L’AGONIA DEL PIANETA E FUGA PER LA VITTORIA…
Ieri sui principali quotidiani italiani è comparso un grido di allarme lanciato dalla FAO: “ogni anno perdiamo 24 miliardi di tonnellate di suolo fertile, un tasso di erosione tra le 10 e le 40 volte superiore alla capacità di rigenerazione: la terra, che dovrebbe essere destinata alla coltivazione agricola per sfamare i nove miliardi di persone che ci saranno in tutto il pianeta nel 2050, scompare invece che essere preservata”.
Una situazione drammatica a cui si sta cercando di porre rimedio, soprattutto nei paesi in via di sviluppo in cui il fenomeno pare più evidente. Purtroppo la soluzione che pare essere prospettata è legata a un ampio uso di fertilizzanti. Secondo il rapporto Fao World fertilizer trends and outlook to 2018: “il consumo mondiale di fertilizzanti potrebbe superare i 200 milioni di tonnellate nel 2018, un dato del 25% superiore rispetto a quanto registrato nel 2008, con un trend di crescita annuo pari all’1,8%”.
Come ci si può porre di fronte a questi sconvolgimenti, per chi come noi ha un’ottica rivolta all’agricoltura familiare e di piccola scala? Una domanda di non facile risoluzione. Se si declinano queste problematiche sulla viticoltura ho chiaro davanti agli occhi un esempio di sviluppo di coltivazione intensiva che ha devastato un intero paesaggio ed ecosistema. Mi riferisco alle serre di Vittoria per la produzione dei pomodorini.
Per chi è appassionato come me di nero d’Avola e frappato questa zona è come le Langhe per gli amanti del nebbiolo. Grande terroir e anche campagne di rara bellezza, costellata da casali il più delle volte da ristrutturare (se avete dei soldi da investire fateci un pensiero). Tutto bello, tutto affascinante se non fosse per il successo economico che hanno riscosso i pomodorini. Ebbene, ora le serre, rigorosamente di plastica, si estendono per chilometri e chilometri, dalla città fino al mare.
Ho avuto la sventura di provare ad andare a fare il bagno e si dovevano scansare i pezzi di plastica che inevitabilmente erano finiti in acqua. La viticoltura di qualità in questo luogo rappresenta una manna. Per prima cosa si strappa terreno alle serre, spesso i vignaioli ristrutturano e valorizzano i bagli (e non favoriscono gli scempi edilizi), nel terreno mediamente vengono spruzzate meno sostanze tossiche con un’attenta e più naturale fertilizzazione del suolo (visto che buona parte dei vignaioli sono certificati bio).
So che non si tratta di una soluzione ai mali dell’umanità, all’inquinamento, alla perdita di fertilità. Si tratta semplicemente di un esempio virtuoso, di sviluppo ecocompatibile. Sarebbe bello poter raccontare più cose di questo tipo per avere una prospettiva positiva verso quello che ci attende in futuro.
(da Slow Food/Slow Wine – luglio 2015)
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lunedì 10 agosto 2015
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