Giuditta Brattini, la cooperante di Verona evacuata da Gaza è rientrata: «Dentro di me il vuoto è grande, voglio tornare» «Bombe, distruzione e ora al sicuro Ma penso sempre a quei bambini»
(Di Enrico Ferro)
Giuditta Brattini, cooperante veronese della onlus Gazzella, lei è rientrata sabato a Verona dopo un lungo periodo trascorso a Gaza. Può raccontare cos’ha visto in queste ultime due settimane?
«Gli ultimi 15 giorni a Gaza li ho trascorsi nel parcheggio Unrwa a Rafah, e poi altri due giorni in una struttura di una ong sempre a Rafah.
Abbiamo dormito nelle macchine, all’aperto. Scarseggiavano acqua e generi alimentari. Sicuramente rispetto
alla situazione di 1 milione e 400 mila persone evacuate dalle loro case, la nostra era una condizione privilegiata. Avevamo un bagno, senza doccia, per 40 persone».
Come vive la gente lì ora?
«Per i palestinesi riparati nelle scuole dell’Unrwa, o in quelle governative, o sistemati nei giardini intorno
agli ospedali, la situazione è molto critica. In particolare quella igienico sanitaria: infezioni polmonari, gastroenteriti, malattie della pelle. Ma soprattutto mancano cibo ed acqua. Lo scatolame è per tutti l’unica risorsa alimentare».
Qual è il sentimento collettivo in questo momento?
«La popolazione è stremata, il 46% delle abitazioni sono state distrutte o danneggiate.
Guardare al futuro è difficile, e si aspetta con ansia il cessate fuoco. I palestinesi sanno che dopo dovranno
affrontare come al solito i tempi della ricostruzione delle case e convivere con le difficoltà derivanti dalla
mancanza di acqua, cibo, elettricità e lavoro».
Che compito aveva lì?
«Visitavo i bambini inseriti nel progetto di adozione a distanza, monitoravo le attività di riabilitazione per
bimbi e adulti con disabilità, controllavo i servizi delle due cliniche dentali inserite nelle Primary Health Care
Clinic. Con l’inizio dei bombardamenti tutte le attività sono state sospese per ragioni di sicurezza, le scuole
sono chiuse. Dal 7 di ottobre in poi non ho più potuto svolgere l’attività sul territorio ».
Chi l’ha aiutata a mettersi in salvo?
«L’uscita dalla striscia di Gaza è stata coordinata dal Consolato Italiano di Gerusalemme e del Cairo e
dall’Ambasciata Italiana al Cairo. Sono uscita con altri tre italiani, con operatori di Medici Senza Frontiere e altri cooperanti di diverse nazionalità.
Con noi al crossing di Rafah sono usciti dalla striscia circa 500 palestinesi e diverse ambulanze che hanno trasportato i feriti più gravi, ben 76, nell’ospedale di Al Arish».
Come si sente ora che è a sicuro a casa?
«Ho lasciato la striscia di Gaza senza avere alcuna informazione sui nostri bambini, inseriti nel progetto di adozione. Nawra, una nostra collaboratrice, ha perso il figlio Majd di 27 anni in un bombardamento lo scorso
10 ottobre e Mohammed, altro nostro operatore, è stato ferito a gamba e braccio. Sono avvilita per non aver avuto la possibilità di essere operativa come nelle passate aggressioni o situazioni di attacchi armati. Mi dispiace non essere d’aiuto sulle ambulanze, nel pronto soccorso dell’ospedale Shifa, e di non riuscire a seguire il personale paramedico nelle visite alle famiglie sfollate nelle scuole Unrwa per la distribuzione dei medicinali.
Il rientro in Italia, nella mia famiglia, è molto importante, ma rimane un vuoto».
Ha in programma di tornare a Gaza?
«Rientrare a Gaza è sicuramente in agenda. Voglio pianificare, con le associazioni Gazzella Onlus e Fonti di Pace Odv, una rete di associazioni presente nella striscia di Gaza, un modo per organizzare gli interventi a favore delle famiglie rimaste senza casa. E poi tornare a vedere i bambini, nell’ambito del progetto di adozione».
Quale futuro attende quel popolo, secondo lei?
«La narrazione degli eventi ci parla di numeri morti e feriti, case e infrastrutture distrutte, mancanza di acqua
e cibo... Dati e informazioni utili a comprendere la gravità di quanto accaduto e che evidenziano il rischio di sopravvivenza per la popolazione. Ma si tornerà a ricostruire.
Il prezzo più alto lo pagheranno i bambini che a dieci anni hanno già visto numerose aggressioni armate
e hanno conosciuto l’impatto distruttore della violenza. Cresceranno con conseguenti disordini post
traumatici che segneranno per sempre la loro vita. Con questa aggressione la Carta Internazionale della tutela
dei diritti dei bambini finisce del cestino, insieme ai dettati della IV Convenzione di Ginevra». —
Il Mattino di Padova
martedì 7 novembre 2023
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