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Diario della crisi | Appunti per una critica del diritto prossimo venturo – di Gianni Giovannelli.

In questo secondo appuntamento del Diario della crisi – rubrica nata dalla collaborazione tra Effimera, Machina e il periodico El Salto – Gianni Giovannelli analizza la crisi del diritto. L’autore sostiene che non si tratta di una generica stretta repressiva limitata al diritto penale, bensì di una trasformazione più complessiva delle norme ordinamentali, civili, amministrative, lavoristiche, marittime, militari, interstatuali. Soprattutto in una situazione di approfondimento della crisi, viene mostrato come le differenti forme di dissenso diventino immediatamente criminali. Perciò analizzare le trasformazioni del diritto è un importante angolo prospettico attraverso cui ripensare le armi della critica.

* * * * * Fu un linguaggio del dispotismo e della tirannia il dire che la sola regola della legislazione è la volontà del legislatore. Gaetano Filangieri (La scienza della legislazione, I, III Napoli, Raimondi, 1780) * * * * * Costituisce un dato di fatto, oggettivo e incontestabile, che siano in corso mutamenti profondi nella legislazione italiana e che questi mutamenti trovino un puntuale riscontro anche negli altri territori del pianeta, perfino a prescindere dalle diverse strutture politico-istituzionali. Non si tratta di una generica stretta repressiva limitata al diritto penale, come un esame soltanto superficiale potrebbe indurre a credere; la trasformazione – di questo si tratta come ogni giorno appare sempre più evidente – si estende all’insieme complessivo delle norme ordinamentali, civili, amministrative, lavoristiche, marittime, militari, interstatuali.

Il mutamento Scricchiola e vacilla il tradizionale riferimento ai codici e perfino alle costituzioni, ovvero a uno stabile quadro di regole dei rapporti contrattuali e sociali, dentro un orizzonte temporale tale da consentire una qualche programmazione esistenziale. Certo: le guerre, le catastrofi naturali o le epidemie potevano imporre il varo di provvedimenti eccezionali, ma con l’intesa che poi sarebbe tornata la normalità. Perfino la Seconda guerra mondiale non riuscì a cancellare questa concezione dei patti di convivenza, nata durante il terremoto napoleonico e articolatasi nel concreto in mille diverse versioni. L’attuale capitalismo, rinnovato e finanziarizzato, procede invece, con determinazione, nel perseguire questa radicale mutazione, ritenuta ormai necessaria al processo di valorizzazione; non intende rallentare e tantomeno fermarsi. La pandemia, la guerra – ormai endemica e diffusa, non limitata alla punta ucraina – e la crisi, anch’essa a carattere permanente, sono un fattore di accelerazione, utilizzato con crescente professionalità nelle singole situazioni dagli addetti alla cabina di controllo e di comando. La pandemia ha generato ansia, timore, soprattutto un senso di rassegnazione servile, di accettazione della subordinazione quale unica possibile via di sopravvivenza. La guerra ha aggiunto una preoccupata insicurezza (per le fonti energetiche e per i rischi atomici) su cui viene coltivato sapientemente l’odio in luogo della solidarietà. Infine la crisi ha allargato la forbice fra ricchi e poveri, ha logorato il vecchio welfare e consentito tramite inflazione il prelievo del risparmio, così andando a indebolire la resistenza delle famiglie popolari, costrette ad accettare condizioni lavorative e retributive in costante peggioramento; le organizzazioni sindacali assistono, o impotenti o qualche volta complici, al disastro, comunque senza reagire. La scelta del capitale La scelta del capitale – e dei diversi esecutivi incaricati di mantenere l’ordine, pur variando il metodo per giungere allo scopo – par essere quella di un moderno dispotismo, adattato al territorio in cui si cala. Si tratta di una forma istituzionale adottata, per fatti concludenti, dalla teocrazia iraniana, dai laburisti australiani, dai nazionalisti indiani, dai comunisti cinesi e, ora, in continuità con Draghi, dai neofascisti italiani. Siamo in presenza di un concetto aggiornato di quella che viene definita come costituzione materiale. Come aveva intuito quasi duecentocinquant’anni or sono il nostro Filangieri, giurista geniale, il mezzo per imporre una sostanziale tirannia del più forte (economicamente e militarmente) consiste in una legislazione caratterizzata, in via principale, dalla sola volontà del legislatore insediato nelle sale del potere. Al tempo stesso un meccanismo di estrazione del valore (con esproprio dei frutti della cooperazione sociale) fondato sulla conquista dell’esistenza e dei corpi non può sopravvivere senza la sopraffazione che assicura il controllo; al cittadino della borghesia fordista subentra il suddito, diviso per separati segmenti (religione, ideologia, etnia, genere, nazione, censo). Ricomposizione e repressione Il nemico del capitale è la ricomposizione che si annida dentro la resistenza, dentro la protesta; la miscela di rivendicazioni, diritti certi, solidarietà, unità ed emancipazione rischia sempre di trasformarsi in rivolta e va disinnescata prima di esplodere, non dopo. La repressione del dissenso risponde dunque, nella fase attuale di transizione, al duplice scopo di assicurare il controllo e di incrementare la produzione sociale complessiva. Al tempo stesso l’attacco al welfare, il saccheggio del risparmio, l’esproprio di ricchezza collettiva consentono di recuperare risorse con cui far fronte ai costi delle singole crisi. Alla pianificazione del socialismo reale e del liberalismo fordista – fondata in entrambi i casi sul consenso, sul contratto e sulla certezza del diritto – si sostituisce, in ogni regime attuale, nessuno escluso, un orizzonte normativo di breve respiro, mobile, modificabile, piegato alle esigenze della crisi e a quelle del profitto. Un comportamento lecito può, per volontà del legislatore al comando, diventare illecito; le sanzioni possono essere cancellate, alleviate o aggravate per decreto di governo, secondo le oscillazioni della moneta o della carenza di materia prima; il patto o il contratto, anche fra privati, può essere rimosso, annullato, modificato dall’autorità. Variazioni del diritto Il sistema delle norme, dei diritti e delle obbligazioni diventa, nell’attuale assetto capitalistico, soggetto a sbalzi quotidiani come fosse una quotazione in borsa: il mercato si è impadronito della legislazione, rendendola fluttuante, abbattendo ogni certezza. Dopo la manovra finanziaria, con il decreto governativo di fine anno (30 dicembre), perfino inquinare diventa opinabile: nella produzione di acciaio quel che si vieta come veleno a Catania o a Firenze lo si consente (e impone agli abitanti) a Taranto e Priolo. Il legislatore, nel tempo del dispotismo, giunge così ad arrogarsi il potere di colpire la salute pubblica, di favorire i tumori, statuendo pure uno scudo penale (così i media di regime chiamano l’impunità) ai funzionari incaricati del crimine legalizzato in nome della produzione d’interesse nazionale. Assolti gli inquinatori e presumibilmente condannati coloro che cercheranno di opporsi al loro avvelenamento; in questa vicenda potrebbe tornar buono il severissimo apparato sanzionatorio auspicato in forma di decreto punitivo dalla seconda carica dello Stato, avvocato Ignazio La Russa, contro i giovani verniciatori di Ultima Generazione. Nel paese degli Acchiappacitrulli, del resto, funziona proprio così; infatti Maya Bossier, giovane ribelle No Tav piemontese, dopo aver denunciato alla magistratura il poliziotto che le aveva tirato un cazzotto in faccia nel corso del fermo, ne ebbe puntuale conferma. Infatti il Tribunale di Torino (Giudice la dottoressa Costanza Goria) ha assolto il bastonatore e inflitto quattro mesi alla bastonata. Ancora: nessun risarcimento Inail riconosce a Giuliano De Seta, morto schiacciato in fabbrica durante lo stage, perché lavorava senza essere ancora stato promosso lavoratore da certificazione idonea. Al tempo stesso, tuttavia, una buona dose di carcere preventivo per i quattro ribelli che manifestavano contro la pericolosa insicurezza della legge di alternanza scuola-lavoro, senza rispetto per la gerarchia. La legge del capitale Questi episodi sono significativi, ma rientrano, in fondo, nel tradizionale indirizzo della cattiva giustizia italiana, sempre lesta nel punire i deboli e salvare i potenti, a volte dietro compenso, più spesso per convinzione. Ma quel che accade in questa fase della crisi è diverso da quanto avveniva in passato: alla violazione delle regole si sostituisce la cancellazione di norme giuridiche certe, rimettendo alla volontà dell’esecutivo la decisione in ordine al confine fra lecito e illecito, alla scelta di assolvere o punire, secondo le convenienze contingenti di governance e produzione. Questo processo è articolato, non è univoco, viene attuato per segmenti: sia con decisioni della magistratura sia con disposizioni normative sia ancora con interventi di carattere amministrativo. C’è del metodo in tale confusa strategia legata a obiettivi contingenti di brevissimo periodo, ma al tempo stesso mirata ad annientare il dissenso prima che diventi un fatto, criminalizzando come antisociale ogni tentativo di opposizione al regime.

Criminalizzazione continua Questa è la scelta del capitale dentro la crisi e dentro la transizione in corso: trasformare qualsiasi esperimento sul campo di ricomposizione, di solidarietà e di unità in una associazione per delinquere. Lo strumento tecnico giuridico per tale piano del capitale è, in Italia, l’art. 416 del vecchio codice penale fascista (Regio Decreto 19.10.1930 n. 1398), interpretato con la necessaria disinvoltura nella sua concreta applicazione, fino a innovarlo e stravolgerlo. Lo schema del 416 è semplice: prevede, a carico di promotori e organizzatori e per ciò solo, la sanzione da 3 a 7 anni (e dunque consente le intercettazioni, telefoniche o ambientali) quando 3 o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti. Per i semplici partecipanti all’associazione (per il solo fatto di partecipare) la pena oscilla fra 1 e 5 anni di carcere. Questo è il grimaldello con cui, qui e oggi, il dispotismo forza il contenitore dei diritti residui, per rimuoverli e affermare il proprio pieno dominio. Precedente di rilievo per questo filone giuridico è la sentenza n. 607/21 del Tribunale di Locri (Presidente il dott. Fulvio Accursio), a carico di Mimmo Lucano e di molti altri imputati; il reato associativo fu riconosciuto sussistente in una ipotesi di gestione dei fondi per lo sciame migrante in Calabria da parte di organismi no profit con le conseguenti durissime condanne oggi al vaglio d’appello (13 anni e 6 mesi al sindaco di Riace). Soprattutto, anche a prescindere dal caso specifico, fu l’occasione politica per criminalizzare l’intera rete del volontariato, dal salvataggio in mare al supporto tecnico di sportello fornito ai richiedenti asilo, fino all’assistenza sindacale durante lo svolgimento di lavori necessariamente precari. Questa operazione, nata e cresciuta quando il governo contava su larghe intese, prosegue ancora più violenta e astiosa con l’esecutivo Meloni (si consideri da ultimo il recentissimo decreto Piantedosi per contrastare le navi Ong). A Piacenza nella logistica Assai significativa è, successivamente, l’ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari di Piacenza, dottoressa Sonia Caravelli, nel procedimento penale radicato dal Pubblico Ministero già nel 2016 (R.G. 1827/2016), contro i dirigenti dei sindacati di base nel settore della logistica (Usb e Si Cobas) e su impulso delle grandi imprese di settore (da Amazon a Gls). Per quasi sette anni i quadri sindacali furono costantemente pedinati, intercettati, tenuti sotto sorveglianza occulta, proprio in ragione dell’ipotesi criminosa a carattere associativo; il numero di ruolo assegnato dal Gip (2023/2021 e 2019/2022) certifica l’indagine come secretata per almeno 5 anni, dal 2016 al 2021, in attesa dell’occasione storica per utilizzare un tale archivio ancora oggi sottratto nella sua interezza alla difesa degli indagati. Non ha remore la dottoressa Caravelli nell’esprimere il suo punto di vista sui militanti sindacali: alimentavano attorno alle loro persone reti clientelari di lavoratori interessati alla stabilizzazione e volevano poi sostenerli con la forza ricattatoria del sindacato di appartenenza (il corsivo è citazione testuale del provvedimento). L’organizzazione delle lotte salariali diviene dunque associazione per delinquere, volta a commettere i reati tipici del conflitto fra capitale e lavoro: il picchetto (610 c.p., violenza privata), l’occupazione dei piazzali e l’invasione dei reparti (508 c.p.), il mancato scioglimento dell’assembramento (650 c.p.), l’interruzione del servizio di recapito (340 c.p.), la resistenza alla forza pubblica (337 c.p.), il disservizio nelle linee (513 c.p.), l’oltraggio al pubblico ufficiale (341 c.p.), il blocco stradale (la legge Togliatti del 1948 modificata dal D.L. 113/2018 di Gentiloni), il danno al pubblico servizio in genere (331 c.p.). Neppure il ministro di polizia più anticomunista della prima repubblica, l’avvocato Mario Scelba, nel suo lungo mandato (1947-53) era giunto a concepire un simile quadro accusatorio in danno degli scioperanti; al più usava la mitica Celere o, per i più riottosi, il battaglione Padova che interveniva secondo necessità un po’ dappertutto. Ora, in questa nuova e aggiornata versione, l’associazione per delinquere è quella che raccoglie i lavoratori interessati alla stabilizzazione (intesi come reti clientelari!) e i delitti che costituiscono lo scopo della struttura criminale sono quelli dello sciopero e del picchetto, mentre le lotte salariali diventano la costruzione di una forza ricattatoria. Il capitalismo contemporaneo (delle piattaforme e della finanza) si discosta ormai dalla separazione sociale fra tempo di lavoro e tempo libero; l’intera esistenza dei corpi precari può, dunque deve, essere produttiva, va ricondotta dentro il complessivo processo di valorizzazione. Per questo, specie nell’ambito della crisi (o delle crisi) tutte le forme di dissenso diventano immediatamente nemiche del capitale e, pertanto, criminali. L’occupazione di case a Milano La quarta sezione del Tribunale di Milano (Presidente il dott. Giuseppe Fazio) ha accolto la tesi accusatoria del Pubblico Ministero dott. Leonardo Lesti e qualificato associazione per delinquere l’attività di Solidarietà Popolare nel quartiere del Giambellino. In pratica questa struttura territoriale fungeva da supporto agli occupanti di case popolari pubbliche, sfitte e abbandonate dall’Istituto, nel contempo dando vita ad attività culturali gratuite in zona. Secondo il periodico Internazionale su 2667 alloggi circa 900 risultavano vuoti; ma sostenere l’occupazione di quelli inutilizzati concreta associazione per delinquere e comporta nove condanne da 1 anno e 7 mesi fino a 5 anni e 4 mesi. E il Tav Non potevano, naturalmente, mancare nel mazzo i militanti contrari al Tav in Val di Susa: fallito ormai il tentativo della procura piemontese di colpire con la più nobile associazione sovversiva, la P.M. dottoressa Manuela Pedrotta si è servita del 416 c.p. ottenendo, dopo quasi tre anni di intercettazioni e pedinamenti, alcuni arresti nel corso dell’inchiesta chiamata «Sovrano». Si collocano fiduciosi in lista d’attesa i verniciatori di Ultima Generazione consapevoli che non tarderà l’intervento di qualche parlamentare in cerca di notorietà o di qualche magistrato solerte nei compiti assegnati dai tempi. Decreto Rave In linea con il disegno complessivo si pone, a fine anno, la conversione in legge con modifiche del decreto legge 31.10 2022 (c.d. decreto Rave), all’ultimo giorno, con la fiducia e l’aggiunta della cosiddetta ghigliottina (il nome rende bene l’idea di questo meccanismo parlamentare volto a tagliar corto e ad approvare in fretta qualunque cosa, senza necessariamente sapere di che si tratta). Rimane la pena da 1 a 6 anni, il che consente le intercettazioni, telefoniche e ambientali; rimane pure una certa vaghezza nel delineare l’area disciplinata dal decreto, il «raduno musicale» si presta a letture molteplici. In aggiunta all’occupazione arbitraria di terreni o edifici potrebbe infatti bastare la (inevitabile per gruppi spontanei non imprenditoriali) violazione della normativa (anche di un solo comma poco significativo!) sulla sicurezza e l’igiene (sterminata!) per far scattare la trappola accusatoria; anche i locali d’impresa (per prime le discoteche) incorrono spesso nell’infrazione di norme sull’igiene e sulla sicurezza (una jungla di disposizioni, spesso contraddittorie, di non facile lettura), ma con conseguenze ben diverse (sono contravvenzioni e si prescrivono presto) e incassi ben più sostenuti! In ogni caso rileva la premessa associativa nell’articolo 5 del decreto (promuove organizza), via maestra che consente senza troppa fatica di giungere al 416 c.p. solo aggiungendo un qualche altro delitto al già criminalizzato raduno musicale (questi Torquemada in sedicesimo avrebbero incarcerato volentieri quelli di Woodstock o dell’isola di Wight). Dalla frode fiscale per la vendita dei prodotti con marchio Genuino Clandestino alla ricettazione di chitarre hanno solo l’imbarazzo della scelta. L’importante è dominare. Questo articolo è stato pubblicato in contemporanea su Machina. Articolo tradotto e pubblicato su El Salto. Immagine in apertura: sciopero alla Fiat, Torino 1943
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lunedì 16 gennaio 2023


 
News

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