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L’impatto degli allevamenti su salute ed ecosistema: le proposte dell’Associazione medici per l’ambiente.

L’impatto degli allevamenti sull’ambiente e sulla salute umana è oggi un tema ampiamente dibattuto e sempre più decisivo. Ne abbiamo parlato anche in questo articolo (https://ilfattoalimentare.it/carne-allevamenti-meat-atlas...), che riportava uno studio sulle emissioni delle prime 20 grandi aziende produttrici di carne, superiori a quelle di interi Paesi, come la Francia o la Germania. La questione è di grande importanza, anche e soprattutto sotto il profilo medico-sanitario, tanto che l’Associazione medici per l’ambiente (Isde Italia) ha voluto prendere posizione, promuovendo la creazione di un gruppo di lavoro per valutare tale impatto, con particolare riferimento al fenomeno degli allevamenti intensivi e allo sviluppo di quelli biologici. Da queste valutazioni è derivato un documento di sintesi. Si tratta di un position paper (https://www.isde.it/allevamento-intensivo-e-allevamento.../) che mette in evidenza gli effetti deleteri dell’allevamento in generale, e di quello intensivo in particolare, sia sul fronte delle alterazioni ambientali sia su quello più diretto della salute umana.

I primi punti presi in considerazione riguardano le conseguenze dello sviluppo degli allevamenti intensivi, a partire dal rischio di zoonosi, fenomeno presente da tempo ma balzato agli onori della cronaca con la diffusione del Covid-19, e il concorso allo sviluppo di antibiotico-resistenza trasmissibile anche ai consumatori. A questi si aggiunge l’impatto negativo sull’ambiente delle coltivazioni per l’alimentazione degli animali che, oltre a essere spesso caratterizzate da metodi inquinanti e poco sostenibili, sono anche tanto estese da cannibalizzare le aree agricole destinate all’uomo e hanno un indice di conversione assolutamente sfavorevole (*). Le problematiche indicate dall’associazione dei medici per l’ambiente riguardano anche il consumo di risorse idriche, l’inquinamento di acqua e aria e l’alterazione degli equilibri e della biodiversità, tutti aspetti relativi a ogni tipologia di allevamento, ma che si rivelano particolarmente dannosi in presenza di allevamenti intensivi. Per tutte queste tematiche, l’associazione cita una vasta bibliografia di studi, disponibile sia sul sito dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale - https://www.isprambiente.gov.it/it/@@search...) sia su quello italiano della stessa Isde (International society of doctors for environment - https://www.isde.it/?s=allevamenti) . La necessità degli allevamenti intensivi è legata, si legge nel documento, a quello che viene definito “l’equivoco del fabbisogno alimentare” che però, si precisa, non è aderente agli apporti effettivamente necessari a una sana alimentazione, ma è un fabbisogno presunto e ‘indotto’. Un’indagine mondiale presentata in sede europea nel 2016, dichiara la necessità di un aumento del 70% della produzione di proteine animali entro il 2050, nonostante la riconosciuta causa di inquinamento ambientale. Questo dato è determinato da un calcolo dell’incremento della richiesta da parte dei paesi in via di sviluppo, non dalla reale necessità. Il position paper dell’Isde ricorda che, già dal 2015, le carni processate come i salumi sono inserite dalla Iarc tra i cancerogeni certi (gruppo 1) e che quelle rosse sono valutate come probabilmente cancerogene (gruppo 2A), tanto che nel 2019 sono state stimate dal Global Burden of Disease circa 34 mila decessi per cancro all’anno come attribuibili a diete ricche di carni lavorate e rosse. La corretta piramide alimentare, quindi, determinerebbe un consumo di proteine animali molto contenuto e perfettamente in linea con le esigenze ambientali (Vedi immagine sotto) .

Quali sono, quindi, le soluzioni suggerite dall’associazione di medici? Un’ampia riflessione viene dedicata al ricorso al biologico che, secondo uno studio del Cnrs (Centro nazionale francese della ricerca scientifica - https://www.cambialaterra.it/.../per-sfamare-leuropa-ci.../), realizzato in collaborazione con ricercatori di tre università europee, del Jrc (Joint research centre) e dell’Ispra “nel 2050 potrebbe riuscire a sfamare tutta la popolazione europea”. Questo metodo è definito dall’ultimo regolamento approvato in sede europea (Reg.848/2018) come migliore prassi possibile “in materia di ambiente… e di benessere degli animali”. La legge non parla quindi esplicitamente di salute del consumatore, ma i medici per l’ambiente sottolineano la stretta correlazione con la salute dell’ambiente e il benessere animale. Viene però registrata dal documento dell’Isde una sorta di ‘scollamento’ tra le aspettative e le finalità del biologico e la sua reale applicazione, soprattutto in termini di qualità, quantità e criteri dei controlli. Si segnala quindi la necessità, per il settore, di una profonda ristrutturazione.

Queste le conclusioni e le richieste dell’Isde rispetto agli allevamenti. 1- Respingere l’opportunità e la necessità degli allevamenti intensivi; 2- Ammettere lo sviluppo dell’allevamento biologico in funzione dei fabbisogni alimentari fondati sul concetto di dieta sana fornito dalla Fao; 3- Sostenere la necessità, per l’allevamento biologico, di sottomettersi a una fase autorizzativa pubblica e a valenza sanitaria (**); 4- Chiedere controlli pubblici di sanità rispetto alle normative del biologico degli allevamenti (**); 5- Dato che gli allevamenti bio devono alimentare gli animali con mangime bio e quindi coltivare bio, chiede indagini specifiche in grado di correlare il trend del consumo di pesticidi nei territori in relazione alla superficie agricola utilizzata (tale tipo di indagine, condotta nella regione Emilia-Romagna, non ha dato i risultati attesi, a fronte di un incremento di superficie agricola bio, non risulta una riduzione dei pesticidi, né in termini di vendite, né in termini di rilevamanti in acque e terreni); 6- Chiedere il sostegno alla ricerca per la presenza di Ogm in alimenti e mangimi 7- Chiedere un protocollo di allevamento differenziato per specie; 8- Chiedere alla Ue un’imponente progettazione finanziaria di transizione per gli allevatori, con l’obiettivo di modificare il sistema di allevamento intensivo; 9- Chiedere che vengano superate le attuali distinzioni tra gli allevamenti (intensivo, biologico, etico, ecc.), per arrivare a un modello unico e regolamentato, di allevamento rispettoso di ambiente, natura, animali e salute umana; 10- Ritenere che il benessere animale reale e non virtuale sia fondamentale per armonizzare le necessità produttive con il rispetto di ambiente e natura, superando le vecchie concezioni produttive; 11- Ritenere fondamentale l’apertura degli allevamenti, dando così la possibilità agli animali di uscire dalla ‘ghettizzazione’ del cemento; 12- Ritenere fondamentale la politica Ue volta all’eliminazione delle gabbie in tempi strettissimi. --------------- (*) L’indice di conversione misura la quantità di mangime, espressa in chilogrammi, necessaria per l’accrescimento di un chilo di peso vivo dell’animale (**) Attualmente, chiunque voglia iniziare un’attività di allevamento biologico non è assoggettato a un iter autorizzativo da parte degli enti pubblici, né è controllabile, successivamente, da servizi pubblici a tutela della salute come i servizi veterinari territoriali. Gli unici controlli sono fatti dagli ispettori degli Organismi di controllo (Odc), enti privati pagati dal produttore. (autore: Chiara Cammarano)
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venerdì 15 ottobre 2021


 
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