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La grande beffa del latte «pulito».

Molto del prodotto in commercio è talmente sterilizzato da risultare batteriologicamente morto e privo di sapore. Ma il latte più «buono» è penalizzato Con l'alimento di «alta qualità» non si possono fare i formaggi e i fermenti lattici aggiunti dall'industria uniformano il sapore. Come succede per il vino. (di Roberto Rubino)

Da qualche tempo non si fa che parlare di un'etichetta che dovrebbe permettere ai consumatori di operare scelte mirate e consapevoli. Ma, come spesso succede, un fenomeno è tanto più latitante quanto più se ne proclama l'esigenza. Non vi è stata mai tanta poca privacy da quando vi è una legge specifica: ormai non possiamo fare un passo senza essere controllati. Da quando vi è una legge sul benessere animale questi non sono mai stati così maltrattati. Ormai le vacche nelle stalle da latte dopo due parti vengono eliminate perché lo stress e l'alimentazione forzata sono tali da renderle antieconomiche a un'età in cui, in altre epoche, iniziavano l'attività. Per restare al settore lattiero-caseario, due esempi ci paiono sintomatici di una situazione a dir poco paradossale: il latte alimentare e i formaggi a latte crudo. Cos'è l'alta qualità? In Italia e, in maniera simile, in altri paesi industrializzati la qualità del latte è normata da una legge (169/89) che contempla due categorie: «l'alta qualità», la cui dicitura è riportata in etichetta in tutta evidenza, e la qualità standard, che in etichetta si può solo immaginare perché non è riportata alcuna indicazione. Ma non è dell'etichetta che vogliamo parlare. In questo caso la legge, per definire «l'alta qualità», ha utilizzato come parametri la carica batterica, le cellule somatiche, il grasso e la proteina. Ora, nel latte che acquistiamo, il grasso e la proteina non variano, basta vedere nell'etichetta: i livelli sono uguali e costanti per ogni tipo di latte perché sono standardizzati a monte. Quindi, al consumatore interessa poco questo parametro. Ma, in ogni caso, perché mai un latte con più grasso e proteine dovrebbe essere migliore o peggiore di un latte con meno? Un latte di vacca podolica ha lo stesso contenuto di grasso e proteine delle vacche bruno alpine, eppure la differenza in contenuto aromatico e nutrizionale è enorme. Anzi, come vedremo, la relazione, se c'è, è negativa. Restano in gioco carica batterica e cellule somatiche. Entrambi sono parametri che fanno riferimento all'igiene del latte. Ma il latte che acquistiamo è pastorizzato, quindi igienicamente sano. Poiché i limiti fissati dalla legge per la carica batterica e le cellule somatiche sono piuttosto bassi, rientrano in questi limiti gli allevamenti più industriali, in cui l'intensa selezione degli animali, un'alimentazione forzata e un sistema stallino fanno sì che, come avviene in tutti i sistemi industriali, alle enormi quantità di latte prodotto faccia da contraltare una qualità ai minimi livelli. Tutte le ricerche ormai concordano sul fatto che gli animali alla stalla, alimentati con unifeed (un unico tipo di foraggio, ndr) e fortemente selezionati producano un latte con un valore nutrizionale e una componente aromatica molto più bassi di quelli degli animali al pascolo. Il paradosso, allora, dov'è? Avendo individuato e definito questi parametri, al produttore il latte è pagato, quando e laddove il metodo sia adottato, in base ai suddetti parametri. Per intenderci, un latte di vacche al pascolo, ricco di aromi e di componenti nutrizionali, è a volte fuori legge e comunque mai di alta qualità. Quello industriale, spesso, molto spesso, è pagato di più perché di «alta qualità». Quindi, il primo a essere danneggiato è il produttore, il produttore di un buon latte, che non vedrà mai riconosciuto il valore del suo lavoro perché il metodo di pagamento va nella direzione opposta. Poi il consumatore, che paga troppo per un latte «scadente» e poco per un latte «buono». Si dovrebbe cambiare ma, a parte che nessuno lo vuole, analizzare il contenuto aromatico e nutrizionale del latte in tempo reale non è semplice ed economico. I formaggi e la complessità microbica Veniamo ai formaggi a latte crudo. Una delle prime campagne di Slow Food è stata proprio dedicata ai formaggi a latte crudo. Da allora molte cose sono cambiate, molti disciplinari di formaggi dop sono stati rivisti in quella direzione: tra tutti il pecorino siciliano e il piacentinu. Però la strada è ancora lunga e si sta complicando un po' per gli stessi motivi di cui sopra. Che la pastorizzazione abbassi e livelli l'aroma del formaggio è cosa nota e dimostrata, così come è dimostrata la inutilità del trattamento termico se l'obiettivo è ridurre i rischi, per esempio da listeria. È dimostrato, infatti, che essa si diffonde con maggiori probabilità sui formaggi a latte pastorizzato. Abbiamo visto che il sistema di pagamento del latte spinge gli allevatori a produrre un latte sempre più pulito. Va detto che quando si parla di carica batterica si fa riferimento non solo a batteri prettamente legati allo sporco, i coli, ma anche ai batteri del latte, naturalmente presenti nell'ambiente e che sono indispensabili alla coagulazione del latte - senza di essi il formaggio non si fa, così come non si fanno il pane, il vino, la birra - e svolgono un ruolo importante nella formazione dell'aroma. Siccome si è visto che ogni ambiente ha una complessità microbica specifica e diversa, la loro presenza costituisce un legame con il territorio molto specifico. La tecnica di un formaggio è trasferibile, non la sua carica batteria, tra cui quella microbica e casearia. Sempre più spesso oggi troviamo etichette di formaggi in cui si pone in grande evidenza l'utilizzo di latte crudo, ma subito dopo si fa riferimento ai fermenti lattici aggiunti. Per forza, il latte è talmente pulito da potersi considerare batteriologicamente morto. Con il latte di alta qualità non si possono fare formaggi, se non si ricorre ai fermenti lattici. La differenza dov'è? I fermenti presenti nell'ambiente del caseificio, cosiddetti «residenziali», sono tanti non solo per numero, ma per diverse tipologie, appartenenti a più gruppi. Nella fase di stagionatura di molti formaggi questa microflora, che prende il nome di avventizia o di superficie, assume un ruolo importante perché si sviluppa sulla superficie penetrando lentamente nell'interno. Ciascuna di queste tipologie contribuisce per una parte, e così più ceppi apportano una complessità molto importante Lo stesso gusto in tutto il mondo Quando si è costretti ad aggiungere fermenti si fa ricorso a quelli presenti sul mercato che sono quasi sempre di un'unica tipologia, sempre la stessa in tutto il mondo. Un po' come succede nel mondo del vino, dove l'uso dello stesso vitigno, dello stesso fermento e di una barrique analoga finisce per rendere i vini tutti simili fra loro. Addio legame con il territorio. Anche qui il paradosso sta tutto nel fatto che, mentre da una parte si fa un grande sforzo per salvare il legame con il territorio lavorando il latte crudo, dall'altra si piomba in un difetto quasi simile insistendo con un eccesso di igiene che non ha motivo di essere. Se a tutto questo aggiungiamo che questo latte «pulito» è spesso lavorato in recipienti d'acciaio e perfino pastorizzato, si può ben capire perché oggi la gran parte dei formaggi prodotti con questa tipologia di latte lascino insoddisfatti tutti: produttori, caseificatori e consumatori. (l'articolo uscirà a fine agosto sulla rivista Slowfood, che ci ha gentilmente concesso un'anticipazione del dossier dedicato al latte ai suoi derivati).

L'«oro bianco» perde di valore e diventa sempre più un sottoprodotto. Alimentazione: Slow Food e l'industria del latte su allevamento e produzione. È polemica. (di Andrea Rocco) Non sarà come quella sull'oro della Banca d'Italia, ma la polemica sull' «oro bianco», il latte e la sua qualità, sta salendo di tono. Ad aprirla è stato Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, che in un articolo su La Repubblica del 6 agosto, dal titolo «Perché non sa di nulla il latte che beviamo», accusava l'industria del latte di aver costruito un meccanismo perfetto e perverso attraverso il quale sono stati stravolti il modo di allevare le mucche, di lavorare il latte e della bianca bevanda è stato cancellato il sapore. Nello specifico Petrini sostiene che: le mucche sono gonfiate, fanno una vita grama (vivono meno e soffrono di più) per poter produrre quantità «innaturali» di latte, con un altrettanto innaturale (nel senso di altissimo) contenuto di grassi; questo latte ha perso le caratteristiche organolettiche di un tempo, è di fatto un sotto-prodotto che serve a creare materie grasse utilizzate in altre produzioni a più alto valore aggiunto; che gli allevatori non ci guadagnano affatto, perché la loro fetta nella catena del valore del latte è piccola ed in diminuzione e i consumatori ci perdono in termini di qualità, di gusto e di nutrimento. Petrini indica una via alternativa: «le evidenze scientifiche che dimostrano che un´alimentazione naturale, a base di erbe o di fieno polifita (ricavato da prati su cui sono presenti molte erbe diverse) è un´alimentazione più ricca, completa e salutare per gli animali, ebbene, quelle esistono. E se fosse questa la strada? Il nesso tra la produzione massiva e la bassa qualità sta nel fatto che la produzione massiva chiede uniformità, mentre la qualità si fa con la diversità». La associazione dei produttori di latte Assolatte, assai piccata, a Petrini risponde in sostanza che «la qualità attuale del latte in commercio in Italia è infinitamente migliore di quello che si vendeva nelle latterie», sia in termini di igiene che di sapore, sia per il latte fresco che per quello di lunga conservazione. E accusa Petrini di dimenticarsi che «i prodotti in commercio in Italia hanno una qualità che non ha pari nel mondo e che quell'industria dà lavoro a migliaia di famiglie». A difendere allevatori e produttori industriali di latte sono scesi in campo (sempre su La Repubblica, 9 agosto) Nino Andena, presidente degli allevatori e i due big del latte industriale, Parmalat e Granarolo. Ma con accenti evidentemente diversi. Per Andena gli allevatori producono buon latte tutto l'anno (non come quello di cui si ricorda Petrini, buono solo in alcune stagioni) e in abbondanza, ma senza forzare gli animali. Ma fa sue le accuse di Petrini sull'avidità dell'industria, che paga solo 32-33 centesimi al litro agli allevatori, intascandone 50 e, significativamente, ricorda che «se alla fine il mio latte non piace al consumatore vuol dire che qualcosa (le industrie) gli hanno combinato». Parmalat si aggrappa all'ambiguo concetto che «a guidare la ricerca sono i bisogni dei consumatori: ci chiedono latte che prevenga obesità e malattie cardiache, che rafforzi le ossa e aiuti la regolazione intestinale». Viva il latte-farmaco, quindi, come già osservava Petrini. Ma il sotto-testo della guerra sul latte è l'accusa (non nuova) a Carlo Petrini di essere un arcaico legato ad un mondo che non c'è più e forse non c'è mai stato, un aristocratico che nega alle masse il piacere del consumo, un negatore della modernità e del progresso. In realtà Petrini ha messo ancora il dito sulla piaga e in più di un senso. Come spiega l'articolo di Roberto Rubino in questa pagina, non c'è un'evoluzione naturale e voluta dal consumatore verso una produzione industriale e forzata (e di bassa qualità). Ma ci sono norme precise, dettate da altrettanto precisi interessi che alimentano, attraverso parametri apparentemente scientifici e neutrali, i meccanismi favorevoli ai grandi attori industriali, nel latte come negli altri settori. E che le cose non accadano per caso, e che Petrini abbia ragione, è dimostrato da una notizia riportata da Le Monde: sono sempre meno gli allevatori che producono latte, ogni anno solo in Francia sono 5000 gli allevatori che smettono, mentre cresce il consumo di prodotti più remunerativi, come formaggi, yogurt e semi-lavorati per dessert. Il latte sta diventando davvero un sotto-prodotto. E non sarà che a forza di far bere latte cattivo (o insulso) si finisce con il disgustare quel «sacro consumatore» che si pensava di soddisfare?

Il mugugno degli allevatori. Latte fresco e latticini sempre più cari, al consumo. Ma il prezzo pagato dalle aziende ai produttori resta basso. C'è malessere tra i produttori di latte bovino. Sul mercato nazionale (e per la verità anche europeo) il prezzo del latte aumenta, e così quello dei suoi derivati, formaggi etc. Secondo Confartigianato Alimentazione, che ha condotto un'indagine sul costo delle materie prime alimentari, il prezzo del latte è aumentato dal 5 al 10% tra giugno 2006 e giugno 2007. Aumenta il prezzo di vendita al pubblico, ma non quello percepito dai produttori. E nelle organizzazioni di categoria serpeggia la rivolta. La Confagricoltura Campania ha deciso di aprire una vertenza con le aziende di trasformazione: dice che loro hanno già ritoccato i loro listini, con rincari del 20%, ma non hanno adeguato il prezzo pagato ai produttori. La Cia Puglia (sta per Confederazione italiana agricoltori) annuncia che non sottoscriverà l'accordo interprofessionale sul prezzo del latte, firmato invece da altre organizzazioni professionali il 3 agosto, perché giudica che penalizzi i produttori: fa notare che sono rincarati cereali (più 40%) e mais (più 50%) di cui vengono nutrite le mucche, e anche la polvere di latte somministrata ai vitellini (più 80% in tre mesi), così il margine di guadagno degli allevatori è sempre più risicato. Eppure, i consumatori sono costretti a sborsare sempre di più per latte fresco e latticini. Effetto di un mercato distorto?
Il Manifesto

domenica 12 agosto 2007


 
News

Nuova protesta degli agricoltori a Bruxelles, 250 trattori intorno alle sedi Ue. Roghi davanti all’Eurocamera: polizia usa idranti e lacrimogeni.
Circa 250 trattori hanno bloccano le strade principali del quartiere delle istituzioni Ue a Bruxelles chiamati a manifestare da Fugea, dalla Federazione dei Giovani Agricoltori (FJA), dalla Federazione Vallone dell’Agricoltura ( Fwa), dalla Rete di sostegno all’agricoltura contadina (RéSAP) e dal Coordinamento europeo. >>



Gates e Zuckerberg puntano sull'agricoltura: "Cibo vero solo per ricchi"
Altro che carne sintetica e dieta vegetale. I grandi imprenditori dei Big Data sembrano andare proprio nella direzione opposta. Mentre, infatti, la sostenibilità planetaria spinge le economie a orientarsi verso la produzione di cibo sintetico, loro investono su terreni agricoli e sulla produzione di carne tradizionale di altissima qualità. E naturalmente altissimi costi e ricavi. >>



FPP2 GRATIS, ANNUNCIO DI BIDEN, COSA ASPETTA DRAGHI?
Il presidente USA Biden, raccogliendo la richiesta che da tempo avanza Bernie Sanders, ha annunciato che gli Stati Uniti forniranno mascherine ffp2 gratis ai cittadini. >>