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Palma-Leaks: dal 2004 le aziende sapevano del pericolo dell’olio di palma nei cibi per bambini e adolescenti.

Per la seconda volta in meno di tre anni (1), l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha confermato la tossicità di alcuni contaminanti che sono presenti nell’olio di palma come in nessun altro grasso. Allarme di rischi cancerogeni e genotossici, per i bambini e gli adolescenti in primis. Ciò che solo ora appartiene al pubblico dominio era noto da almeno una dozzina d’anni ai colossi di “Big Food”. Le multinazionali che, invece di gestire il grave rischio emergente, hanno addirittura aumentato l’impiego dell’olio tropicale pur conoscendone la tossicità, nell’indifferenza della Commissione europea. È quanto emerge dai “Palma-leaks”, a seguire.

Nel 2004 l’Università di Praga ha dapprima rivelato la presenza di contaminanti già allora noti come cancerogeni in alcuni oli vegetali raffinati, tra cui il palma che spiccava per elevata presenza di contaminanti. Nel 2007 l’autorità tedesca per la tutela dei consumatori e la sicurezza alimentare, Bundesamt für Verbraucherschutz und Lebensmittelsicherheit (BVL), confermava il pericolo che l’istituto CVUA di Stoccarda riscontrava in varia misura su 400 prodotti alimentari. La lista comprendeva soprattutto dolci, biscotti, formule per i lattanti, cracker e barrette, proprio a causa dell’olio di palma raffinato. A quel tempo era altrettanto nota la sicurezza dei grassi vegetali non raffinati (come l’extravergine di oliva) e di quelli animali (come burro e panna). Enti di ricerca europei finanziati dai giganti dell’industria alimentare, nel dare atto che i contaminanti cancerogeni residuavano in altri oli (come girasole e colza) in quantità “significativamente inferiori” rispetto al grasso di palma raffinato, concentravano i loro studi solo su quest’ultimo ingrediente. Avrebbero potuto lavorare sulla fruibilità dei grassi più sicuri, oltretutto realizzati nel nostro continente e quindi più facili da mantenere sotto controllo lungo l’intera filiera di produzione. Invece hanno insistito sul grasso tropicale, pur sapendo di non riuscire a farlo rientrare entro i doverosi parametri di sicurezza alimentare. Poiché il loro mandato era evidentemente quello di ridurre al minimo i costi di produzione. Tutto ciò è avvenuto a scapito della sicurezza alimentare, oltreché delle filiere agricole nostrane che non a caso negli ultimi anni – grazie anche al sostanziale crollo dei contributi nella Politica Agricola Comune – sono entrati in crisi. Stalle chiuse, oliveti e campi abbandonati. Le “10 grandi sorelle del cibo” (2) hanno preso il sopravvento indirizzando la scelta delle materie prime su prodotti funzionali ma poco costosi come il palma.

I simposi internazionali presenziati da “Big Food” (3) nell’ultimo decennio confermano quanto sopra, tutto il possibile è stato fatto per ridurre i livelli di tossicità dell’olio tropicale che era e rimane pericoloso, come si trova scritto negli atti dei convegni, negli studi accademici e nelle valutazioni scientifiche del rischio operate dalle autorità (4). Nonostante ciò, l’utilizzo di palma è aumentato a dismisura proprio negli ultimi anni. L’Italia ora importa una quantità di olio di palma esagerata, ai vertici in Europa, con incrementi negli ultimi anni pari al 300% (tra il 2011 e il 2015, da 274mila a 821mila ton, dati Istat). Un’ingordigia epidemica ha contagiato i vertici di ogni organizzazione, che hanno saputo ottenebrare pure quelli delle autorità cui l’Europa ha attribuito il compito di vigilare sulla sicurezza alimentare. È dunque lecito chiedersi perché i Commissari europei per la salute dei consumatori non siano intervenuti in tutto questo tempo Quanto al palma, solo negli ultimi tempi la Netherlands Food and Consumer Product Safety Authority (NVWA) ha iniziato a monitorare l’esposizione di bambini e adolescenti a una sola delle sue tossine (5).

Dal dicembre 2014 i consumatori possono individuare sulle etichette nella lista ingredienti dei prodotti confezionati l’olio di palma. Non così è per gli alimenti venduti sfusi e in quelli somministrati nei pubblici esercizi, perché il governo italiano non ha ancora introdotto le sanzioni relative al regolamento UE 1169/2011 (6). In questo periodo i consumatori hanno già dato prova della volontà di cambiare il mercato sia aderendo alla petizione lanciata da Il Fatto Alimentare con Great Italian Food Trade, sia scegliendo cibi rigorosamente Palm-Free che abbiamo raccolto nella nostra banca dati e che ormai conta oltre 700 prodotti. Note: (1) Analysis of occurrence of 3-monochloropropane-1,2-diol (3-MCPD) in food in Europe in the years 2009-2011 and preliminary exposure assessment (2013); Process contaminants in vegetable oils and foods (2016) (2) Behind the brands, Scopri il marchio (3) Tra gli Industry members del gruppo di lavoro di ILSI dedicato ai contaminanti in questione, in un rapporto del 2009, figurano Danone, Kraft Foods, Mars, Nestlé, PepsiCo International, Premier Foods, Procter & Gamble, Südzucker/BENEO Group, Unilever (4) Si citano le presentazioni di: – Nestlé, Dr. Walburga Seefelder, simposio ILSI a Bruxelles, febbraio 2009, – istituto CVUA di Stuttgart, Dr. Rüdiger Weißhaar, idem c.s. – Nestlé, Dr. Richard Stadler, convegno a Praga, aprile 2009, – Istituto francese per i grassi e gli oli, workshop organizzato da Euro Fed Lipid, 2009, – FEI, Research Association of the German Food Industry, a “ILSI workshop on MCPD and Glycidyl esters in Food Products“, 2011 (5) Preliminary assessment of dietary exposure to 3-MCPD in the Netherlands (6) Regolamento (UE) n. 1169/11, in applicazione dal 14.12.14 (vedi ebook L’etichetta) Per ulteriori informazioni, si veda l’articolo “Palma-Leaks, le multinazionali di “Big Food” conoscevano da una dozzina d’anni il pericolo cancro e genotossicità per bambini e adolescenti” (di Dario Dongo)
www.ilfattoalimentare.it

domenica 19 giugno 2016


 
News

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