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Sono più grandi, crescono più velocemente ma si ammalano di più: tutti i cambiamenti dei polli domestici dall’avvento della produzione industriale.

Fino a quattro o cinque volte più grandi e pesanti dei loro progenitori selvatici, con muscoli pettorali molto più sviluppati a scapito di quelli pelvici, una crescita tre volte più veloce ma anche un elevato tasso di anomalie e deformità ossee. Sono i polli d’allevamento di oggi, secondo l’identikit tracciato da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di geologia dell’Università di Leicester, che in questi cambiamenti vedono un potente simbolo di come negli ultimi settant’anni i consumi umani siano stati in grado di trasformare radicalmente la biosfera terrestre. E arrivano a ipotizzare che le carcasse degli oltre 65 miliardi di polli macellati ogni anno nel mondo potrebbero rappresentare un marcatore geologico caratteristico dell’era in cui viviamo – che molti non esitano più a definire Antropocene – insieme a materiali artificiali come plastica o cemento.

In un articolo pubblicato a dicembre sulla rivista Royal Society Open Science, i ricercatori ricordano che, con quasi 23 miliardi di individui presenti in ogni momento sulla Terra, oggi polli e galline d’allevamento sono la specie di uccelli con più esemplari di sempre, che la loro biomassa è tre volte quella di tutti gli altri uccelli messi insieme e che il consumo di carne di pollo sta crescendo più velocemente di tutti, pronto a superare a breve quello del maiale. Un quadro reso possibile da un sistema industriale che negli ultimi decenni ha completamente meccanizzato ogni fase del ciclo produttivo, dalla deposizione delle uova alla macellazione. Prova ne è l’esistenza di colossi come Tyson Foods, leader americano nella produzione di polli da carne, in grado di macellare 35 milioni di animali a settimana (il dato è del 2012). Il cambio di passo nella produzione avicola si è registrato intorno alla metà del secolo scorso. Nello stesso periodo anche la biologia dei polli d’allevamento ha cominciato a cambiare in modo significativo rispetto a quella di animali allevati solo pochi anni prima, e ancor di più rispetto a quella dei loro progenitori selvatici, i polli comuni originari del Sud-Est asiatico e addomesticati circa 8 mila anni fa.

Per fare il punto su questi cambiamenti i ricercatori hanno confrontato misurazioni effettuate su campioni di scheletri di pollo ritrovati in numerosi siti archeologici dell’area di Londra e risalenti a vari periodi, dall’epoca romana alla fine del diciannovesimo secolo, con dati relativi sia a polli selvatici sia a quelli d’allevamento attuali. Inoltre hanno sistematizzato una serie di informazioni già disponibili in letteratura scientifica su vari aspetti dell’evoluzione del pollo domestico. Il primo punto a emergere dalla loro analisi riguarda la differenze nelle dimensioni, con i polli di oggi che appaiono come giganteschi rispetto a quelli del passato. Un primo balzo in avanti nella grandezza si sarebbe verificato tra quattordicesimo e diciassettesimo secolo, quando anche per altri animali domestici si è registrato un aumento di dimensioni. Dopo alcuni secoli di stabilità, i polli hanno ripreso a ingrandirsi nella prima metà del novecento, mentre cominciava ad aumentare vertiginosamente anche la velocità di crescita, oggi tre volte più elevata che in passato, anche se al momento sembra essersi stabilizzata. Nel giro di soli settant’anni siamo riusciti a ottenere dai polli molta più carne e molto più in fretta. Si tratta di un grosso vantaggio per l’industria alimentare a scapito però del benessere degli animali, che – sottolineano i ricercatori – soffrono oggi di “molteplici e significative malattie ossee”, a partire da una ridotta ossificazione responsabile di frequenti zoppìe. La rapida crescita dei muscoli di petto e zampe va a discapito di uno sviluppo adeguato di organi come cuore e polmoni, tanto che provando a spostare l’età media di macellazione per i polli da carne da cinque a nove settimane, si registra un aumento di sette volte del tasso di mortalità spontanea.

Oltre alla forma del corpo, nel tempo sono cambiate anche la genetica di questi animali – che è diventata sempre più uniforme – e la dieta. Se quella del pollo comune, selvatico, è naturalmente onnivora, la dieta di quello d’allevamento è basata soprattutto su cereali come mais, frumento, orzo a cui possono essere aggiunti farine di pesce e scarti rilavorati del processo produttivo (gusci, piume, sangue, ecc.). E per il futuro si prospettano nuove diete a base d’insetti che potrebbero portare a un nuovo aumento della velocità di crescita. Insomma, per i ricercatori non ci sono dubbi: l’avvento del “super pollo” a crescita accelerata può essere visto come una segnale di cambiamento globale della biosfera, e i suoi resti ossei potrebbero addirittura diventare un marcatore geologico dell’Antropocene. Il tasso di accumulo di carcasse è oggi elevatissimo e se è vero che in natura le ossa di pollo non fossilizzerebbero facilmente, questa possibilità diventa più concreta nelle discariche di rifiuti in cui vengono versate in abbondanza. (di Valentina Murelli)
https://ilfattoalimentare.it

martedì 15 gennaio 2019


 
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