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In piazza per rompere il silenzio sul TTIP.

Migliaia di persone hanno sfilato sabato 7 maggio per le strade di Roma per chiedere uno stop immediato ai negoziati tra Stati Uniti e Unione europea sul TTIP (Partenariato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti), una vera e propria minaccia per la democrazia, la protezione dell'ambiente, gli standard di sicurezza sulla salute, le condizioni dei lavoratori, a tutto vantaggio delle multinazionali, a cui verrebbe dato un potere senza precedenti.

I manifestanti di Roma si sono aggiunti ai milioni di persone che negli ultimi mesi si sono già mobilitate in tutta Europa per fermare questo accordo, scegliendo di difendere gli standard comunitari sulla sicurezza del cibo, sull'uso di sostanze tossiche, sull'assistenza sanitaria e sui diritti dei lavoratori. Greenpeace chiede che vengano immediatamente resi pubblici i capitoli mancanti dell'accordo, oltre a quelli già noti grazie ai leaks di Greenpeace Olanda, e che si dia inizio a un vero dibattito pubblico. Sono molti i cittadini e i rappresentanti della società civile che hanno già espresso forte preoccupazione su questo trattato: è ora fare chiarezza.

L'obiettivo del TTIP è quello di abbattere le cosiddette barriere al commercio tra Stati Uniti e Unione europea, e proteggere gli investimenti esteri prima di ogni altra cosa. Con tariffe sul commercio transatlantico già molto basse, il focus dei negoziati è rimuovere le barriere "non tariffarie", che si tradurrebbe nell'abbassare standard di sicurezza e tutele in quasi tutti i settori dell'economia, dall'agricoltura all'industria tessile, dall'informatica al settore bancario. Un caso esemplare sono gli evidenti tentativi di eliminare con il TTIP l'applicazione del principio di precauzione, anche per permettere l'ingresso libero sul mercato europeo dei "nuovi OGM", camuffati con nomi fantasiosi come "prodotti delle moderne tecnologie agricole". Per questo crediamo che il nostro Paese debba fare immediatamente marcia indietro su questo trattato che, così com'è, porterebbe alla distruzione del modello di produzione nazionale basato sulla qualità e tipicità del Made in Italy.


www.huffingtonpost.it

lunedì 9 maggio 2016


 
News

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