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A Ibm tutti i nostri dati sanitari. In cambio della nuova sede sull’area Expo

A fine marzo 2016, i quotidiani italiani danno la notizia entusiasti: il presidente del Consiglio Matteo Renzi, durante il suo viaggio negli Stati Uniti, ha firmato a Boston un importante accordo con l’Ibm. La multinazionale americana farà sorgere a Milano – sull’area Expo, accanto all’ipotizzato polo di ricerca Human Technopole – un suo centro europeo, con investimenti per 150 milioni di dollari e almeno 400 giovani ricercatori assunti. “Renzi”, scrive felice, per esempio, il Messaggero, “trasforma in un fatto quella che solo fino a ieri era una promessa, il polo d’eccellenza della ricerca internazionale da far nascere nell’area che ha ospitato l’Expo. E non lo fa con un annuncio. Ma firmando, nero su bianco, un Memorandum of understanding con l’Ibm per impiantare il primo centro in Europa del Watson Health proprio a Milano”.

Watson Health è un sistema di cognitive computing, una piattaforma per la raccolta e l’elaborazione di dati sanitari globali creata nel 2015 da Ibm per “migliorare la salute e la vita dei cittadini”. Incrocia le esperienze di data scientist, ingegneri, ricercatori e progettisti che raccolgono dati sulla sanità, con l’obiettivo di “migliorare la capacità d’innovazione di medici, ricercatori e assicuratori, facendo emergere elementi di conoscenza dall’enorme quantità di dati sanitari personali creati e condivisi ogni giorno”. Notato? “E assicuratori”. Quello che i giornali italiani a marzo 2016 non dicono è che lo sbarco di Ibm nell’area Expo – buco nero a cui da un paio d’anni si fatica a trovare un futuro – è subordinato alla consegna a Ibm dei dati sanitari degli abitanti della Lombardia, una delle regioni più ricche d’Europa. Sono le cosiddette “Protected Health Information”, che includono “i dati dell’assistenza sanitaria”, le “cartelle cliniche personali”, le “informazioni fiscali nominative o anonimizzate”. Cedendo all’azienda americana i “diritti all’uso per la memorizzazione ed elaborazione di tali dati a fini progettuali, nonché per l’utilizzo dei dati anonimizzati anche per finalità ulteriori a quelle progettuali”. Insomma: è in arrivo il Grande Fratello della Sanità che avrà a disposizione tutti i nostri dati sanitari. Nel documento “confidenziale” Ibm che il Fatto quotidiano ha potuto vedere, si legge: “Come presupposto per realizzare il Programma ed effettuare l’investimento, Ibm (incluse le società controllanti, controllate, affiliate o collegate, ove necessario) si aspetta di poter avere accesso – in modalità da definire – al trattamento dei dati sanitari dei circa 61 milioni di cittadini italiani (intesi come dati sanitari storici, presenti e futuri) in forma anonima e identificata, per specifici ambiti progettuali, ivi incluso il diritto all’utilizzo secondario dei predetti dati sanitari per finalità ulteriori rispetto ai progetti”. La sanità pubblica italiana consegnata tutta nelle sapienti mani di una multinazionale americana. “A titolo esemplificativo ma non esaustivo”, continua il documento confidenziale, “si ritiene cruciale avere accesso a dati dei pazienti, ai dati farmacologici, ai dati del registro dei tumori, ai dati genomici, dati delle cure, dati regionali o Agenas, dati Aifa sui farmaci, sugli studi clinici attivi, dati di iscrizione e demografici, diagnosi mediche storiche, rimborsi e costi di utilizzo, condizioni e procedure mediche, prescizioni ambulatoriali, trattamenti farmacologici con relativi costi, visite di pronto soccorso, schede di dimissioni ospedaliere (sdo), informazioni sugli appuntamenti, orari e presenze, e altri dati sanitari”. Ogni nostro respiro, ogni nostro battito, ogni nostro bacillo, ogni nostro pagamento per la sanità entrerà nei computer Watson Ibm per alimentare la loro capacità di apprendimento e sviluppare la loro intelligenza artificiale. I risultati che saranno via via raggiunti, gli algoritmi che saranno messi a punto grazie ai nostri dati resteranno privati. Ibm potrà venderli alle industrie sanitarie o alle compagnie d’assicurazione.

Ora la parola è passata alla Regione Lombardia, la prima d’Italia a essere coinvolta. Essendo stata bocciata la riforma costituzionale che toglieva i poteri alle Regioni, dovrà dare il suo ok. Viene qualche dubbio sul fatto che uno dei grandi mercati del futuro, quello della salute, sia di fatto regalato a una azienda privata, senza chiedere nulla in cambio, ma soddisfatti soltanto dalla promessa che questa apra un centro sui tribolati terreni Expo. I dati saranno “anonimizzati”, promette qua e là il documento. Ma ormai si stanno affinando sistemi in grado di rendere “reversibili” i dati anonimi, rinominandoli. Chissà se il Garante della privacy, così sensibile ad altre battaglie, avrà tempo per dire la sua anche su questo progetto. Comunque, anche anonimi, i dati sanitari della Lombardia sono un bene preziosissimo: perché passarli a un’impresa privata, esautorando del tutto il sistema sanitario pubblico? E, se proprio bisogna darli ai privati, perché senza gara? Perché a Ibm-Watson e non, per esempio, a Google-Deep Mind o Amazon? E perché, infine, concederli gratis? L’investimento previsto di 150 milioni di dollari per un centro privato è nulla rispetto al valore dell’immensa mole di dati sanitari promessi, che sul deep web oggi vengono venduti a 10-15 dollari a record (50 volte più dei codici di una carta di credito).(Fonte: Il Fatto quotidiano, 15 febbraio 2017).--------------------------------------------- Anche 60 milioni a Ibm (oltre ai dati sanitari) per farla venire a Expo. Non solo i (preziosissimi) dati sanitari, ma anche finanziamenti per 60 milioni di euro: queste le contropartite che il governo italiano ha promesso a Ibm in cambio della decisione di venire a impiantare una sua sede sui terreni Expo, con un investimento previsto di 150 milioni di dollari. Con l’aiutino però di 30 milioni di euro concessi dal governo, ministero dello Sviluppo economico, e altri 30 dalla Regione Lombardia. La strana storia di Ibm Watson a Milano inizia a Boston il 31 marzo 2016. Quel giorno, l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi, in trasferta negli Stati Uniti, firma con i manager della multinazionale un “Memorandum of understanding” e annuncia con enfasi: “Abbiamo convinto Ibm a venire a Milano”. Dieci mesi dopo, il 15 febbraio 2017, il Fatto quotidiano rivela che, in cambio, Ibm pretende la consegna dei dati sanitari italiani. “Come presupposto per realizzare il Programma ed effettuare l’investimento”, è scritto nel documento confidenziale che abbiamo potuto vedere, “Ibm si aspetta di poter avere accesso – in modalità da definire – al trattamento dei dati sanitari dei circa 61 milioni di cittadini italiani (intesi come dati sanitari storici, presenti e futuri) in forma anonima e identificata, per specifici ambiti progettuali, ivi incluso il diritto all’utilizzo secondario dei predetti dati sanitari per finalità ulteriori rispetto ai progetti”. Ora il Fatto è riuscito a leggere anche la “Proposta di contratto di sviluppo industriale”, un documento Ibm anch’esso classificato confidenziale e datato 26 gennaio 2017. Chi propone il contratto è SoftLayer Technologies Italia srl, una società Ibm, che si rivolge al ministero dello Sviluppo economico e a Invitalia, l’agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti, di proprietà del ministero dell’Economia. L’obiettivo del contratto: impiantare a Milano il primo centro in Europa del Watson Health, il programma Ibm di intelligenza artificiale per la salute. Il progetto è quello di “ricevere e trattare dati già anonimizzati” e “Protected Health Information (Phi), cioè dati personali e dati personali sensibili”: quelli dei pazienti, delle cure, dei farmaci, degli studi clinici, del registro dei tumori; e poi i dati genomici, demografici, le diagnosi mediche storiche, i rimborsi e costi di utilizzo, le condizioni e procedure mediche, le prescrizioni ambulatoriali, i trattamenti farmacologici con relativi costi, le visite di pronto soccorso, le schede di dimissioni ospedaliere (sdo), le informazioni sugli appuntamenti, orari e presenze… Insomma: ogni informazione sulla salute dei 61 milioni di italiani, a partire, tanto per cominciare, da quelli che vivono in Lombardia. Ne nascerebbe, in casa Ibm, un Grande Fratello della Salute, con i “diritti all’uso per la memorizzazione ed elaborazione di tali dati a fini progettuali, nonché per l’utilizzo dei dati anonimizzati” anche “per finalità ulteriori e ultronee”. Le finalità descritte sono benemerite: “Generare strategie per la cura appropriata e coordinata”; “migliorare la gestione di cluster di pazienti ad alto rischio e alto bisogno, riducendo i costi per il gestore del servizio e migliorando i risultati per il paziente”; dare a cittadini e imprese la possibilità di consultare più facilmente il patrimonio di informazioni della pubblica amministrazione. E poi realizzare progetti di ricerca sui “big data”, sulle malattie infettive, la cura degli anziani, l’oncologia predittiva di precisione. Ottimi propositi, da tenere però rigorosamente segreti: “Tutte le informazioni contenute all’interno del presente documento e/o comunque inerenti al Programma e ai Progetti connessi al Contratto di sviluppo sono da intendersi strettamente confidenziali tra Ibm e Invitalia” e “non potranno pertanto essere rivelate a terze parti e/o rese in alcun modo pubblicamente disponibili senza il preventivo consenso scritto di Ibm e mediante la sottoscrizione di un apposito preventivo accordo di confidenzialità tra le parti interessate”.

Comunque sia, dopo aver sviluppato il programma grazie ai dati sanitari pubblici, Ibm si tiene stretta anche la proprietà dei risultati finali: “Ibm manterrà la proprietà intellettuale pre-esistente dell’intera piattaforma Cognitive (Ibm Watson)” e “delle nuove soluzioni Watson e degli strumenti che risultino sviluppati”. Inoltre “manterrà la proprietà intellettuale dei risultati della ricerca, ma ne darà licenza d’uso alle altre eventuali parti progettuali”. Libera di utilizzare i dati raccolti “anche per finalità ulteriori a quelle progettuali”. E i soldi? Nella “bozza confidenziale”, Ibm precisa che “non intende ricevere qualsiasi forma di incentivo economico che non sia compatibile con il mercato interno”. Sono incentivi compatibili, invece, i 60 milioni che Ibm vorrebbe ottenere, metà dal ministero dello Sviluppo economico e metà dalla Regione Lombardia. A Milano, della partita Ibm si stava occupando Danilo Maiocchi, direttore generale dello Sviluppo economico della Regione. Cinque giorni fa, la Procura di Milano ha mandato la Guardia di finanza a perquisire i suoi uffici e gli ha comunicato che è indagato, per finanziamenti regionali erogati a imprese che, per ottenerli, si rivolgevano a sue società private. Altra vicenda, rispetto a Ibm Watson. I vertici della Regione non nascondono comunque la contrarietà a sborsare i 30 milioni, come pretende il governo. Hanno anche chiesto un parere al Garante per la privacy, che ha risposto con una richiesta di chiarimenti, che la Regione dovrà inviare a Roma entro domani, 20 marzo 2017. Fonte: Il Fatto quotidiano, 19 marzo 2017)
www.giannibarbacetto.it

domenica 19 marzo 2017


 
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