Prosciuttopoli: all’Ipq spariscono i documenti e scatta la sospensione. Il prosciutto crudo di Parma rischia la Dop
L’Istituto Parma qualità (Ipq *), dopo aver collezionato nel 2018 sei mesi di sospensione per non avere capito che circolavano quasi un milione di falsi Prosciutti crudi di Parma (scandalo Prosciuttopoli), il 16 maggio 2019 è stato sospeso nuovamente per tre mesi. Si tratta di un record poco invidiabile, che mette a serio repentaglio la filiera del prosciutto più famoso al mondo. Prima di spiegare i gravi motivi, va detto che l’Ipq è l’istituto incaricato dal Mipaaft per supervisionare le filiere e rilasciare la certificazione Dop al prosciutto di Parma, al prosciutto di Modena, al culatello di Zibello, al salame di Varzi. Si tratta di un ente con alle dipendenze decine di tecnici, analisti e operatori assunti per verificare il rispetto dei vari disciplinari. Nonostante ciò, l’Ipq non si è accorto che una parte rilevante della filiera del prosciutto crudo di Parma, per anni, ha snobbato le regole e ha commercializzato finti prosciutti Dop.
La prima sospensione di sei mesi è scattata nel 2018 perché Ipq non ha saputo individuare uno scandalo durato almeno 3-4 anni, che ha coinvolto oltre 300 persone e salumi per un valore di 80 milioni circa. Per un istituto di controllo, non capire che quasi un milione di cosce di suino non adatte a diventare prosciutto Dop vengono vendute a caro prezzo ai consumatori, è grave. La seconda sospensione sarebbe ancora legata allo scandalo Prosciuttopoli. Sapere il motivo è molto difficile perché Accredia ha un vincolo di riservatezza previsto nel regolamento. Secondo indiscrezioni di alcuni operatori del settore penalizzati dalla situazione di instabilità dell’Ipq che ormai va avanti da un anno, il problema riguarda ancora lo scandalo di Prosciuttopoli. Più in particolare la sparizione di resoconti di riunioni in cui bisognava decidere la smarchiatura di cosce che non potevano essere classificate come prosciutti Dop. Secondo altre fonti, il problema riguarderebbe anche un lotto di oltre 100 mila pezzi di dubbia origine giunto a fine stagionatura. I rappresentanti dei prosciuttifici non vogliono rinunciare al marchio, anche se acquisito in modo fraudolento e fanno pressioni. Gli ispettori di Accredia, dopo aver scoperto la scarsa trasparenza di certe operazioni, hanno chiesto chiarimenti che non sono arrivati. Da qui è scattata la seconda sospensione per tre mesi.
Le tre componenti dell’Ipq (Consorzio del Prosciutto di Parma, Associazione industriali delle carni – ASS.I.CA e Unione nazionale tra associazioni produttori suini – U.N.A.PRO.S.) hanno discusso a lungo su come risolvere le criticità e le procedure che hanno portato alla prima sospensione e il clima interno si è surriscaldato. Le tensioni legate allo scandalo sono andate avanti per mesi e la nuova sospensione indica che non sono state ancora risolte.
La vicenda è seria. Abbiamo chiesto senza successo chiarimenti all’Ipq, prendendo spunto da un’intervista rilasciata a La Repubblica il 22 maggio 2019 dal presidente Ugo Franceschini in cui dichiarava che l’Istituto era a conoscenza delle criticità emerse nella filiera e aveva avviato “una procedura straordinaria interna per gestirle, affrontarle e nel caso correggerle. Il lavoro che sta affrontando l’istituto è ispirato ai principi della corretta e imparziale attività di valutazione nel rispetto del Piano di controllo in vigore e dei disciplinari di produzione delle Dop e della riservatezza». Il problema è che mentre il presidente rilasciava dichiarazioni rassicuranti, gli ispettori di Accredia annunciavano una nuova sospensione per le vicende legate a Prosciuttopoli. Abbiamo chiesto senza successo lumi al Consorzio del prosciutto di Parma. Il consorzio pur facendo parte dell’Ipq continua a dichiararsi vittima, dimenticando che una parte rilevante dei suoi aderenti è coinvolta direttamente nello scandalo.
In questa vicenda che mina alla base una filiera di un prodotto considerato la maggiore eccellenza alimentare italiana, brilla l’assenza di Coldiretti e delle altre sigle del settore. In attesa che Coldiretti dica se e quanti dei 300 soggetti segnalati all’autorità giudiziaria per questo scandalo sono suoi iscritti, aspettiamo fiduciosi una presa di posizione nei confronti di chi “mette in pericolo il sistema produttivo di qualità italiano dei prosciutti” (frase usata dalla lobby degli agricoltori contro l’etichetta a semaforo cilena appiccicata sulle vaschette di Prosciutto di Parma).
Adesso la parola passa al Mipaaft che dovrebbe valutare le accuse e prendere provvedimenti, anche se in genere il ministero avalla le decisioni di Accredia. Dietro questa situazione che dimostra quanto sia lacunosa la gestione dell’Ipq, c’è il rischio di una revoca dell’autorizzazione e quindi l’impossibilità per il prosciutto crudo di Parma di avere la certificazione Dop.
Le regole sono chiare, l’Ipq per non incorrere in altre sospensioni deve mostrare i documenti spariti, deve dimostrare di avere creato le condizioni per evitare il ripetersi di episodi che violano i regolamenti. Se in questo periodo non succederà nulla, a novembre scatterà la revoca dell’incarico di certificazione e i prosciutti di Parma non potranno più essere marchiati come Dop. Il provvedimento coinvolgerà anche il prosciutto di Modena, il culatello di Zibello e il salame di Varzi. Vi terremo aggiornati.
(*) L’Istituto Parma qualità è un organismo privato, autorizzato dal ministero per le Politiche agricole alimentari relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli ed alimentari a svolgere le funzioni di controllo finalizzate a garantire che i suddetti prodotti rispondano ai requisiti dei rispettivi disciplinari di produzione. (di Roberto La Pira)
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mercoledì 5 giugno 2019
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