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La Banca mondiale e il Fmi compiono 60 anni: cos’è cambiato?

A 60 anni dalla loro costituzione, la Banca mondiale [Bm] e il Fondo monetario internazionale [Fmi] mantengono il ruolo di istituzioni dominanti nell’ambito dello sviluppo [economico], ma affrontano una categorica opposizione al ruolo di “plasmatori” della globalizzazione.

Il presidente attuale della Banca mondiale, James Wolfesohn, afferma che le critiche non dovrebbero “tornare alle questioni di cinque anni fa”. La Bm sostiene di essere passata dal Consenso di Washington al Post consenso di Washington. L’espressione “aggiustamento strutturale” è stata eliminata dal vocabolario della Banca e sostituita prima da “strategie di riduzione della povertà”, e in seguito da “finanziamento a supporto della politica si sviluppo”. Una moltitudine di politiche sono state elaborate e un’infinità di scrivanie occupate da personale specializzato sugli impatti delle operazioni di prestito su società, ambiente e lavoro. Appropriazione [cioè la capacità della società civile di far proprio un certo progetto o una certa politica] e partecipazione si sono convertite nella punta di lancia di tutto il lavoro, e un’agenda di buona “governance” è stata introdotta per porre fine alla corruzione. Dei 10 elementi che costituiscono il Consenso di Washington originale, tre sono stati quelli maggiormente perseguiti da entrambe le istituzioni, ma anche quelli che hanno ricevuto una maggiore opposizione. Bm e Fmi hanno davvero cambiato la propria posizione rispetto a liberalizzazione, privatizzazione e austerità fiscale? Liberalizzazione Sul fronte commerciale, la Bm ha allargato rapidamente il proprio dipartimento commerciale, riposizionandosi come “amica” dei paesi in via di sviluppo. Le ricerche realizzate in questo ambito hanno però evidenziato il fallimento degli accordi commerciali che dovrebbero “beneficiare i poveri”. La dottrina di Dollar e Kraay, che stabilisce un legame diretto fra l’apertura commerciale e la riduzione della povertà ed è stata sostenuta dall’ortodossia commerciale, è stata duramente criticata. Cresce il consenso verso ciò che venivano prima considerate “politiche commerciali eterodosse”, come gli accordi commerciali regionali, le zone franche e le giunte per la commercializzazione dei prodotti basilari. Mentre il condizionamento delle tariffe è in declino, l’accento viene ora posto sui servizi di analisi e formazione per indottrinare i funzionari civili sull’agenda dell’integrazione commerciale. In nome dell’agevolazione commerciale, vengono fatti importanti prestiti. Il condizionamento del vecchio stile persiste nelle regioni dove i governi sono riluttanti a liberalizzare i servizi, gli investimenti, e altri comparti governativi. Bm e Fmi si ostinano a negare l’evidenza che una politica industriale attiva che includa tariffe dirette e leggi di investimento, è stata critica per il successo dello sviluppo tanto nel Nord come nel Sud del mondo. Alla fine, le vie alternative e differenziate verso lo sviluppo sono sistematicamente rifiutate a favore di un’unica strada. I piani per fare della liberalizzazione dei conti di capitale un dogma centrale nel lavoro del Fondo sono stati abbandonati dopo che le crisi in Asia, Russia, America latina e Turchia hanno destabilizzato il sistema finanziario globale. Il Fondo è stato criticato tanto dall’esterno che dall’interno dell’istituzione stessa. La proposta per creare un meccanismo di ristrutturazione del debito ha rappresentato un’importante ammissione, da parte del Fmi, che non si può confidare unicamente nei mercati per risolvere le crisi finanziarie. In ogni caso, la fallita iniziativa avrebbe sostituito la “mano invisibile” del mercato con quella del Fmi stesso. Prima di lasciare il Fondo, il capo economista Ken Rogoff ha avvertito che non c’era alcuna prova per affermare che la liberalizzazione finanziaria abbia beneficiato la crescita e che sembrava essere in relazione con “l’incremento della vulnerabilità nei momenti di crisi”. Horst Koehler, ex direttore esecutivo del Fmi, ha suggerito che l’antica opposizione alla creazione di un Fondo monetario asiatico era “stupida”. Nonostante questo ridimensionamento, gli sforzi maggiori del Fmi per rinvigorire il sistema finanziario globale si sono limitati a riforme del settore bancario e allo sviluppo di codici e standard di comportamento finanziario. Il fallimento del Fmi nell’affrontare i problemi dell’architettura finanziaria spiega in parte perché paesi dell’Europa dell’est, dell’Asia centrale e orientale, e dell’America latina, considerino possibile e positivo lo svincolarsi dal Fondo. Austerità fiscale i paesi in via di sviluppo hanno affermato che le prescrizioni della Banca mondiale e del Fmi sull’austerità fiscale hanno a che fare più con il tentativo di tenere buoni i creditori internazionali che con prospettive di crescita economica a lungo termine. Nelle recenti negoziazioni in America latina, il Fmi ha marginalmente consentito un po’ più di movimento. Si giustifica dicendo che nei paesi a medio reddito c’è meno bisogno di prescrizioni severe. Di fronte alle richieste pubbliche di aumentare la spesa dei servizi sociali, i governi dei paesi a basso reddito si trovano intrappolati dai dettami del Fondo su bilanci, inflazione e interessi. Così come veniva argomentato in un articolo sulla Zambia, i paesi di tutta l’Africa hanno dovuto affrontare tagli di tutti i tipi per raggiungere gli obiettivi arbitrari del Fondo. Privatizzazione Le privatizzazioni proposte [o imposte] dalla Banca mondiale e dal Fmi nel Sud del mondo, hanno dato luogo a battaglie, soprattutto nel caso dei servizi pubblici. A causa della forte opposizione pubblica, sono state realizzate numerose ri-nazionalizzazioni, e in risposta alla crescente riluttanza di alcune multinazionali a partecipare, la Bm si è richiamata a un “cambiamento di cuore”. Le tasse d’iscrizione nel settore educativo sono state abbandonate. Per quanto riguarda l’acqua, i tecnici affermano di non essere “fanatici religiosi” della privatizzazione, e si va imponendo un nuovo approccio nelle associazioni pubblico-private. Sui temi della salute, dell’elettricità e delle telecomunicazioni, i nuovi rapporti affermano adesso che “lo stato ha un ruolo fondamentale”. Nonostante tutto ciò, le ricerche del Psiru dell’Università di Greenwich rivelano che, al di là di questi pronunciamenti, le istituzioni finanziarie internazionali stanno raggiungendo i loro obiettivi per altre strade. Ne è un esempio la proliferazione di programmi bilaterali e multilaterali, co-finanziati e gestiti dalla Banca mondiale, resi accessibili solo a quei paesi che mettono le associazioni con il settore privato davanti alle riforme pubbliche. Mentre alcuni settori della Bm sembrano accettare le Commissioni del commercio, le Ong del Malawi denunciano che la Bm continua a pretendere la privatizzazione della Commissione statale del commercio agricolo, come condizione per ottenere il suo appoggio. Un recente studio di Action Aid sul condizionamento nei settori dell’acqua e dell’energia in India, Ghana e Uganda, rivela che esiste un’armonizzazione fra le condizioni imposte dai donanti e quelle della Bm e del Fmi, che lascia i paesi in via di sviluppo “con più restrizioni che mai al momento di scegliere gli strumenti della politica economica”. Post-Washington o Washington-plus? Quali sono gli altri elementi del Post-consenso di Washington? Garanzie sociali e ambientali, appropriazione e partecipazione, buona “governance”? Le storie di un progetto di bonifica in Pakistan, sul ruolo della Banca mondiale nei cambiamenti climatici, sulle riforme forestali nella Repubblica democratica del Congo, e molte altre, mostrano il fallimento tanto nell’elaborazione delle politiche che nell’attivazione dei progetti, con un enorme costo umano e ambientale. La buona “governance” non deve essere una strada a senso unico. Lo scrutinio parlamentare degli accordi delle istituzioni finanziarie internazionali sta lentamente migliorando, ma lascia ancora molto a desiderare. Da tutte le parte si fanno appelli per dare più spazio alla voce dei paesi del Sud nella Banca mondiale e nel Fmi, e questi vengono sempre messi a tacere, come indica anche l’attuale processo di selezione della direzione del Fmi. Allo stesso tempo, le azioni della Banca mondiale contro la corruzione delle grandi multinazionali è messa a dura prova a Lesotho. In questo momento in cui il multilateralismo sta subendo crescenti attacchi, ci sono voci che invocano a dare alle istituzioni internazionali esistenti il beneficio del dubbio. Ma per dare per buoni questi dubbi, le istituzioni finanziarie internazionali dovrebbero essere realmente multilaterali e lavorare più duramente per praticare quel che predicano.

Bretton Woods Project Campagna per la riforma della Banca mondiale
Cartamondo

giovedì 2 settembre 2004


 
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