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Le arance italiane in Cina inaugurano la via della seta! Peccato che il Paese asiatico sia il principale produttore al mondo!

Quattro mesi fa i giornali annunciavano con una certa enfasi la notizia delle arance rosse di Sicilia da spedire in Cina per inaugurare la via della seta. Pochi hanno preso in considerazione le difficoltà logistiche per fare arrivare a destinazione e in buone condizioni, container pieni di arance con un viaggio di 40 giorni. È vero che nella bella stagione arrivano in Italia container refrigerati riempiti di kiwi dalla Nuova Zelanda, perché i nostri ci sono solo in inverno, ma si tratta di frutti che resistono allo stress del trasporto e alla conservazione. Anche le mele si conservano per mesi in ottimo stato se tenute in magazzini a temperature, umidità e atmosfera controllata, ma per le arance è diverso. Gli agrumi rossi si conservano per circa due settimane, e questo intervallo è troppo breve per arrivare a Pechino. Bisognava fare delle prove per risolvere il problema. L’operazione è stata portata avanti da Oranfrizer, la maggiore azienda della filiera siciliana degli agrumi. Test non facile, considerando un tempo di navigazione di circa 40 giorni per arrivare a Shanghai e la procedura fitosanitaria che consiste nel mantenere nei primi 21 giorni la temperatura delle arance nel container al di sotto dei 2,1 °C.

“Nonostante le condizioni difficili in cui il test si è svolto – precisa Salvo Laudani, marketing manager di Oranfrizer – il risultato è stato positivo: le nostre arance rosse, accuratamente selezionate, sono arrivate a Shanghai in buone condizioni e immediatamente distribuite dall’importatore ai clienti che le avevano pre-acquistate. Adesso guardiamo con fiducia alla prossima campagna agrumaria, con l’obiettivo dichiarato di crescere gradualmente in Cina, magari potendo contare su tempi di trasporto più corti”. Per sostenere lo sviluppo in Asia, Oranfrizer, insieme ad altre sette aziende italiane dell’ortofrutta fresca e trasformata, potrà contare sul progetto “The European art of taste: Italian fruit & veg masterpieces”, finanziato dalla EU e gestito dal Cso di Ferrara con 3,7 milioni. Il budget servirà per promuovere nei prossimi tre anni l’esportazione in Cina, Giappone e a Taiwan di frutta fresca e derivati e per organizzare eventi, partecipare a fiere e attività di comunicazione anche sui social.

Fermo restando tutti questi elementi, nessuno ha valutato se da un punto di vista eco-ambientale vale davvero la pena trasportare frutta fresca in Paesi distanti oltre 8-9.000 chilometri. Qualcuno considera quest’iniziativa un assurdo, al pari dell’esportazione di bottiglie di acqua minerale negli Stati Uniti. Si tratta di un insulto all’eco-sistema, reso possibile dai costi ridicoli di trasporto delle navi porta container in grado di ospitare 10-20 mila unità.

Un altro punto su cui riflettere è capire perché la Cina, considerato il principale produttore di agrumi e derivati al mondo, dovrebbe importare le arance rosse siciliane. “In Cina la coltivazione delle arance rosse è iniziata da qualche anno – precisano gli addetti ai lavori – ma si tratta di frutti qualitativamente non paragonabili a quelli che crescono alle pendici dell’Etna, dove le condizioni pedo-climatiche forniscono un prodotto di eccellente.” Sarà anche così, ma esportare arance italiane (anche di pregio) in Cina è un po’ come esportare pomodori San Marzano nel Paese che anche in questo segmento risulta essere il primo produttore al mondo. Certo il Made in Italy a tavola è insuperabile, ma ha davvero senso esaltarsi per così poco e investire tanti soldi per le arance da mandare in Asia? (di Roberto La Pira)
https://ilfattoalimentare.it

martedì 1 ottobre 2019


 
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