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Il Vajont di cemento che può divorare una fetta di Veneto.

Tre progetti ad alto impatto minacciano la Bassa Padovana: cittadini e istituzioni uniti in una rivolta senza precedenti. Un Vajont di cemento, che altro? La Bassa Padovana di oggi come la Longarone di ieri: in simultanea, e da tre lati, un’autentica alluvione di nuovi insediamenti rischia di devastare un territorio pazientemente modellato nei secoli dall’opera laboriosa dell’uomo: contribuendo così ad assegnare al Veneto l’ignobile record di un degrado che viene da lontano. Tre micidiali ondate successive si profilano all’orizzonte, complice la leggerezza di troppe amministrazioni pubbliche interessate solo all’incasso immediato, senza preoccuparsi di rapinare letteralmente il futuro alle generazioni che verranno.

Agrologic, Monselice, polo logistico e di lavorazione dell’agroalimentare: 300 mila metri quadri di cui 133 mila occupati da capannoni alti fino a 32 metri, 280 milioni di investimento. Centro commerciale, Due Carrare: 32 mila metri quadri alti due piani, il più grande del Veneto, a ridosso di un gioiello come il Castello del Catajo, 150 milioni. Terza corsia sull’A13 tra Padova e Monselice: 130 mila metri quadri di superficie occupata, 170 milioni. In tutto, uno tsunami da oltre 400mila metri quadri, con un giro d’affari di almeno 600 milioni. E un territorio violentato. In questa devastazione si mescolano vecchia e nuova incultura ambientale, ma anche vecchie e nuove furbizie. Evidenti, l’una e le altre, soprattutto nel caso di Due Carrare: dove ancora nel 1994 venne cambiata la destinazione d’uso di un’ampia area tra il casello autostradale di Terme Euganee e il Catajo, da agricola a commerciale. Non una novità, certo: anzi, l’ennesima manifestazione di un male antico. Nel giro di appena vent’anni, tra il 1961 e il 1981, il Veneto ha perso più terreno agricolo di quanto non fosse capitato nei due millenni precedenti, denunciava già diverso tempo fa Nico Luciani, allora direttore della Fondazione Benetton. E l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale, organismo del ministero dell’Ambiente), nel suo ultimo rapporto segnala che in Italia la cementificazione divora 4 metri quadrati al secondo, pari a 35 ettari al giorno, e che negli ultimi 25 anni è stato perso un quarto della superficie coltivabile.

In questo autentico saccheggio attuato dai moderni lanzichenecchi spalleggiati da sindaci ignavi, Lombardia e Veneto sono l’epicentro italiano; con l’aggravante, per il Veneto, di avere metà degli abitanti, quindi di diventare la maglia nera nella quota pro capite della devastazione: quasi 2 mila ettari sono andati cementificati negli ultimi 25 anni, e nella graduatoria la peggiore è Padova con ormai il 19 per cento di suolo complessivo consumato. Qui si inserisce la questione specifica della Bassa Padovana, dove le tre questioni prima enunciate si tengono in modo stretto: un polo logistico-industriale e un mega centro commerciale a distanza di una manciata di chilometri spianano la strada alla terza corsia autostradale, non motivata dal minimo dato legato al traffico, anzi. Con il risultato di deturpare in modo irrimediabile un territorio nel quale è incastonato un autentico gioiello: il castello del Catajo, straordinario complesso monumentale, da poco restituito alla comunità grazie all’intelligente restauro di un privato. Il quale ha già fatto pubblicamente sapere che, se aprirà il nuovo mega centro commerciale proprio sotto le sue finestre, chiuderà i battenti per esplicita incompatibilità ambientale: o l’uno o l’altro. Per tutto questo, contro le tre alluvioni di cemento che si profilano all’orizzonte, si è saldato per la prima volta un inedito e robusto fronte trasversale, in cui accanto alle associazioni ambientaliste in prima linea da sempre, si sono schierati sindaci, associazioni del commercio, sindacati, settori della politica, semplici cittadini auto-mobilitati. Con un fiorire di iniziative spontanee che mirano a costruire un argine a prova d’urto.

L’esito peraltro non è per nulla scontato. Sul lato opposto si trovano grosse realtà immobiliari e delle costruzioni, che peraltro fanno il loro mestiere: è la politica che non deve sbragare. O almeno non dovrebbe. E invece in troppi casi traccheggia tra forma e interesse: da una parte il delirio dell’Italia del Tar West, dove le sentenze dei Tar spesso confuse e contraddittorie vengono usate come un alibi; dall’altra l’utile derivante dai proventi di nuovi insediamenti produttivi e commerciali, in tempi di vacche gracili per i Comuni. Con decisioni destinate a ricadere non solo sulle generazioni future, che si ritroveranno una Spoon River di cimiteri di cemento; ma anche a quelle presenti, perché già oggi la crisi manifesta dei centri commerciali sta falcidiando posti di lavoro. C’era una volta il Veneto di Palladio: sul quale grava oggi l’epitaffio di Virgilio, “parce sepulto”. (di Francesco Jori)
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mercoledì 19 luglio 2017


 
News

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