Modena, la mina vagante del conflitto, al polo della macellazione, dei lavoratori degli appalti. Sono tutti in fibrillazione.
Torna alta la tensione nel polo della macellazione in provincia di Modena. Nei giorni scorsi i lavoratori si sono ribellati a un sistema di sfruttamento di tipo medievale. E per giunta sono stati anche caricati dalla polizia. Le tensioni crescenti a Modena nel
settore della macellazione delle carni fanno suonare il campanello dall'allarme anche in Regione. È addirittura il sottosegretario Andrea Rossi a esprimere "preoccupazione per il grave clima di tensione che ha provocato gli scontri" del 10 novembre scorso
davanti ai cancelli della Alcar Uno di Castelnuovo Rangone, tra le forze dell'ordine e i dipendenti della cooperativa Alba Service in sciopero. In sostanza, ecco il quadro dove sono nati i problemi per i lavoratori: Global Carni ha annunciato lo stop alla lavorazione del suino straniero, conservando quella dell'italiano ma di fatto trasformando in esuberi i 50 addetti in appalto della cooperativa Alba Service. Anche l'azienda Alcar Uno ha detto di voler ridurre le attivita' in appalto, rioccupando 40 persone al massimo rispetto alle precedenti 60; quindi, tra Global e Alcar il sovrappiu' di forza lavoro diventa pari a 70 unita'".
ntanto, la sigla di base Sicobas fin qui ha mantenuto i patti: se solo venerdi' scorso sia i mezzi sia i lavoratori erano stati fermati all'ingresso, al momento sono rimasti i picchetti ma i blocchi sono stati sciolti. Al summit col prefetto Maria Patrizia Paba i sindacati hanno invitato anche il ministero del Lavoro, proprio per esplorare ogni strada possibile di ammortizzatori sociali in attesa di una possibile svolta aziendale.
La filiera della macellazione e trasformazione delle carni, in tutto il territorio nazionale, ha sicuramente un problema di tipo competitivo che è causato dal basso prezzo della materia prima importata dall’Unione Europea, ma anche da una forte concorrenza sleale che sta dilagando fra le imprese del settore, compresi molti salumifici.
Una concorrenza sleale effettuata tramite discutibili (anche illegali) appalti e sub appalti a consorzi, false cooperative e a improvvisate SRL. Imprese che nascono come i funghi e si dissolvono appena c’è un accertamento o un’ispezione di qualche ente, oppure per frodare lo Stato (cioè tutti noi), con i repentini cambi di appalto, anche per ottenere sgravi contributivi (ad es. mobilità o Jobs Act).
I lavoratori in Emilia Romagna sono oltre 2.000 e in Italia oltre 10.000, dei quali moltissimi immigrati, coinvolti in quel genere di appalti. Molti di questi lavoratori hanno già subito cinque o sei cambi di appalto negli ultimi dieci anni, sempre con false cooperative; visto peggiorare le condizioni contrattuali e di salute; ridotti i propri diritti; non versati i contributi previdenziali; ricevuto accertamenti fiscali, come sta avvenendo nel modenese per le modalità di pagamento a cui erano sottoposti nel passato (ingiunzioni di pagamento di oltre 4.000 euro a testa per un solo anno) e, se gli viene anche comunicato che ci saranno riduzioni di personale, qualcuno non è sempre nelle condizioni di condurre una “moderata” protesta.
Un sistema, quello degli appalti del processo produttivo, che è vietato dal contratto nazionale di lavoro dell’industria alimentare e, in tanti casi, anche dalle leggi della nostra Repubblica. Spesso, le false cooperative che lavorano in appalto, certificano, nei loro bilanci, un costo del lavoro medio inferiore del 40 o 50%, rispetto a quello che deve sostenuto delle imprese committenti per i loro dipendenti. Quel costo del lavoro, però, non rispetta i minimi contrattuali del settore e le tariffe ministeriali per le attività di facchinaggio, lo abbiamo dichiarato in tutte le sedi, denunciato pubblicamente e alle competenti istituzioni: Ispettorato del Lavoro, Guardia di Finanza, INPS, parlamentari e Ministri della Repubblica.
Questo abbassamento del costo del lavoro si ripercuote, materialmente, nelle buste paga dei lavoratori, in evasioni fiscali e contributive, aumento dei ritmi e delle velocità di lavoro, illegalità e sfruttamenti sempre più diffusi, fino a palesi casi d'intermediazione illegale di manodopera che da anni ho definito “nuovo e moderno caporalato”.
Appena queste illegalità vengono alla luce, perché scoperte dagli enti ispettivi, o perché i lavoratori coinvolti protestano o si ribellano, arriva, puntuale come un orologio, il cambio di appalto: nasce o si ricicla un’altra falsa cooperativa che sostituisce la precedente. Oppure si lasciano a casa i “rompicoglioni” o i più sindacalizzati, si tempestano di contestazioni disciplinari i lavoratori che hanno partecipato agli scioperi, si licenziano i rappresentanti sindacali o si denunciano anche i dirigenti della Cgil.
"Le imprese committenti che subiscono questa concorrenza sleale - dice Umberto Franciosi segretario Generale Flai Cgil Emilia Romagna - che rifiutano di appaltare con le modalità che ho precedentemente descritto, non possono più reggere una concorrenza così sfrenata. Per questi motivi è da anni, troppi anni, che denunciamo che il nostro settore sta rischiando, a Modena come in tutto il Paese. Da ricordare la piattaforma unitaria di Fai Cisl, Flai Cgil e Uila Uil inviata alle associazioni imprenditoriali e alle istituzioni, completamente ignorata".
Secondo Franciosi, "ci potranno essere altri momenti di forte tensione", come sono accaduti sul territorio modenese con le vertenze Castelfrigo, Alcar e Globalcarni, anche nei prossimi mesi, "se le Istituzioni dello Stato non intervengono celermente per ripristinare un sistema di concorrenza leale".
"Premetto che non voglio giustificare nessun ricorso alla violenza da parte di chi protesta - conclude Francisosi - . Vorrei però che tutti cercassimo di comprendere lo stato d’animo in cui si trovano questi lavoratori, che in Emilia Romagna sono oltre 2.000 e in Italia oltre 10.000, dei quali moltissimi immigrati, coinvolti in quel genere di appalti. Molti di questi lavoratori hanno già subito cinque o sei cambi di appalto negli ultimi dieci anni, sempre con false cooperative; visto peggiorare le condizioni contrattuali e di salute; ridotti i propri diritti; non versati i contributi previdenziali; ricevuto accertamenti fiscali, come sta avvenendo nel modenese per le modalità di pagamento a cui erano sottoposti nel passato (ingiunzioni di pagamento di oltre 4.000 euro a testa per un solo anno) e, se gli viene anche comunicato che ci saranno riduzioni di personale, qualcuno non è sempre nelle condizioni di condurre una “moderata” protesta".
La Flai Cgil dell’Emilia Romagna, dichiara Franciosi - continuerà a proporre, ricercare e sostenere una soluzione contrattuale che deve partire dal rispetto della legalità, che deve interessare tutti i soggetti del settore. "Per condividere una soluzione, però, bisognerebbe partire da un minimo di consapevolezza da parte di tutti: Istituzioni, lavoratori, imprenditori e le loro associazioni di rappresentanza. Ho, purtroppo, la certezza che questa consapevolezza non sia ampiamente diffusa e condivisa, in particolare dalle associazioni che rappresentano le imprese".
www.controlacrisi.org
martedì 22 novembre 2016
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