TRUFFA E VERDURA SULLE TAVOLE DEGLI ITALIANI.
Frodi commerciali. Irregolarità sull'etichetta. Traffici di prodotti
avariati. Spacciati come italiani e invece coltivati all'estero. Senza
controlli su pesticidi e additivi. La pirateria alimentare è arrivata sulle
nostre tavole.
Se non ci sono più le stagioni di una volta, meglio dedicarsi a una coltura
nuova, si sono detti i contadini della Pianura padana. E hanno cominciato a
piantare arachidi: 250 ettari, a fini sperimentali, alla ricerca di nuove
piante resistenti all'acqua. In quel momento, anche la concorrenza si è
messa al lavoro. E a tempo di record, seguendo percorsi più accidentati di
quelli delle carovaniere sulla via della Seta, è arrivata in Italia
nell'attimo esatto in cui i produttori iniziavano la raccolta. Riversando
sul mercato 20 mila chili di noccioline provenienti dalla Cina.
Commercializzate come italiane. E sequestrate dalla Guardia di finanza.
È alimentare l'ultima frontiera della contraffazione: frutta e verdura di
provenienza estera, etichettate come italiane. Made in Italy fatto alla
svelta nei porti. Clonazioni che non arretrano neanche davanti ai prodotti
di qualità certificata. Pirati che anzi giocano col prezzo, alzando le
pretese per meglio camuffarsi. E che scivolano alla svelta dai container,
per confondersi, sfusi, sui banchi dei mercati.
Secondo le analisi della Coldiretti, è falso un prodotto su dieci. Vale a
dire una beffa da 18 miliardi, considerato che il settore in Italia, secondo
produttore europeo di frutta e verdura, vale 180 miliardi di euro l'anno (il
15 per cento del prodotto interno lordo).
Come se non bastassero i finti parmigiani e le pseudomozzarelle, taroccati
con il tricolore in etichetta per essere venduti all'estero e infliggere
alla nostra economia un colpo basso da 50 miliardi di euro (tanto è il
fatturato mondiale delle imitazioni alimentari italiane), la contraffazione
affila le sue armi. E sposta la sfida a casa nostra. Naturalizzando i falsi
con tanto di documentazione.
Un fenomeno in crescita, sul quale i produttori stanno richiamando
l'attenzione.
Fotografato ora e reso ancora più allarmante dalle cifre di chi è in prima
linea per accertare illeciti nel comparto agro-alimentare: i carabinieri
delle Politiche agricole, funzionalmente dipendenti dal ministro delle
Politiche agricole e forestali. Secondo il 'Rapporto sull'attività 2006'
appena elaborato, su 118 aziende controllate nel solo settore
dell'ortofrutta, 149 sono state le violazioni accertate, 389 le persone
segnalate all'autorità giudiziaria; 48 miliardi di euro l'ammontare dei
contributi verificati, 21 le aziende proposte per la sospensione dagli
incentivi europei.
"Ci siamo trovati di fronte a prodotti che fanno il giro del mondo prima di
approdare in Italia", dice il comandante dei carabinieri delle Politiche
agricole Pasquale Muggeo: "Frodi commerciali. Irregolarità sull'etichetta.
Megatruffe ai danni dell'Ue. Traffici di prodotti avariati". Campioni della
contraffazione, per frutta e verdure fresche, non sono i cinesi, anche se a
livello europeo il 72 per cento dei prodotti taroccati proviene dalla Cina.
In Sicilia è emergenza per la concorrenza sleale dei carciofi egiziani, che
invadono il mercato confondendosi con quelli locali e deprezzandoli. E così
il prodotto, a furia di scendere di prezzo (secondo l'Ismea da 30 centesimi
al chilo alla produzione nel gennaio 2006 ai 20 di quest'anno), ha
trascinato in piazza i produttori. Nel frattempo, Catania, Caltanissetta e
Palermo sono invase da carciofi che al mercato costano 10 centesimi l'uno:
"Impossibile che siano siciliani", avvertono i coltivatori. E non sono i
soli. Secondo il Rapporto dell'Ispettorato centrale per il controllo della
qualità dei prodotti agroalimentari in Sicilia, nel 2006 l'indagine su
prodotti con origine diversa da quella dichiarata ha portato a 23
irregolarità accertate, 12 contestazioni amministrative, 15 sequestri per 16
tonnellate di ortofrutticoli.
Sempre nell'isola, è periodicamente sotto assedio il pomodorino di Pachino,
indicazione geografica protetta (igp) con bollino al solo prodotto
coltivato, confezionato e sigillato nei territori di Pachino, Portopalo di
Capo Passero e alcune zone di Noto e Ispica. Tra i tentativi di imitazione
più frequenti, pomodorini illecitamente importati dall'Egitto o dal Marocco.
A Vittoria, i carabinieri hanno sequestrato 3.600 scatoloni di pomodoro e
sorpreso gli operai di un'azienda mentre sostituivano l'etichetta spagnola
con quella dell'igp.
Ma la lista potrebbe allungarsi: dall'uva dal Sudafrica alle pesche dalla
Grecia, dagli agrumi spagnoli alle pere argentine, dall'aglio cinese alle
patate egiziane, dal fagiolino dal Senegal alle nocciole dalla Turchia, sui
banchi di vendita finisce di tutto. Prodotti che diventano italiani
addirittura con un doppio salto d'etichetta.
"C'è il sospetto che una prassi piuttosto costante sia quella della Spagna,
che importa dal nord Africa e rietichetta come merce comunitaria", dice Pier
Luigi Romiti, della Direzione economica e internazionale di Confagricoltura:
"Si sospetta anche che agrumi dal Sudamerica possano essere immessi sul
mercato europeo probabilmente dai porti di Alicante e Murcia. I cinesi,
invece, sono campioni del trasformato: soprattutto concentrato di pomodoro".
"Ci sono prodotti immediatamente identificabili come di provenienza estera:
banane, avocado, ananas che generalmente non creano problemi", afferma
Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti: "Le distorsioni
insorgono quando arrivano prodotti contemporanei a quelli nazionali, come le
mele francesi. O frutta non di stagione, come le ciliege in questo periodo,
improbabili eppure plausibili per la convinzione che sia ormai possibile
produrre di tutto in serra in ogni stagione. Questa percezione alterata
consente ai prodotti stranieri, anche di illegale provenienza, di insinuarsi
sul mercato come italiani. Abbiamo calcolato che il 10 per cento dei
prodotti è falso. È un dato importante, perché questo è un mercato
estremamente volatile: basta una quantità minima di prodotto in più in
vendita per farlo crollare. Il danno è difficile da quantificare, ma enorme:
all'economia e ai nostri parametri di qualità".
Non si tratta, insomma, di una difesa del made in Italy a tutti i costi. La
pirateria alimentare preoccupa perché solleva questioni di sicurezza: che
garanzie ha il consumatore di non acquistare prodotti trattati con pesticidi
vietati? Che i paesi di provenienza abbiano standard di sicurezza
all'altezza delle norme europee su additivi, coloranti, conservanti?
"Non possiamo evidentemente imporre metodi di produzione ai paesi terzi, ma
eventualmente controllare che il sistema utilizzato garantisca un livello di
sicurezza equivalente al nostro. Il nostro compito è di vigilare alle
frontiere prima dell'importazione, affinché tutti gli alimenti provenienti
dall'estero rispettino i nostri standard alimentari", sottolinea Paola
Testori Coggi, direttore della Commissione europea competente per la
Sicurezza della catena alimentare: "Qualunque prodotto in arrivo da un paese
terzo, una volta giunto in Europa è sottoposto a controlli, in modo da
verificare che rispetti le misure a tutela della salute fissate dalla nostra
legislazione. I controlli alle frontiere, nel caso dell'ortofrutta, vengono
effettuati a campione. Si verificano il livello di residuo massimo dei
pesticidi e gli additivi utilizzati nel processo di produzione. Di certo i
controlli sono più difficili per questi prodotti, dato che possono entrare
da qualunque punto delle frontiere esterne dell'Unione europea, a differenza
delle carni, che hanno specifici punti di accesso. Inoltre, mentre per le
esportazioni di carni è necessaria un'autorizzazione, per frutta e verdura,
i paesi terzi possono esportare senza autorizzazioni specifiche, perché
prodotti considerati storicamente meno rischiosi. La sicurezza è affidata ai
controlli: la legislazione alimentare europea, che è una delle più rigide,
fa della catena alimentare europea la più sicura al mondo. Per essere
efficace, però, deve essere sostenuta da un'altrettanto severa applicazione
da parte dei paesi membri".
L'Italia della buona tavola, che con una crescita del 10 per cento all'anno
si fa promotrice del biologico in Europa, che vanta il primato dei prodotti
certificati (155), si scontra con conseguenze delicatissime.
"Né dal punto di vista della qualità, né della sicurezza il prodotto
taroccato dà garanzie ai consumatori", ribadisce Rolando Manfredini,
responsabile Qualità e sicurezza alimentare di Coldiretti: "L'Europa impone
regole forti, prima fra tutte quella della rintracciabilità dell'intera
catena alimentare, che rende i produttori in grado di togliere un prodotto
dal mercato in caso di pericolo. Questo è un requisito sconosciuto in Cina e
in India. Due regolamenti si occupano di igiene alimentare e disciplinano
pericoli fisici (ad esempio, le caratteristiche del vetro delle bottiglie),
chimici (come i fitofarmaci impiegati) e microbiologici (funghi, batteri,
crittogrammi). I nostri pesticidi sono sottoposti ogni anno a uno screening
di revisione. I prodotti di qualità si basano su disciplinari di produzione
certificata che non hanno uguali al mondo. Il principio di precauzione
applicato agli ogm dà origine a un sistema di rintracciabilità ed
etichettatura estremamente rigido. Escludo che paesi del Medio Oriente,
Cina, India o Thailandia, che producono con costi inferiori ai nostri del
30-40 per cento, offrano queste stesse garanzie".
I costi di produzione più bassi danno, invece, un'ulteriore stangata al
sistema italiano: condizionando l'andamento dei prezzi. "La nostra
ortofrutta subisce già una crescente pressione dai prodotti ufficiali
d'importazione", spiega Arturo Semerari, presidente dell'Ismea, l'Istituto
di servizi per il mercato agricolo alimentare: "Le importazioni in Italia
stanno aumentando, mentre le esportazioni stentano a decollare. Si esporta
per 2,4 miliardi di euro, si importa per 2 miliardi. La differenza,
positiva, è tuttavia in calo. Rispetto al 2005, l'importazione di ortofrutta
è aumentata del 19 per cento. La conseguenza è un generale calo dei prezzi.
Se si aggiunge la concorrenza di prodotti travestiti da italiani da paesi
come Marocco e Turchia, si capisce il danno dal punto di vista economico".
Secondo i dati della Cia-Confederazione italiana agricoltori, la produzione
è scesa nel 2006 del 2,8 per cento. I costi sono saliti dell'1,4 per cento.
Sono calati gli investimenti (- 1,8 per cento) e i consumi agroalimentari (-
1,2). I redditi degli agricoltori sono scesi del 4,2 per cento.
"Siamo di fronte a un fenomeno gravissimo, che ha avuto notevole incremento
negli ultimi anni", denuncia Federico Vecchioni, presidente di
Confagricoltura: "È necessario che siano intensificati i controlli nei punti
sensibili: l'Europa allargata sta diventando preda di paesi dalle enormi
capacità produttive che hanno ora la consapevolezza di avere di fronte un
mercato di 480 milioni di persone".
I soli paesi dell'Africa settentrionale hanno quintuplicato le loro
esportazioni verso l'Italia. E cresce il volume delle importazioni:
dall'Ecuador per le banane, Spagna e Francia per albicocche e fragole, Cile
per l'uva, Nuova Zelanda per i kiwi.
Ma per tutelare i consumatori dal rischio di truffe, "ben vengano i
controlli nei consorzi. Purché siano estesi anche ai punti vendita, ai
ristoranti, ai mercati rionali dove si vende prodotto sfuso", dice Salvatore
Dell'Arte, presidente del Consorzio di tutela del pomodoro di Pachino: "E
che siano tempestivi: effettuarli dopo 20 giorni dall'arrivo dei carichi
significa concedere troppo tempo al mercato della contraffazione. Sostenere
l'origine di un prodotto è l'unica chance che la nostra economia ha di
fronteggiare un mercato così concorrenziale. Perché noi possiamo
confrontarci con i prodotti importati solo sul piano della qualità e della
sicurezza". E dei metodi di coltivazione: "Di recente, in un carico di
patate proveniente dall'Egitto, abbiamo riscontrato un batterio non dannoso
per l'uomo, ma pericoloso per la vegetazione. In altre circostanze sono
stati segnalati insetti nocivi", dice Maurizio De Santis, dirigente del
Servizio fitosanitario del ministero delle Politiche agricole: "In questi
casi, la merce è sottoposta a quarantena. Se il problema non è eliminabile,
viene distrutta". Secondo l'ultimo 'Rapporto' del ministero della Salute sui
residui di fitosanitari negli alimenti, la presenza di campioni irregolari è
stata riscontrata in misura maggiore su carciofi dall'origine incerta, sul
prezzemolo di provenienza sconosciuta, su limoni di dubbia origine, che su
prodotti italiani.
Ma proprio sull'etichettatura si acuisce lo scontro con Bruxelles: "Un logo
europeo potrebbe trasmettere in modo più efficace il messaggio di qualità
dei prodotti alimentari", ha detto Mariann Fischer Boel, commissaria europea
all'Agricoltura, sintetizzando la partita aperta con l'Italia. In gioco è la
legge 204 del 2004 sull'etichettatura di alcuni prodotti alimentari tra i
quali frutta e verdura. Un obbligo più esteso rispetto a quello previsto
dall'Europa all'indomani dell'emergenza mucca pazza. Poiché l'indicazione
dell'origine sarebbe lesiva della concorrenza, una procedura di infrazione è
aperta nei confronti dell'Italia: "Incita il consumatore a preferire
prodotti nazionali", ha scritto la Commissione al nostro ambasciatore. Ma
sul punto le associazioni sono categoriche: non si torna indietro. Il
ministro delle Politiche agroalimentari Paolo De Castro è dalla loro parte:
"Se sarà necessario, e saremo sostenuti dalle organizzazioni dei consumatori
e delle imprese, punteremo a modificare le regole dell'Unione".
Task force extravergine
Più di 300 ristoranti controllati in tutta Italia. Per scoprire che il 18
per cento del totale continua a offrire alla clientela olio sfuso in
contenitori anonimi.
La task force del ministero delle Politiche agricole ha avviato, all'inizio
di febbraio, controlli a tappeto, per verificare l'applicazione della legge
81 dell'11 marzo 2006. Che prevede il 'divieto ai pubblici esercizi di
proporre al consumo olio di oliva in contenitori non etichettati' (articolo
4, legge 81 dell'11 marzo 2006): via le ampolle, dunque, e le bottigliette
riempite con chissà quale olio.
Ma la questione, come hanno dimostrato i controlli, è ancora aperta. E se
l'alta ristorazione sta cominciando a valorizzare il prodotto, resta
frequente il caso di miscugli di olio spremuto da olive spagnole, greche,
tunisine e spacciato come italiano. Un grave danno per un paese come il
nostro che conta 250 milioni di piante, 450 varietà di olive, una lunga
tradizione nella produzione olearia, 37 oli extravergini Dop.
Intanto, tocca produzioni record l'olio spagnolo che, con un totale di 10
milioni di quintali previsti per quest'anno, supererà la produzione
nazionale, ferma a 6,3 milioni di quintali. E già si intravede l'offensiva
di olio extravergine proveniente da paesi emergenti: in testa il Cile, con
una qualità fortemente in crescita.
Sugli scaffali, sostiene la Coldiretti, la situazione è evidente: è
straniero l'olio contenuto in quasi una bottiglia su due.
Se il merluzzo diventa un tonno
Anche per il pesce, contraffazioni e irregolarità nella vendita.
Tracciabilità anche per il pesce, per distinguere tra catture legali e
illegali. E un'etichetta ecologica, per seguire il pesce dalla rete al
piatto, entro giugno 2007. È la proposta, avanzata qualche giorno fa, dal
Parlamento europeo. Che ha adottato la relazione della parlamentare francese
verde Marie-Helene Aubert e sollecitato gli Stati membri ad attuare il piano
d'azione europeo del 2002 sulla pesca illegale.
Il testo, che contiene anche l'idea di un registro comunitario sulle navi
praticanti pesca illegale, e prevede sanzioni pesanti con esclusione dagli
aiuti comunitari in caso di violazioni gravi, arriva dopo l'intensificarsi
di episodi di pesca illecita e la segnalazione di gravi irregolarità nella
vendita del pesce.
In Italia, per la vendita al dettaglio di prodotti ittici, anche se
lavorati, sono previsti dal 2002 specifici cartellini, per informare i
consumatori sulla denominazione della specie, il metodo di produzione, la
zona di cattura. Ma denominazioni incomplete o non corrette sono all'ordine
del giorno.
Alla fine del 2006, un'indagine di Altroconsumo ha verificato la
corrispondenza tra prodotto dichiarato e specie ittica effettivamente
venduta su un totale di 140 campioni di pesce. I risultati sono stati
allarmanti: i filetti e i tranci di pesce acquistati ai banconi della grande
distribuzione, nelle pescherie o dalle bancarelle di sei città italiane
erano nella maggior parte dei casi sostituiti con pesci di minor pregio.
Meglio la situazione dei prodotti surgelati, a eccezione degli impanati,
svincolati dagli obblighi di etichettatura. Un'ulteriore indagine, limitata
però solo ad alcuni punti vendita di Milano, aveva rinvenuto tracce di
metalli pesanti: soprattutto cadmio e mercurio. E in quattro casi su 13 era
stato trovato monossido di carbonio, vietato dall'Unione europea, e
utilizzato per aumentare la conservazione del pesce e donargli una
colorazione rosso acceso, tale da ingannare il consumatore dando
un'apparenza di freschezza. Il pesce sospetto proveniva dal bacino asiatico,
ma arrivava sulle nostre tavole dopo aver transitato dall'Olanda. L'invito
era stato di diffidare dal tonno troppo rosso. (fonte: L'Espresso)
Green Planet
domenica 25 febbraio 2007
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