Alon Schwartz. Riscoprire una strage dimenticata.
Nel suo ultimo documentario, il regista israeliano dà voce al ricercatore Teddy Katz che per primo ha fatto luce sul massacro di palestinesi avvenuto nel villaggio di Tantura durante la guerra del 1948 ma fu costretto al silenzio
(autore Christian Elia - Tratto da Altreconomia 251 — Settembre 2022)
“Di solito un regista è capace di spiegare molto bene perché sceglie di raccontare una storia, ma devo essere sincero: è questa storia che ha scelto me”. Alon Schwartz risponde da una spiaggia di Tel Aviv che sembra lontana anni luce dalla questione palestinese. Autore del documentario “Tantura” (una coproduzione di Reel Peak Films e dell’emittente israeliana Hot 😎, Schwartz racconta la guerra del 1948, seguita all’unilaterale nascita dello Stato d’Israele, rifiutata dal mondo arabo, quando centinaia di villaggi palestinesi furono spopolati. Gli israeliani la chiamano “guerra d’indipendenza”. I palestinesi Nakba.
Il documentario di Schwartz racconta la storia di quello che accadde nel villaggio di Tantura, sfidando quello che nella società israeliana è un vero e proprio tabù. “Volevo fare un documentario sulle leggi che negli ultimi anni hanno messo sotto accusa Ong come B’Tselem e tante altre -racconta il regista-. Volevo far riflettere gli israeliani, almeno quelli preoccupati della deriva antidemocratica del Paese. La narrazione governativa non si riferisce più alla realtà, ma alla percezione della stessa. Ho deciso che il mio film avrebbe parlato della prima manipolazione, quella che è alla base di tutto il resto: la nascita d’Israele”.
Schwartz si mette a cercare la storia giusta, fino a quando gli raccontano di Teddy Katz. Il documentario ruota tutto attorno alla figura di questo ricercatore, che all’Università di Haifa propone una tesi di dottorato particolare: raccogliere le memorie dei veterani della guerra del 1948. “Sono andato a intervistarlo solo perché avevo saputo che era stato cacciato dall’Università per il suo lavoro -racconta il regista-. Fin qui, lo confesso, niente di speciale, è capitato a tanti. Non avrei mai immaginato di trovarmi di fronte a quel materiale”. Schwartz inizia una serie di incontri con Katz, che ha conservato maniacalmente tutte le registrazioni delle sue interviste di trent’anni prima. Gli intervistati sono i veterani del battaglione Alexandroni, che operò nella zona del villaggio palestinese di pescatori di Tantura. Commisero crimini di guerra e contro l’umanità.
“Nella tranquillità con la quale i veterani raccontavano cose orribili c’era tutto: senso di impunità, convinzione che non ci fosse prezzo troppo alto per la nascita d’Israele”
Come racconta Katz nel film, i soldati di fronte a lui si sentirono tranquilli all’epoca: in fondo non era un giornalista, era passato tanto tempo, il materiale finiva in una tesi che non avrebbe letto nessuno. Uno alla volta raccontano di omicidi di civili innocenti, degli ordini dall’alto di fare pulizia etnica e di cancellare le tracce. Katz pubblica tutto, ma il senato accademico di Haifa boccia il suo dottorato e lo rende un paria della comunità scientifica. Katz non demorde, fa ricorso in tribunale, perde. Pubblica tutto su un quotidiano, ma tutti gli intervistati -compresi i sette soldati che avevano ammesso di essere stati testimoni o di aver commesso crimini di guerra, tra cui esecuzioni, torture, stupri e saccheggi- ritrattano le loro testimonianze.
Katz, costretto a firmare una sorta di “abiura” per non perdere tutto a causa delle richieste di danni degli intervistati, resta per anni chiuso nella sua casa, solo e malato, attorniato dai suoi nastri. “Ho ascoltato tutti i nastri, per ore, per giorni. Ed ero sconvolto -racconta Schwartz-. Nella tranquillità con la quale i veterani raccontavano cose orribili c’era tutto: senso di impunità, convinzione che non ci fosse un prezzo troppo alto per la nascita d’Israele, certezza che sarebbero stati coperti”.
“Tantura” è un documento importante, realizzato con cura: testimonianze di esperti, filmati e fotografie d’archivio inediti, che lasciano pochi dubbi su ciò che è accaduto. Parla alla società civile israeliana, è un dialogo interno, tra israeliani, sulle basi della loro democrazia. Schwartz rintraccia tutti i veterani ancora vivi che, ancora una volta, non negano e difendono quello che hanno fatto e solo una minima parte mostra un lieve ripensamento, non sull’aver attuato una pulizia etnica ma sul fatto che bisognerebbe riconoscere ai palestinesi il loro dolore.
“A Tantura ci siamo scatenati -dichiara nel film Yossef Diamant, veterano di quella battaglia che ha assistito alle conseguenze-. Ma è stato messo a tacere”. Diamant ricorda un soldato che ha usato una mitragliatrice per uccidere gli uomini catturati mentre erano seduti all’interno di un recinto di filo spinato, e che altri hanno inseguito gli abitanti del villaggio con un lanciafiamme e hanno violentato una donna. Un secondo veterano, Chaim Levin, racconta di aver visto un uomo con un cappello a tesa larga uccidere 15 o 20 prigionieri “a sangue freddo” con una pistola.
“Solo rompendo il muro di omertà delle narrazioni nazionali e dei falsi miti sull’esercito più ‘morale’ del mondo e riconoscendo quello che è stato potremo uscire dal conflitto”
Schwartz rintraccia anche la giudice che cassò il ricorso di Katz, ormai in pensione, che ammette candidamente come a lei non vennero fatte ascoltare le registrazioni raccolte dallo storico. Con l’aiuto delle moderne tecnologie, il regista torna a Tantura, che è oggi una località turistica. Quel che resta del massacro è solo nei ricordi dei sopravvissuti, perché non c’è traccia del villaggio palestinese. Con l’aiuto della geolocalizzazione satellitare, Schwartz riesce a trovare la fosse comune delle vittime del 1948, oggi coperta da un parcheggio, che le autorità israeliane hanno rifiutato di scavare sostenendo che si tratta solo dell’opinione di uno storico vecchio e malato.
“Quello che è peggio per me è che la gran parte dei cittadini israeliani non ha avuto il diritto di sapere. Per la maggioranza di loro è solo un posteggio come un altro. Magari non gli importerebbe lo stesso, ma non lo sanno. Questo documentario è per tutti gli israeliani, per me e per i miei figli. Ed è per persone come Katz”, conclude il regista. “Per molti è un perdente ma per me è la parte migliore di questa società. Solo venendo a patti con i nostri tabù, solo rompendo il muro di omertà delle narrazioni nazionali e dei falsi miti sull’esercito più ‘morale’ del mondo, solo riconoscendo quello che è stato potremo uscire dal conflitto. Se temo di fare la fine di Katz? Può essere, non mi interessa. Non voglio vivere comunque in un Paese che ha paura di dire la verità”.
Altraeconomia 251
lunedì 20 maggio 2024
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