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Quote latte, il gip: «Dati falsi, politici inerti e conniventi»

DISPOSITIVO-CHOC DEL TRIBUNALE DI ROMA. L’inchiesta era partita in seguito alle risultanze della commissione ministeriale voluta nel 2009 dall’allora ministro Luca Zaia. VENEZIA«I dati posti a fondamento delle quote latte in Italia sono non veritieri in quanto fondati su autodichiarazioni spesso false e su un sistema di calcolo errato». Peggio ancora: «La falsità dei dati è nota a tutte le autorità amministrative e politiche, rimaste consapevolmente inerti per vent’anni per evitare di scontentare singole corporazioni o singoli centri di interesse, così determinando ingenti danni allo Stato italiano che ha pagato le multe e agli allevatori-produttori che fino a oggi hanno rispettato le regole». Sono alcuni passi del provvedimento - durissimo - pubblicato martedì ed emesso dal giudice per le indagini preliminari di Roma, Paola Nicola, con il quale si archivia il procedimento avviato dalla procura capitolina che ipotizzava reati che andavano dall’abuso d’ufficio alla truffa, fino all’associazione per delinquere.

L’inchiesta L’inchiesta era partita in seguito alle risultanze della commissione ministeriale voluta nel 2009 dall’allora ministro Luca Zaia. Il sospetto era che l’Italia avesse comunicato all’Unione Europea una produzione di latte molto superiore a quella reale e questo, a cascata, potesse aver comportato multe inesistenti allo Stato e quindi agli allevatori. Le conseguenze sono note: produttori messi in ginocchio dalla cartelle esattoriali (centinaia i veneti coinvolti), proteste di piazza e un braccio di ferro politico che, a distanza di oltre vent’anni dagli scontri di Vancimuglio, non si è mai fermato. Ora arriva questo provvedimento del tribunale di Roma che sicuramente gli allevatori potranno brandire nei tribunali civili dove ancora si discutono i ricorsi contro le sanzioni. Perché il gip non usa mezzi termini, quando scrive che «l’unica certezza a cui si è giunti nel presente procedimento penale, è che i dati sui capi che producono latte è falso e che i numeri forniti da Agea (l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura, ndr) e dall’Istituto zooprofilattico sperimentale di Teramo sono del tutto inattendibili, tanto da conseguirne la non verosimiglianza di quelli concernenti il latte prodotto. D’altra parte è una questione di mera logica che, se è errata la cifra degli animali da cui si ricava il latte, non può che essere errato il quantitativo stesso del latte». Per il giudice sarebbero «quasi sei milioni i capi improduttivi inseriti nel patrimonio bovino produttivo nazionale». In pratica avrebbero conteggiato tutte le vacche, anche quelle troppo anziane per produrre il latte.

Le responsabilità Com’è stato possibile? Secondo il tribunale la responsabilità sarebbe di «fortissimi e occulti centri di potere tutti convergenti nel violare regole e controlli per far arricchire alcuni produttori e allevatori a discapito di altri». Di certo - scrive il giudice - «vi è stata per decenni una totale incapacità e superficialità, e verosimili connivenze, da parte degli organi di controllo degli assessorati all’agricoltura delle Regioni nell’ottemperare ai propri obblighi di accertamento (...) si sono intrecciati per anni malcostume, inerzia, negligenza, assenza del senso delle istituzioni e di rispetto delle regole di trasparenza (...) tali da rendere difficile, se non impossibile, l’individuazione delle responsabilità». Anche se si è chiusa con l’archiviazione, per gli avvocati Maddalena Aldegheri ed Ester Ermondi, che tutelano centinaia di allevatori, è comunque una vittoria: «Per la prima volta un tribunale mette nero su bianco ciò che ripetiamo da anni: il sistema delle quote era “truccato”. Finalmente si restituisce onore e dignità ai produttori che per primi denunciarono ciò che lo stesso giudice, oggi, definisce un gigantesco meccanismo di falsificazione dei dati». (di Andrea Priante)


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venerdì 7 giugno 2019


 
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