECD) hanno aumentato i propri aiuti allo sviluppo da 20 miliardi di dollari a 100 miliardi, negli stessi anni i fondi destinati a sostenere l'agricoltura sono scesi da 17 a 3 miliardi di dollari, la maggior parte dei quali, secondo Via Campesina, non sono andati ai contadini. Fino ad oggi abbiamo creduto che fossero i prezzi dei prodotti agricoli cronicamente bassi a costituire il principale ostacolo per la promozione economica e sociale dei piccoli agricoltori in tutto il mondo. La verità è che i prezzi più alti che noi stiamo pagando non si traducono in maggiori guadagni per contadini e allevatori, ma vengono assorbiti dai trasporti, dall'industria agroalimentare e dalla grande distribuzione. Sempre secondo Coldiretti, infatti, dei circa 467 euro al mese che ogni famiglia destina in media per gli acquisti di alimenti e bevande, oltre la metà, per un valore di ben 238 euro, va al commercio e ai servizi, 140 (un 30%) all'industria alimentare e solo 89 (il 19%) alle imprese agricole. Anche la National Farmers Union statunitense è comparsa in audizione il primo maggio scorso davanti alla Commissione economica congiunta del Congresso a Washington e ha denunciato che, secondo i dati forniti dallo stesso ministero dell'Agricoltura, gli agricoltori e gli allevatori ricevono solo 20 centesimi di ogni dollaro che i consumatori spendono per l'alimentazione in casa e fuori casa. Il marketing, la trasformazione, la distribuzione e i servizi di vendita assorbono gli altri 80 centesimi. Chi scommette sul cibo vince sempre In questa partita stanno giocando sporco altri concorrenti che con la produzione agricola non hanno niente a che vedere: gli speculatori. Il mercato internazionale dei prodotti agricoli, infatti, riguarda solo il 10% della produzione globale. I contratti con cui si commercia questa parte limitata della produzione agricola che va sul mercato globale hanno, per la natura stessa degli approvvigionamenti, scadenze "future": fino a 18 mesi e oltre. I prodotti finanziari che consentono di investire nelle materie prime agricole (o commodities), e che determinano i loro prezzi internazionali, si chiamano per questo "futures" e sono "contratti a termine standardizzati per poter essere negoziati facilmente in Borsa". Chi ha disponibilità di capitale li può acquistare, e molti vi si sono rifugiati dopo la crisi dei prodotti finanziari legati ai mutui. I fondi di investimento, ad esempio, controllano il 50-60% del commercio del grano nei più grandi mercati internazionali di commodities. Un'agenzia calcola che l'ammontare del denaro investito in futures di commodities è esploso dai 5 miliardi di dollari stimati nel 2000 ai 175 miliardi di dollari del 2007. La maggior parte di questi titoli viene negoziata alla borsa di Chicago (Chicago Stock Exchange - CHX), che ha visto aumentare di un quarto dall'inizio dell'anno le attività nel settore agricolo. Secondo i dati CHX, i futures del grano (calcolati al prossimo dicembre) dovrebbero crescere del 73%, quelli legati alla soia del 52 e quelli dell'olio di soia del 44. Essi si possono negoziare senza spostare un chicco di grano, e si può contemporaneamente variarne la quotazione soltanto grazie alla capacità di acquistarne tanti scommettendo sui guadagni futuri e provocando, con questa sola mossa, l'aumento del loro valore. E' per questo che l'aumento della produzione di cereali, che è pure prevista dalla FAO nel suo ultimo rapporto di previsione sull'annata agricola in corso, non ha alcun impatto sui loro valori. Qualcosa non va anche nel mercato globale Non sono solo le speculazioni che rendono così instabile il mercato agricolo, ma anche la sua struttura e il suo carattere estremamente concentrato. I pochi, grandi operatori commerciali internazionali, ad esempio, hanno ritirato dal mercato degli stock per stimolare la crescita dei prezzi e rivenderli al meglio. In Indonesia, per citare solo un caso, la branca nazionale della Cargill al gennaio 2008 stoccava 13mila tonnellate di soia nei suoi silos di Surabaya, in attesa che il suo prezzo raggiungesse livelli record. Alcuni gruppi transnazionali possono fare questo e altro, perché detengono il monopolio del mercato: il 60% dei terminal per il trasporto di granaglie negli USA, ad esempio, è di proprietà di quattro società: Cargill, Cenex Harvest, ADM e General Mills. Sono questi giganti, che assommano in sé, in un'integrazione verticale serratissima, i semi, gli inputs, le piantagioni, la produzione, la trasformazione, la distribuzione e anche un rilevante potere finanziario, alcuni tra i principali vincitori di questa partita. Anche le compagnie dei semi e dell'agrochimica stanno andando più che bene. Monsanto, il primo gruppo mondiale nel commercio dei semi, ha riportato un 44% di aumento dei guadagni nel 2007. DuPont, il secondo in classifica, ha dichiarato che i suoi profitti sono aumentati del 22%, mentre Syngenta, che guida il mercato dei pesticidi ma è terzo tra i colossi dei semi, ha visto le sue entrate crescere del 28% nel solo primo quadrimestre del 2008. Procedendo nella filiera verifichiamo che anche i grandi trasformatori alimentari, alcuni dei quali sono anche grandi traders, stanno incassando parecchio. Nestlé, ad esempio, ha aumentato le sue vendite globali del 7%. Anche per i supermercati la crisi alimentare non sembra portare guai ma un grande business. La catena inglese Tesco ha registrato un aumento nei guadagni del 12,3% in più rispetto allo scorso anno, un rialzo record. La francese Carrefour e la statunitense Wal-mart hanno affermato che le vendite di alimentari sono la voce principale che ha incrementato il loro aumento di fatturato. E' chiaro che qualcosa non va come dovrebbe, e che le politiche agricole devono cambiare, a partire da quella europea.

20 anni di politiche sbagliate Forse il colpevole della crisi attuale, dunque, non era proprio il maggiordomo cinese come nel più scontato dei gialli. Sono stati i ben 20 anni di politiche di aggiustamento strutturale promosse nei Paesi del Sud ed in particolare in Africa da Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale - che, in cambio di crediti d'aiuto, hanno chiesto ai propri beneficiari la riduzione del supporto e del finanziamento pubblico all'agricoltura, ma anche quella liberalizzazione del settore agricolo e dei mercati - che hanno portato i paesi del Sud (in particolare africani) a diventare da esportatori netti ad importatori netti di alimenti. Ma si è anche consolidata, nello stesso periodo, una politica europea incentrata sul modello industriale con vocazione esportatrice che ha favorito un tipo di produzione intensivo e insostenibile, oltre alla possibilità dei nostri prodotti di concorrere slealmente nel mercato internazionale creando il fenomeno del dumping. Sono questi i modelli di intervento che hanno caratterizzato, a tutte le latitudini, gli orientamenti prevalenti delle istituzioni e degli attori economici in ambito agricolo. Schemi e automatismi che, come dimostra la crisi alimentare di oggi, non funzionano. Tuttavia anche oggi alcune grandi istituzioni propongono come soluzioni una maggior liberalizzazione anche grazie alla chiusura del ciclo dei negoziati commerciali lanciati a Doha nel 2001 dall'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO). Noi, invece, chiediamo un cambiamento netto di rotta a cominciare da politiche agricole forti, che tutelino l'agricoltura sostenibile e i mercati interni, in Europa come in Africa.

Che cosa possiamo fare per invertire la rotta? * Partecipare alla Campagna Terre Contadine-ItaliAfrica, firmando e diffondendo il Manifesto e partecipando alle attività previste. La campagna è promossa - in Africa - dalla Rete delle organizzazioni contadine e dei produttori agricoli dell'Africa occidentale (ROPPA) che, dal 2000, unisce le piattaforme nazionali presenti nei dodici paesi della Regione e rappresenta oltre 50 milioni di contadini (costituendo la più grande federazione contadina dell'Africa). In Italia è sostenuta da alcune ONG (Terra Nuova e Crocevia che coordinano la campagna, e poi AUCS, CIPSI, CISV, COSPE, LVIA), organizzazioni agricole (Coldiretti, Aiab, Ari), associazioni ambientaliste e del commercio equo come [fair]. Questa iniziativa si inquadra nel programma di lavoro della Campagna per la Sovranità Alimentare. (http://www.europafrica.info/italiano/home_ita.htm) * Gli organismi internazionali che si interessano di alimentazione (FAO) e di commercio (WTO, UNCTAD e IFAD), il Governo nazionale ma ancor di più gli Assessori alle Politiche agricole delle nostre Regioni, possono fare moltissimo per sviluppare la produzione del territorio in modo più sostenibile. Dobbiamo seguire attivamente le loro decisioni anche entrando in contatto con i nodi della Campagna Terre Contadine-ItaliAfrica, attraverso il sito http://www.europafrica.info/. * Possiamo cambiare la spesa. Comprare e mangiare frutta e verdura di stagione preferibilmente dai mercati di prossimità, acquistare prodotti locali, che hanno fatto meno strada. Coldiretti, che promuove una serie di iniziative per consumi alimentari a "chilometri zero", in casa come in trattoria, ha redatto un decalogo per ridurre l'impatto di ciò che mangiamo che si trova all'indirizzo http://www.coldiretti.it/docindex/cncd/informazioni/299_08.htm. Scopri tutto anche sul mondo del biologico sull sito dell'Associazione italiana di categoria AIAB: http://www.aiab.info/ * Possiamo partecipare alla costruzione di un sistema diverso di distribuzione, dando vita o aggregandoci ad un Gruppo di Acquisto Solidale (GAS) Trovare quello più vicino a casa è facile: http://www.retegas.org/. C'è una mappa dei mercati direttamente promossi dai produttori (o farmer markets) all'indirizzo internet http://www.mercatidelcontadino.it/ * Per i prodotti che arrivano da lontano, come il caffè, il tè, la cioccolata, ma anche magliette e tessuti di cotone, si possono preferire quelli biologici, quelli che arrivano da progetti di sviluppo rurale e locale e quelli del commercio equo e solidale. Informati visitando il sito dell'organizzazione di categoria http://www.agices.org/ , e il sito di [fair], che è partner della campagna http://www.faircoop.it/. --------------------------- (articolo di Monica Di Sisto e Antonio Onorati pubblicato su L'Inkontro)
Faircoop.it

giovedì 29 gennaio 2009


 
News

Nuova protesta degli agricoltori a Bruxelles, 250 trattori intorno alle sedi Ue. Roghi davanti all’Eurocamera: polizia usa idranti e lacrimogeni.
Circa 250 trattori hanno bloccano le strade principali del quartiere delle istituzioni Ue a Bruxelles chiamati a manifestare da Fugea, dalla Federazione dei Giovani Agricoltori (FJA), dalla Federazione Vallone dell’Agricoltura ( Fwa), dalla Rete di sostegno all’agricoltura contadina (RéSAP) e dal Coordinamento europeo. >>



Gates e Zuckerberg puntano sull'agricoltura: "Cibo vero solo per ricchi"
Altro che carne sintetica e dieta vegetale. I grandi imprenditori dei Big Data sembrano andare proprio nella direzione opposta. Mentre, infatti, la sostenibilità planetaria spinge le economie a orientarsi verso la produzione di cibo sintetico, loro investono su terreni agricoli e sulla produzione di carne tradizionale di altissima qualità. E naturalmente altissimi costi e ricavi. >>



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Il presidente USA Biden, raccogliendo la richiesta che da tempo avanza Bernie Sanders, ha annunciato che gli Stati Uniti forniranno mascherine ffp2 gratis ai cittadini. >>