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Coca-Cola al posto dell’acqua. Il disastro della multinazionale in Chiapas dove il diabete dilaga e i morti crescono del 30%.

C’è una zona del Messico che sta pagando sulla pelle dei propri abitanti tutte le contraddizioni e gli effetti negativi di una politica che per decenni, pur di avere in casa le multinazionali, ha chiuso gli occhi sulle possibili conseguenze per la salute dei cittadini. In Chiapas quasi ogni famiglia è colpita dal diabete di tipo 2, e la mortalità specifica è aumentata del 30% tra il 2013 e il 2016, mentre le mutilazioni e le cecità associate alla malattia flagellano chi è ancora in vita. La causa del disastro è chiara: gli abitanti della zona, dove piove ogni giorno (è una delle più piovose del Messico), non hanno a disposizione acqua potabile. Quando le cose vanno bene, i rubinetti rilasciano ogni due giorni un liquido imbevibile a causa dell’elevatissima clorazione. E allora bevono Coca-Cola e altre bibite gassate e zuccherate (Pepsi compresa). E si ammalano.

La storia, raccontata da due inviati del New York Times andati a San Cristóbal de las Casas per cercare di capire cosa stia succedendo, ha inizio diversi decenni fa, quando l’azienda di Atlanta ottiene, dal governo federale (e non da quello locale, particolare importante perché il denaro corrisposto non viene investito in zona) il permesso di usare l’acqua dei pozzi naturali, in cambio dell’impegno a migliorare la distribuzione della rete tra le popolazioni del Chiapas. Sino ad oggi nulla è stato fatto per migliorare gli acquedotti e la rete idrica che si sta sempre più logorando . Diversa è la situazione per l’azienda che estrae oltre un milione di litri di acqua al giorno, e paga circa 10 centesimi ogni mille litri circa. Non solo. La pochissima acqua che arriva nei paesi è inquinata da colibatteri e da altri microrganismi, che la rendono spesso imbevibile, perché le acque reflue non sono trattate e finiscono per inquinare le falde e la rete. L’unico provvedimento preso è stato il finanziamento di un impianto di trattamento delle acque reflue, che potrebbe garantire acqua a 500 famiglie nell’area di San Cristobàl. Secondo molti attivisti della zona si tratta di un provvedimento tampone che non risolve i veri problemi, e che risulta del tutto insufficiente.

Nel frattempo, in più di cinquant’anni la Coca-Cola, attraverso la sua appaltatrice Femsa, molto protetta politicamente (anche l’ex presidente del Messico Vicente Fox aveva ricoperto il ruolo di CEO), ha lasciato intendere che la bevanda non fa male, soprattutto tra alcune popolazioni indigene come quella dei Tzotzil, anche attraverso pubblicità in dialetto locale. Adesso le soda sono parte integrante di molte cerimonie rituali e alcuni anziani, tra i quali molti guaritori, sono convinti che la bibita possa guarire soprattutto la dissenteria, e non vogliono saperne di abbandonarne il consumo, nonostante l’incredibile aumento del diabete. Anche perché il costo è praticamente identico a quello dell’acqua in bottiglia. L’azienda si difende chiamando in causa la globalizzazione, il riscaldamento globale, la scarsa pianificazione industriale urbanistica della zona e altre motivazioni generiche, e sottolinea che oltre 400 persone hanno un lavoro grazie all’imbottigliamento. I ricercatori di alcuni enti di ricerca indipendenti fanno notare che le precipitazioni della zona non sono cambiate negli ultimi anni, mentre il diabete, un tempo quasi assente, miete 3.000 vittime ogni anno.

Ma la situazione potrebbe cambiare. Le recenti politiche di Trump hanno modificato la sensibilità tanto della popolazione quanto dei suoi rappresentanti, non più così propensi ad accettare qualunque privilegio e comportamento scorretto, se arriva da un’azienda statunitense. Il clima è diventato ostile e tra la popolazione sta crescendo la consapevolezza di avere informazioni più veritiere per la salvaguardia della salute. Il caso del Chiapas dimostra tragicamente sul campo quanto forte sia il legame tra soda e diabete e obesità, che le stesse aziende produttrici per decenni hanno cercato – e tuttora cercano – di negare o minimizzare. (di Agnese Codignola - 26/07/2018)
https://ilfattoalimentare.it

mercoledì 15 agosto 2018


 
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