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Altamura: Te lo do io il made in Italy — il grano da dove arriva?

Sono 5 le multinazionali che controllano il prezzo del grano duro a livello mondiale distribuendo in Europa circa 6 milioni di tonnellate, oltre a circa 3 milioni di tonnellate in Italia. Il Made in Italy avversato dalle normative europee che si sovrappongono a quelle nazionali IL “MOVIMENTO RISCATTO” SUL PIEDE DI GUERRA

Sotto il motto “Te lo do io il made in Italy”, si è tenuto giovedì 4 febbraio 2016 nel gremitissimo Teatro Mercadante un convegno organizzato dal “Movimento Riscatto”, a cui hanno partecipato il primo cittadino Giacinto Forte e il Comandante del coordinamento territoriale per l’ambiente di Altamura e Parco Nazionale dell’Alta Murgia, dott. Alessandro Palomba. Hanno relazionato il dott. Andrea Di Benedetto, docente di Scienze della Terra presso l’Istituto Tecnico Economico “F.M. Genco” di Altamura; il prof. Ruggiero Francavilla, gastroenterologo e docente presso l’Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari; il prof. Alberto Ritieni, docente di Chimica degli Alimenti presso l’Università degli Studi “Federico II” di Napoli; Domenico Viscanti, presidente del “Movimento Riscatto”, Domenico Carone portavoce e Gianni Fabbris, coordinatore del “Movimento Riscatto”. Prima di affrontare i temi tanto a cuore dei relatori, è stato introdotta una videoclip della nota trasmissione televisiva “Presa diretta” condotta dal giornalista Riccardo Iacona, famoso per le sue inchieste trasmesse su RAI 3, in cui sono state evidenziate le criticità nel comparto dell’agricoltura come la chiusura di circa 10 aziende al giorno a seguito dell’importazione del grano duro dalla Grecia, dall’Ucraina, dall’Australia e dal Canada per poi essere trasformato in semola destinata alla panificazione e alla pastificazione. Trasporti che avvengono con navi cargo da 200 metri di lunghezza con una capacità di circa 9.000 tonnellate che attraccano nel porto di Bari dove lunghe colonne di TIR attendono il trasbordo del prezioso carico di merce. Si parla di 1.500 automezzi che fanno la spola tra porto e aziende sparse nel territorio della provincia di Bari. Nave che impiega più di un mese, se parte dai porti australiani, senza transitare dal canale di Suez, per non pagare i diritti di transito, ma circumnavigando le coste dell’Africa, e attraverso lo stretto di Gibilterra giunge nel mare Adriatico. Quindi ci si può immaginare la sofferenza che subisce il carico durante questo lungo tragitto: scarsa aerazione al grano, la fermentazione che lo stesso subisce e le muffe che si sviluppano nel tempo per le escursioni termiche che a loro volta generano micotossine (funghi tossici) che inevitabilmente entreranno nell’alimentazione della catena umana.

Sul fondo della nave è normale che si svilupperanno dei grumi di grano, ovvero degli strati compatti, cementificati, causati dall’amalgama con l’umidità. L’importazione ovviamente ha fini diversi, ma uno è certamente sintomatico. Non è mantenere costante un equilibrio di mercato tra domanda e offerta. Bensì frenare se non affondare il prezzo richiesto dagli agricoltori italiani, attraverso una massiccia importazione di grano duro proveniente dall’estero. E’ una strategia internazionale che mette a dura prova la sopravvivenza delle aziende agricole italiane. Complice anche lo Stato italiano che nonostante le invocazioni di aiuto della Confagricoltori, resta sordo alle aspettative. Molte aziende agricole murgiane hanno ridotto drasticamente le loro produzioni di grano. Operano tutte con numeri in rosso bersagliate dal fuoco dello Stato e di Equitalia per il pagamento dell’IMU sui terreni e dalla silenziosa inondazione di grano proveniente dall’estero. E’ stato detto che sono 5 le multinazionali che controllano il prezzo del grano duro a livello mondiale distribuendo in Europa circa 6 milioni di tonnellate, oltre a circa 3 milioni di tonnellate in Italia, ovviamente a un prezzo assolutamente inferiore a quello richiesto dagli agricoltori dell’Alta Murgia. Sono le multinazionali che determinano il cartello commerciale. Il grano duro viene coltivato in Italia e se utilizzato a Km/0, cioè senza quelle condizioni precarie innanzi citate, verrebbe tutelata la salute del consumatore. All’Unione Europea poco importa la salute del consumatore, perché non ha considerato il notevole consumo di pasta e prodotti da forno che l’italiano fa basando la sua alimentazione primaria sulla pasta, rispetto ad altri stati membri della comunità la cui dieta è ben diversa.

Il made in Italy è l’etichetta di cui si fregia il nostro paese a dimostrazione dei peculiari processi di lavorazione che sono alla base della dietra mediterranea. Sul fronte della frode, la contraffazione silenziosa si insinua nella filiera del grano con maggiore veemenza. (DI Gianni Mercadante da Altamura)
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giovedì 30 marzo 2017


 
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