DICIOTTO MESI DI DISTOPIA (O NO?)
DICIOTTO MESI DI DISTOPIA (O NO?)
di Andrea Fumagalli.
Tutto comincia nel febbraio 2020 con l'evento del secolo, l’epidemia da Covid-19, qualcosa di sconosciuto, una mutazione della Sars. Se l'epidemia, nata in Cina, si fosse limitata a interessare quelle aree o altre aree di minor rilevanza per gli interessi anglosassoni e europei (come è successo in anni precedenti), probabilmente non ci avremo fatto caso più di tanto (come per Ebola in Africa). Ma la globalizzazione non fa sconti. L'interdipendenza economica, ora che la Cina ha acquistato sempre più egemonia nella logistica, porta anche la globalizzazione dei virus e così, per la prima volta da anni, anche il "civile" occidente ne viene colpito. L'epidemia si trasforma così in "pandemia", trucco semantico per dire che la cosa è grave e potrebbe nuocerci. Di fronte a tale potenziale allarme, che rischia di colpire il processo di accumulazione capitalistico, al di là del tentativo di trovare una scusa per attaccare il potere geo-economico della Cina (oramai già consolidato), è necessario correre ai ripari.
Inizia così la prima fase di questa storia. Nei mesi tra marzo e maggio 2020, il lockdown viene decretato in tutto il paese e, pur con modalità diverse, non solo in Italia ma anche in altre nazioni. Le città si chiudono. L’aria di Milano – per la prima volta dopo decenni - diventa respirabile, la cappa di smog sembra dissolversi, i conigli si avventurano nelle strade della metropoli. Ma nelle fabbriche, piccole e grandi, non cambia alcunché. Lo sfruttamento continua come prima. Il sistema sanitario, soprattutto nelle regioni supposte più avanzate (per il semplice fatto che la sanità privata ha il predominio su quella pubblica, come in Lombardia) si dimostra del tutto inadeguato a fronteggiare la situazione. I nodi della privatizzazione della sanità vengono al pettine. Ma di questo non si parla o comunque si parla meno, si parla poco. Si sussurra e si riflette. La sinistra, istituzionale e antagonista, si fa paladina della responsabilità individuale e della filosofia emergenziale che ci vuole tutti “a casa”. Una posizione ragionevole (a parte talune punte di isteria), se limitata alla situazione congiunturale del momento.Il punto è che la posizione responsabile si rivela illimitata e dunque controproducente nel medio periodo, con l’effetto di creare una sorta di blocco emergenziale del pensiero critico stesso, una sorta di “black-out” nella coscienza e nella capacità di empatizzare e continuare a fare lavoro politico e di incidere, di fare riflessionicoraggiose sulla congiuntura. Il tutto è accompagnato da dichiarazioni parossistiche: il capitalismo è al collasso, nulla sarà più come prima, ecc. Le brigate solidali si muovono, certamente, per le strade, con grande generosità, ma l’impressione è che il problema politico che si è spalancatonon venga osservato con la dovuta attenzione e tutto resti necessariamente ancorato al pane quotidiano da recapitare (importante!).
Inoltre, poi ci si penserà meglio, nel tempo, chiusi in casa davvero ci sono stati i bambini e i ragazzi con le scuole chiuse, quasi tutti i lavoratori/trici pubblici, in smartworking, i lavoratori e le lavoratrici del settore privato privilegiati. Le città pullulano comunque di rider, di corrieri, di fattorini, di gente di tutti i colori e di tutte le età (i poveri, gli invisibili) costretta ad arrabattarsi per mangiare che si accalca sui mezzi pubblici. Fuori dai negozi di alimentari ci sono le code, le cassiere dei supermercati lavorano a ritmo serrato, mentre sparisce il lievito di birra dai reparti frigo e insieme anche il loro posto di lavoro perché il bambino all’asilo non lo tengono più.
Nel frattempo entriamo in una seconda fase, entrano in gioco i “ristori”e si crea la necessità di sostenere i redditi delle famiglie, si comincia con forme, inusitate in Italia, di erogazione di reddito diretto incondizionato una tantum di 600 euro a tutti coloro che, indipendentemente dalla condizione lavorativa, hanno subito perdite di reddito. Su questo punto, si potrebbe aprire un dibattito interessante, ma che non riesce a decollare perché invece di chiedere l’allargamento della deficitaria, condizionata e sotto finanziata legge sul reddito di cittadinanza si chiedono interventi ad hoc, ancora una volta di tipo selettivo (reddito di quarantena, reddito di cura, reddito per gli artisti, ecc.). È l’ennesima occasione persa: invece di creare una mobilitazione (anche virtuale, visto che comunque bisogna stare a casa, tranne i lavoratori/trici),anche la sinistra di movimento mostra la sua miopia e paura, troppo presa a seguire i propri orticelli di riferimento. È comunque questa la fase dove si creanole premesse per un ripensamento critico della situazione che l’epidemia ha creato. Si creano alcuni momenti di assemblea virtuale, che, tuttavia, non riescono a decollare, anche per vincoli posti dal Covid-19. Il network della “società della cura” è in grado di favorire una mobilitazione sociale, ma rimane, al momento, in progress.
Il welfare, l’epidemia lo ha ampiamente dimostrato, è il nuovo terreno del conflitto sociale e occorre che diventi la punta di diamante contro l’ideologia neoliberista, l’individualismo responsabile e la sedimentazione di uno stato di emergenza che tende a divenire strutturale: reddito di base incondizionato, acceso ai beni comuni (tra cui la sanità, ovviamente), salario minimo, sperimentazioni di forme produttive autorganizzate magari con un nuovo tipo di moneta che è in grado di non sottostare al giogo ricattatorio delle grandi oligarchie finanziarie è possibile!). Purtroppo su questi temi, l’attenzione è stata subordinata alla (condivisibile, ma parziale) lotta per i diritti del lavoro, ogni volta che venivano minacciati. Ma ciò ha comportato spesso lotte di resistenza e non di attacco.
Finita l’estate 2020, l’epidemia, oramai,sembra decrescere ma a ottobre comincia la seconda ondata. Comincia la stagione dei vaccini, come possibile soluzione risolutiva: business economico tra i più redditizi degli ultimi anni, come abbiamo già avuto modo di scrivere (http://effimera.org/biopolitica-del-vaccino-di-andrea.../). Gli incentivi a vaccinarsi sono molteplici. Il più potente è sicuramente la decisione governativa di obbligare il green pass per tutti i lavoratori pubblici e privati. Non si possono correre i rischi di un secondo lock-down con un Pil che perde nell’anno il 9,6% e, poi, bisogna mostrare con forti politiche di governance sociale e economica che l’Italia è in grado di meritarsi i 191 miliardi del PNRR. L’ascesa di Draghi, con la più ampia maggioranza parlamentare che l’Italia repubblicana ricordi, conferma che c’è l’uomo forte al momento giusto. Il parlamento, già assunto nei decenni precedenti a puro strumento di ratifica di decisioni prese altrove, viene ulteriormente svalorizzato. I consigli dei ministri vengono sostituiti dalla cd. “cabina di regia”, il nuovo “triumvirato” al potere. Gli incontri durano pochi minuti. Non c’è bisogno di discutere. L’agenda Draghi è già dettata e non discutibile e i decreti leggi sono all’ordine del giorno. Gli interessi economici devono prevalere su quelli sanitari e politici.
L’obbligo del Green Pass come strumento che impone di fatto l’obbligo vaccinale se non si vuole perdere salario si muove ancora una volta nella logica della dicotomia: “responsabili” vs “irresponsabili”. La salute pubblica non è demandata ad un’azione politica collettiva ma ricade esclusivamente sulle spalle del singolo. Anni di minculpop ideologico sulla fine dell’ideologie e sul primato della libertà individuale a scapito di quella collettiva (mi occupo della mia salute e me ne frego di quella degli altri), esito di quella metamorfosi antropologica egemonizzata dell’homo oeconomicus, (neo)liberalis (come descritto da Dardot e Laval), si saldano con situazioni di malessere sociale ed economico, disinformazione, impotenza e frustrazione, il tutto condito dai processi di lobotomizzazione e eccitazione che i social media contribuiscono in modo decisivo ad alimentare.
Lo stato d’emergenza oggi in vigore (dovrebbe terminare il 31 dicembre, ma staremo a vedere) rischia di diventare la normalità della governance post neo-liberale, andando a sostituire i vincoli posti dalle politiche di austerity. A tal fine, occorre che l’emergenza possa essere procrastinata di volta in volta, attingendo a nuove motivazioni.
In questo periodo l’attenzione è attirata dalla questione Green Pass, che può rappresentare (e lo sta rappresentando) una potenziale bomba per i nuovi assetti di controllo sociale. Ci sono – così dicono le stime di Gimbe - tra i 4 e i 5 milioni di lavoratori che non lo hanno. Si paventa il rischio che tale situazione, connessa all’impossibilità di entrare nei luoghi di lavoro (a meno di non spendere più di 200 euro al mese in tamponi), possa comportare una maggior rigidità dell’offerta di lavoro. Ciò potrebbe creare un problema per le imprese, che, in questa fase di rimbalzo dell’economia, hanno bisogno di incrementare la domanda di lavoro, soprattutto precario: il rischio è un effetto negativo sul livello di produzione. Una situazione che è peggiorata dai problemi derivante dalle difficoltà della logistica e delle produzioni intermedie (componentistica) di far fronte alla rapida accelerazione della domanda di subfornitura /e le conseguenti tensioni sui prezzi).
Non è un fatto nuovo. Già in passato la fragilità della produzione a flussi ha messo a dura prova la nuova organizzazione del lavoro fondata sulle piattaforme. E non è un caso, che il nuovo paradigma tecnologico algoritmico ha come obiettivo accrescere i livelli di automazione nella gestione di tali flussi, in particolare, trasporto, grande distribuzione e magazzinaggio, sino a interessare anche i servizi avanzati alle imprese, quelli a più alto contenuto cognitivo e relazionale. E non è un caso che sulla gestione della logistica si giocano i nuovi assetti di potere geo-economico globale.
Un irrigidimento dell’offerta di lavoro metterebbe a nudo quelle contradizioni che abbiamo già visto operare (per altre ragioni) nel recente caso inglese dei trasportatori.
Ci potrebbe essere una semplice soluzione. Se partiamo del presupposto che alcune scelte individuali (seppur criticabili) devono essere rispettate e se il governo ha effettivamente a cuore la salute pubblica (non solo a parole), il sistema sanitario nazionale dovrebbe garantire l’accesso gratuito ai tamponi, chiedendo anche un contributo straordinario alle associazioni padronali (che sarebbero le prime a beneficiarne).
Invece si preferisce scientemente far marcire la situazione, sperando che gruppi di squadristi fascisti, strumentalizzando la schizofrenia e la confusione del presente, possano creare quell’ulteriore stato emergenziale che fa oggi molto comodo. Vedere i gesti di solidarietà e le lacrime da coccodrillo di molti politici di fronte all’assalto alla Cgil non solo mostra l’ipocrisia e il cinismo che oggi sta alla base della gestione del potere ma è anche osceno.
La distopia può aprire lo spazio all’utopia.
www.effimera.org
venerdì 29 ottobre 2021
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