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PFAS: ALIMENTI CONTAMINATI NESSUNA SICUREZZA. L’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITA’ CONFERMA.

Da una recentissima indagine dell’Istituto Superiore di Sanità emerge incontestabilmente il ruolo degli alimenti nella contaminazione da PFAS (Uova, carni, latte e alimenti vegetali). Nella Zona Rossa sono fortemente contaminati i prodotti agroalimentari che provengono da allevamenti e terreni che usano acqua di pozzo. Si legge, tra l’altro, sul documento inviato dall’ ISS alla Regione “Permangono esposizioni elevate al PFOA in alcuni gruppi di popolazione. Specialmente nella zona A, le famiglie che fanno uso di pozzi privati… presentano livelli espositivi ancora eccedenti il TWI (Dose settimanale accettabile di PFAS).”

Queste persone (ALLEVATORI E AGRICOLTORI) presentano livelli di PFAS nel sangue molto più elevati del resto della popolazione locale. Secondo l’EFSA (Ente Europeo per la Sicurezza Alimentare) l’acqua contribuisce alla contaminazione da PFAS solo per il 20% mentre il restante 80% deriva dagli alimenti, pur essendo l’acqua il veicolo della contaminazione. Avevamo lanciato l’allarme nel 2016 e successivamente nel dicembre del 2018, riportando i nuovi parametri stabiliti dall’EFSA. Infatti le “rassicurazioni” allora pubblicate dalla Regione Veneto sulla mancanza di criticità, si basavano sui limiti giornalieri fissati dall’EFSA che risalivano al 2008, epoca in cui pochissimi studi si erano fatti sui PFAS. Per quanto riguarda il Pfoa, nel 2008 l’EFSA aveva fissato una dose giornaliera tollerabile di 1.500 nanogrammi per chilogrammo di peso corporeo al giorno. Adesso, invece, indica una dose settimanale tollerabile pari 6 nanogrammi per kg di peso, corrispondenti; per la sola acqua, a 0,86 nanogrammi al giorno. Per il Pfos, nel 2008 l’Efsa aveva fissato una dose giornaliera tollerabile di 150 nanogrammi al giorno per kg di peso corporeo. Adesso, invece, indica una dose settimanale tollerabile pari 13 nanogrammi per kg di peso, corrispondenti; per la sola acqua, a 1,86 nanogrammi al giorno. Questi nuovi limiti, infinitamente più rigorosi di quanto si pensasse undici anni fa, sono fissati dagli scienziati in base a una mole di ricerche sull’argomento che illustrano con maggiore precisione il RISCHIO. C’è una bella differenza tra i livelli massimi fissati dal decreto Zaia (390 ng/litro per i PFAS totali) e la quantità di PFAS massima che secondo l’EFSA può sopportare senza rischio il nostro organismo! Tuttavia il presidente della Regione, anche adesso che si conosce UFFICIALMENTE quanto siano pericolosi l’acqua e i cibi che noi mangiamo e che diamo da mangiare ai nostri bambini, si guarda bene dal prendere provvedimenti urgenti ed efficaci per proteggere la popolazione bonificando i mercati alimentari. I prodotti alimentari della Zona Rossa A vengono venduti dappertutto senza riserve di alcun tipo.

LE NOSTRE RICHIESTE Pertanto continuiamo a presentare le richieste già fatte , sperando che anche i sindaci del NOSTRO TERRITORIO, contaminato e negletto, si responsabilizzino verso i propri concittadini. 1) Modifica del superatissimo decreto regionale n. 1590 del 3 ottobre del 2017 che fissa i livelli massimi di PFAS negli acquedotti a 390 ng litro. Chiediamo che siano portati i massimi livelli di PFAS consentiti, il più possibile vicini allo zero, per tutti i cittadini del Veneto. 2) Misure immediate di abbattimento dei PFAS presenti negli acquedotti con l’apposizione di filtri. 3) Progettazione e realizzazione di nuovi acquedotti con prese da falde non contaminate. 4) Filiera, allegata ai prodotti alimentari e alle bevande immessi sul mercato, con marchio di certificazione PFAS FREE e nome e indirizzo del produttore e del distributore. 5) Indicazione dettagliata di eventuali residui di sostanze tossiche presenti negli alimenti e nelle bevande.

Zaia, dovrebbe occuparsi anche dell’acqua oltre che del vino (da lui denominato DOC). Le richieste dei cittadini sono urgenti anche se non viviamo, per fortuna, nel territorio baciato dall’ UNESCO. (di Giovanni Fazio)
https://newjbi.blogspot.com

lunedì 29 luglio 2019


 
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