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Esiste un legame tra allevamenti intensivi e aumento delle epidemie?

l ruolo della produzione zootecnica nella nascita e diffusione di nuovi virus. Articolo prodotto da F.De Augustinis per "La Stampa", in collaborazione con One-Earth, un progetto di informazione indipendente sulla perdita di equilibrio del pianeta legata alla distruzione degli habitat e all’attuale sistema di produzione alimentare.

Negli ultimi decenni è aumentata in modo esponenziale la produzione zootecnica globale che nel 2018 è arrivata a superare 350 milioni di tonnellate annue con circa 80 miliardi di animali allevati in sistemi prevalentemente intensivi (dati FAO 2018). Nello stesso arco temporale, secondo il Programma per l’ambiente delle nazioni unite (UNEP), è aumentata la frequenza con cui nascono nuove “zoonosi”, ovvero malattie provenienti dagli animali che colpiscono l’uomo. Secondo gli esperti, esistono legami comprovati tra questi due fenomeni, che riguardano il ruolo della produzione zootecnica nell’incrementare la distruzione degli ecosistemi e nel fare da vettore per la trasmissione e la mutazione di nuovi virus. Un miliardo di contagi prima del Covid Come è noto, la teoria più accreditata per la nascita della pandemia Covid-19 è un “salto di specie” da un animale selvatico all’uomo attraverso un mercato in Cina. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, però, già prima del Covid-19 ogni anno le zoonosi erano responsabili di circa 1 miliardo di contagi nel mondo e di circa 2 milioni di morti. “Tra gli esempi del recente passato possiamo citare la febbre Rift Valley, la Sars, la pandemia H1N1 del 2009, la febbre gialla, l’influenza aviaria (H5N1), il West Nile virus, la sindrome respiratoria da coronavirus Middle East (MERS-CoV)”, elenca l’organizzazione. La tempesta perfetta Il primo legame tra zootecnia e insorgenza di nuove malattie è la deforestazione e la distruzione degli habitat naturali. “Si stima che nei mammiferi e negli uccelli d’acqua esistano almeno 1,7 milioni di virus non identificati potenzialmente in grado di colpire l’uomo”, afferma l’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES), un panel di scienziati specializzati in biodiversità. Secondo il gruppo di esperti “la rapida deforestazione, l’espansione incontrollata dell'agricoltura, l’allevamento intensivo, lo sviluppo di infrastrutture e di siti di estrazione e lo sfruttamento di animali selvatici hanno creato la ‘tempesta perfetta’ per il passaggio di malattie dagli animali selvatici all’uomo”. In particolare, secondo Glenn Hurowitz, direttore dell’Ong Mighty Earth, “le grandi aziende della carne come JBS e Cargill hanno spinto la deforestazione in Amazzonia e in altre foreste del Sud America, per espandere le aree dedicate ai pascoli e alle piantagioni per produrre mangimi. Questa deforestazione sta facendo sparire le specie in massa, accelera il riscaldamento globale e sta mettendo pericolosamente in contatto gli uomini con nuove malattie”.

Dagli allevamenti all’uomo Gran parte delle zoonosi non passa direttamente dagli animali selvatici all’uomo, come nel caso del Covid-19, ma trova nelle popolazioni degli allevamenti un perfetto “alleato” per evolversi e diffondersi. “Il rischio di infezione è legato al contatto tra gli animali selvatici, che sono serbatoi, e gli animali allevati che possono infettarsi”, afferma Luca Busani del Dipartimento di Malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità. “Gli agenti patogeni devono entrare in allevamento, e per evitarlo si applicano regole di biosicurezza e controllo dell’igiene. Però è possibile che queste barriere si rompano, e dentro l’allevamento è facile che le malattie si espandano, perché una popolazione di animali di allevamento è molto suscettibile: sono animali tutti uguali e vivono in stretto contatto tra di loro, quindi si possono infettare facilmente, diffondendo le malattie anche negli altri allevamenti”. Secondo Busani, in seguito “il passaggio dagli animali all’uomo dipende fortemente dalle caratteristiche dell’agente patogeno e dalla capacità di resistere all’infezione dell’uomo. I virus influenzali sono estremamente diversi tra loro: ce ne sono alcuni che girano nell’uomo, per i quali l’uomo ha una storia di vaccini e di contatto che gli consente di avere un’immunità di base con cui difendersi. Però se i virus influenzali si generano nel contesto animale, come è successo nel 2009 con la pandemia suina, un virus nuovo all’interno della popolazione umana trova una condizione di diffusione facilitata perché non ci sono le difese immunitarie storiche che l’uomo ha a disposizione verso i virus che conosce bene”.

La lezione del Covid-19 Nei giorni scorsi la Commissione Europea ha pubblicato la strategia Farm to Fork e la strategia per la Biodiversità. Entrambi i documenti programmatici sono parte centrale del “Green New Deal” europeo, e tra le altre cose prospettano (almeno sulla carta) un ripensamento del nostro sistema alimentare. Poche settimane fa oltre 40 organizzazioni non governative avevano sollecitato la Commissione a varare questi piani, proprio in relazione all’esperienza del Coronavirus. “Il Covid-19 ha gravemente messo in mostra le disfunzioni del nostro sistema alimentare globalizzato e non sostenibile”, si legge in una nota firmata dalla cordata di Ong e rivolta a diversi esponenti della Commissione Europea. “Sotto i riflettori ci sono anche la scarsa capacità delle persone a rispondere alle infezioni, anche a causa di patologie a volte legate all’alimentazione; il collegamento tra l’aumento delle nuove zoonosi e gli allevamenti intensivi; l’assenza di tutela per le altre specie animali, che sta avendo conseguenze globali”. Articolo prodotto in collaborazione con One-Earth, un progetto di informazione indipendente sulla perdita di equilibrio del pianeta legata alla distruzione degli habitat e all’attuale sistema di produzione alimentare. Per maggiori informazioni e per sostenere il progetto: www.one-earth.it.
https://www.lastampa.it/tuttogreen

venerdì 29 maggio 2020


 
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