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Prove di trasmissione per una pandemia.

I focolai di infezione in Turchia dimostrano che il virus H5N1 si sta «allenando» per diventare più letale. E che il passaggio da uomo a uomo potrebbe essere vicino. Le notizie che arrivano dalla Turchia sono in chiaro scuro (è di ieri la notizia di quattro guarigioni di pazienti turchi curati con Tamiflu e Relenza), i messaggi degli esperti mondiali sono, vogliono essere, tranquillizzanti.

Tra panico e rassicurazioni, non è facile capire cosa sta davvero succedendo in quel paese troppo vicino all'Italia, e a quel virus, l'H5N1, troppo desideroso di garantirsi un futuro nella popolazione umana. Per esempio: siamo sicuri che il contagio uomo-uomo non sia imminente o non sia già avvenuto? Che il virus dell'influenza aviaria non stia accelerando il ritmo di mutazioni necessarie per una pandemia? Che i nostri allevamenti non siano a rischio? Che gli uccelli migratori malati non stiano per raggiungere l'Italia? Finora, e i focolai epidemici in Turchia non sembrano fare eccezione, il contagio è avvenuto quasi esclusivamente da volatile a uomo. Il passaggio accertato uomo-uomo si è verificato solo una volta, in Vietnam. Il virus, insomma, per ora non ha imparato a diffondersi facilmente e in modo rapido tra gli esseri umani (condizione decisiva per la pandemia). Non che non ci stia provando. «Più gente si infetta, più crescono le probabilità che il virus subisca quelle mutazioni che lo rendono temibile per l'uomo» avverte Pier Luigi Lopalco, epidemiologo del Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie. «L'H5N1 ha iniziato la strada che lo porta all'uomo. Affinché il percorso si compia interamente, sono necessarie 10 mutazioni nel gene della polimerasi virale, la macchina che fabbrica nuove copie di acido nucleico del virus» spiega l'immunologo Alberto Mantovani. «È preoccupante il fatto che alcune varianti dell'H5N1 abbiano già 7 di queste 10 mutazioni». È di pochi giorni fa la notizia che il passaggio animale-uomo del virus potrebbe avvenire a un ritmo maggiore del previsto. Come hanno rilevato epidemiologi del Karolinska Institute svedese, potrebbero esserci stati molti casi non gravi di contagio, risoltisi spontaneamente. «Queste ricerche suggeriscono che la frequenza di malattia lieve, con tosse accompagnata o meno da febbre, sia più elevata di quanto si pensasse» aggiunge Lopalco. In compenso questo significherebbe che il tasso di mortalità è inferiore all'attuale 50 per cento negli esseri umani (su 147 casi, i morti sono, fino a oggi, 78). Ma che cosa rende il virus letale in alcune persone? «L'H5N1, una volta nell'organismo, scatena una iperproduzione di citochine, molecole immunitarie che, in questi casi, finiscono per provocare una gravissima polmonite». Per ora non è possibile intervenire con farmaci, anche se, in futuro, si profila la possibilità di utilizzare molecole (come le statine) che inibiscono questa eccessiva reattività del sistema immunitario. Nel frattempo è lecito domandarsi se gli allevamenti italiani siano sicuri, o se invece non ci siano, magari nelle zone rurali, situazioni a rischio: contatti frequenti con pollame e scarsa percezione del pericolo, come in Turchia. «Anche in Italia esistono allevamenti rurali di polli, al Sud ma anche al Nord, specie nella Pianura Padana» afferma Stefano Marangon, direttore sanitario dell'Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie (che ora si trova in Turchia, insieme ad altri esperti internazionali). «Ma il rischio di contagio all'uomo è molto minore. In Turchia, nelle zone al confine con l'Iran, si registrano anche meno 10 gradi. I contadini sono costretti a tenere in casa i volatili, altrimenti morirebbero. In Italia contatto così stretto con l'uomo non c'è». Non solo, ci vogliono alte dosi di virus per infettarsi: «Non basta pestare un escremento di animale malato e portarne qualche traccia in casa». In Turchia i contagi fra i polli sono dovuti a volatili migratori malati che percorrono tre rotte: e queste non passano sull'Italia. Esistono altre rotte di uccelli migratori che attraversano il Paese. Proprio in queste zone potenzialmente a rischio (quelle umide, con laghi e paludi, dove gli uccelli possono fermarsi) l'Istituto zooprofilattico ha condotto e conduce controlli. Il piano nazionale di monitoraggio (i risultati saranno presentati entro il 31 maggio) prevede analisi sui volatili selvatici e sugli allevamenti. Viene escluso, finora, che in Italia il virus sia presente. «Noi effettuiamo prelievi su uccelli selvatici catturati da alcune associazioni venatorie e andiamo periodicamente negli allevamenti» puntualizza Marangon. «Gli animali più esposti al contagio sono quelli all'aperto, che possono entrare in contatto con le feci di volatili in stadio avanzato di infezione. Gli allevamenti al chiuso sono del tutto sicuri». «La situazione italiana non è quella turca» ribadisce Stefania Salmaso, responsabile del Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della Salute (Cnesps). «Ogni asl ha un servizio veterinario che lavora con efficienza. Un animale infetto non sfuggirebbe ai controlli, anche perché l'H5N1 uccide rapidamente». Salmaso è uno dei circa 800 medici italiani che lavorano all'Influnet, la rete italiana di sorveglianza dell'influenza stagionale. «Ogni settimana i medici fanno prelievi dalla gola dei pazienti per esaminare il virus della normale influenza e capire qual è la sua diffusione (al momento sappiamo che è ancora bassa). Influnet, in un certo senso, sta funzionando anche da collaudo per un'eventuale pandemia». Ma su quanto questa sia davvero vicina nessun esperto al mondo si azzarda a fare previsioni. (di Edoardo Altomare e Luca Sciortino)


panorama.it

martedì 31 gennaio 2006


 
News

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