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La fabbrica della disperazione.

Ci sono tradizioni Fiat (pardon, FCA) che sfidano lo scorrere del tempo, uniscono memoria e innovazione, fondano il “nuovo che avanza” su solide radici piantate nella storia. Sono la tradizione dei reparti confino, quella dei licenziamenti politici, della persecuzione degli operai più combattivi, delle espulsioni di massa. E’ su questo know how, tutto orgogliosamente made in Italy, che la “fabbrica del futuro” di Marchionne produce ancor oggi uno dei suoi risultati di eccellenza: il progressivo annientamento fisico e psicologico sia di chi rimane nel ciclo produttivo, sia di chi ne è espulso.

L’annientamento degli espulsi, dei cassaintegrati, dei licenziati, è fatto di miseria, paura del futuro, mancanza di prospettive, di suicidio. L’annientamento di chi resta sulle linee è fatto di turni/ritmi/orari, di sudore ed infortuni, degli insulti dei capi, di umiliazioni sopportate in silenzio. Entrambi sono legati in un binomio indissolubile: la disperazione dei primi è garanzia della sottomissione degli altri. A debita distanza dalla fabbrica vera e propria, come un lazzaretto di appestati, il reparto confino si erge a monito permanente per chi è rimasto in produzione: “puoi finire qui”, sembra dire. Ancor più che a punire i riottosi, esso serve a disciplinare la fabbrica. Nel tempo i reparti confino della Fiat hanno avuto molti nomi: quello dell’Officina Stella Rossa dove Valletta sbatteva i comunisti, o delle U.P.A. di Romiti, recinti per gli sconfitti dei 37 giorni di Mirafiori. Oggi uno dei nomi è quello del “World Class Logistic” (WCL), uno stabilimento fantasma a 20 km dal Giambattista Vico di Pomigliano. Fantasma, ma non inefficiente: anche se non ha mai funzionato rispetta puntualmente gli standard produttivi in termini di morti operaie. L’ultima ad ammazzarsi piantandosi un coltello nella pancia è stata Maria, seguendo di pochi mesi Peppe, che si è impiccato. Due operai del WLC cassaintegrati da sei anni. Due compagni. maria-barattopeppe-de-crescenzoMaria faceva parte del Comitato Mogli Operai di Pomigliano d’Arco, Peppe era militante dello Slai Cobas. Se ne sono andati, ma non senza combattere. La storia della lotta contro la deportazione di 316 operai di Pomigliano al WLC di Nola è anche la loro storia. Raccontarla è un modo per ricordarli in vita. Giambattista Vico: i corsi e ricorsi di una pessima storia Nel marzo del 2007 316 operai di Fiat Group Automobiles Pomigliano (la gloriosa Alfa Sud) vengono spediti ad un corso all’Inail di Napoli finalizzato al loro inserimento presso un costituendo Polo Logistico. E’ lì che comincia a paventarsi il loro trasferimento all’interporto di Nola, nell’ambito di un presunto progetto avveniristico che prevede la costruzione di un centro unico di smistamento della componentistica a servizio di tutti gli stabilimenti meridionali del Lingotto. Una “ottimizzazione” ideata secondo logiche piuttosto contorte, visto che obbligherebbe i camion diretti alla Fiat di Pomigliano a fermarsi in un centro logistico a 20 km di distanza dalla destinazione finale, contabilizzare i materiali, e poi ripartire per scaricare la roba. Una scelta un po’ dubbia in tempi di just in time, che diventa però chiarissima verificando i criteri di selezione dei lavoratori destinati al cd “polo logistico di eccellenza”. Nessuno di loro proviene dalle squadre addette alla logistica, nessuno di loro ne ha esperienza. In compenso la maggior parte può vantare almeno uno dei seguenti requisiti preferenziali: essere affetto da patologie invalidanti limitative della capacità di lavoro, in prevalenza tecnopatie contratte all’interno della stessa Fiat (42 %) essere iscritto allo Slai Cobas (24 %) o in subordine alla Fiom (6 %) Data la composizione dei predestinati, l’operazione puzza già da subito di reparto confino . Il trasferimento dei 316 fa parte di un progetto più ampio che Marchionne ha in serbo per Pomigliano, un piano di “modernizzazione” radicale di cui i maligni già prevedono i risultati: l’espulsione di centinaia di operai, il pugno di ferro su chi rimane. E’ in nome di questo piano che lo stabilimento chiude temporaneamente a fine 2007, per una fase di ristrutturazione delle linee ormai cadenti e obsolete. Nel frattempo per gli operai viene prevista la frequenza ai cd “corsi di formazione pesante”, dove dovranno apprendere le modalità di lavoro nella fabbrica del futuro. Ovviamente, anche i 316 destinati al polo logistico di Nola verranno formati ad hoc. Pomigliano 2L’8 gennaio del 2008 i corsi cominciano in un clima tesissimo e surreale. Le lezioni vengono tenute nei reparti in ristrutturazione in mezzo ai cantieri dei lavori in corso; i vigilantes controllano la disciplina e la diligenza dei presenti, tanto che non si capisce se si è a scuola o in prigione. Il 9 gennaio si contano due licenziamenti: una ragazza arrivata in ritardo e un giovane operaio che ha osato prendere la parola durante il corso. Il 10 è sciopero, indetto dallo Slai, a cui si uniscono gli altri sindacati. Fermando le lezioni, 200 tute blu sfilano nel corteo interno, dimostrando di sapersela cavare benissimo anche nella pratica della contestazione studentesca. L’azienda risponde secondo le sue consuetudini, con decine e decine di procedure disciplinari e il licenziamento di Luigi Aprea, delegato Slai alle RSU, accusato di aver capeggiato la protesta. Oltre ad Aprea, altri 6 lavoratori, fra cui un RSU Fiom, ricevono le lettere di sospensione. Nulla di nuovo. A Pomigliano la dirigenza ha il licenziamento facile. Lo sanno otto lavoratori espulsi nel 2006 per aver contestato in assemblea Fim, Fiom e Uilm dopo la firma del contratto dei metalmeccanici. Lo sa il dirigente dello Slai Vittorio Granillo, licenziato per aver promosso uno sciopero in difesa degli interinali della movimentazione interna, subappaltata a DHL. Questa volta i licenziamenti per lo “sciopero dei corsi” rientrano quasi subito, ma in compenso la Fiat vieta allo Slai Cobas le assemblee perché “potenzialmente collidenti con il noto piano di formazione”. Fiom, Fim e Uilm scendono a più miti consigli, e firmano un accordo dove accettano i “corsi di formazione pesante”. Il 3 marzo lo stabilimento riapre a scartamento ridotto. Lo stesso giorno, alle linee appena ristrutturate, un’Alfa 159 si stacca dal gancio girevole della catena di montaggio cadendo sulla postazione di lavoro. Non muore nessuno, ma sorge il dubbio che il restyling non sia stato fatto proprio così bene. C’è chi dice che gli impianti fatiscenti siano rimasti tal quali, che migliaia di vetture difettate si accatastino nella fabbrica, che lo sbandierato riammodernamento impiantistico sia una bufala. “Non ci sono cali apprezzabili degli infortuni – sottolinea il delegato Fiom Sebastiano D’Onofrio – Gli impianti e i carrelli sono gli stessi, e continuano a verificarsi casi di scocche che si staccano dalle linee con seri rischi per i lavoratori”. Vecchie linee dunque, ma nome nuovo: lo stabilimento viene intitolato al Giambattista Vico, la cui memoria non merita di essere associata a un carcere. Perché è questo che la fabbrica ristrutturata rischia di diventare. Il piano Marchionne prevede infatti l’introduzione di vigilantes e telecamere nei reparti per eliminare anche quei piccoli spazi informali che permettono agli operai di respirare, per spiare le relazioni sociali che nascono sulle linee, per prevenire sul nascere ogni insubordinazione. Intanto i 316 non rientrano a Pomigliano perché vengono rispediti a un nuovo corso sul WCL presso l’Inail di Napoli. Al Giambattista Vico non ritorneranno mai più. Cronache di blocchi e di mazzate Pomigliano 4Per i 316 candidati all’espulsione l’ennesimo corso parcheggio diventa l’occasione per autorganizzarsi, trasformando le lezioni in assemblee. Nasce così un comitato operaio indipendente dalle sigle sindacali, che decide di reagire. Il 4 aprile un primo sciopero riesce al 50%. La forma utilizzata al picchetto è il blocco delle auto dei colleghi: se vogliono possono andare a lavorare, ma devono farsela a piedi. E’ qui che la lotta contro i trasferimenti subisce la prima carica. Il 10 aprile si replica lo sciopero. Questa volta è blocco totale e la fabbrica si ferma compatta. Alle 21.00 la Fiat di Pomigliano è presidiata con picchetti ai 5 cancelli. L’ingresso è impossibile per tutti, persone e camion. Lo sciopero è un successo, ma il fronte sindacale è spaccato: mentre Fiom-Fim-Uilm-Fismic sono orientati ad ottenere un accordo di garanzia per i lavoratori trasferiti, lo Slai denuncia che “accettare una trattativa-farsa con la Fiat significa nei fatti accettare la sostanza dei reparti-confino e dello liste di ‘proscrizione’ con cui l’azienda intende ghettizzare i lavoratori ‘indesiderati’ per motivi sindacali o per ridotte capacità lavorative, conseguenza delle diffuse patologie professionali da sforzo prolungato”. Nelle assemblee del 12, che coinvolgono migliaia di operai, le mozioni per un opposizione totale al trasferimento vengono approvate all’unanimità. Si decide di continuare i blocchi, limitandoli però ai 3 varchi merci, facendo passare i lavoratori che intendono entrare in fabbrica. Lo scopo è lasciare gli stabilimenti privi dei materiali da lavorare, costringendo l’azienda a mettere in libertà i lavoratori. Pomigliano serve Cassino, Melfi, Mirafiori. Un blocco ai cancelli prolungato può bloccare la produzione in tutta Italia. Questa coscienza sulla strategicità che ha settore logistico per l’intero sistema fa parte di un antico patrimonio operaio, ereditato oggi dai lavoratori che in tutt’Italia bloccano gli interporti e i magazzini della grande distribuzione. Il 14 aprile più di trenta camion sono fermi davanti ai cancelli, formando una fila che blocca tutta la strada di accesso al Giambattista Vico. L’azienda cerca di escogitare soluzioni alternative per scaricare le merci, provando a portare i camion in una fabbrica adiacente, ma gli operai li intercettano e li bloccano. Nonostante la lotta in corso, partono proprio quel giorno i 316 telegrammi che comunicano per il 5 maggio il trasferimento “per ragioni tecniche-organizzative al centro denominato ‘World Class Logistic’ destinato ad ottimizzare il rifornimento dei componenti alle linee di produzione” . Contemporaneamente i dirigenti della Fiat fanno partire la domanda per l’articolo 700: cioè lo sgombero forzato degli operai per opera della polizia. Il prefetto si dimostra solerte: all’una del 15 arriva il via libera all’uso della forza. Da quel momento polizia e carabinieri possono caricare in qualsiasi momento. PomiglianoAll’alba dallo stabilimento decollano quattro elicotteri, carichi di semilavorati da inviare alle altre fabbriche del gruppo. Significa che la protesta ha colpito nel segno, ma anche che la Fiat diventerà più aggressiva. Poche ore dopo arriva dall’azienda la proposta di un tavolo di contrattazione, ma il vincolo che la dirigenza impone per sedersi a discutere è la smobilitazione davanti ai cancelli. I sindacalisti vogliono accettare. L’assemblea decide che i picchetti verranno tolti all’arrivo del fax di convocazione ufficiale, ma la polizia (che ha presidiato l’assemblea) pretende lo sgombero immediato. Quello che segue ci viene raccontato da un operaio, uno dei 316: “Fuori dallo stabilimento c’era un’atmosfera particolare: una “scenografia” di montagne di fumo, camion girati, elicotteri che passavano sopra le teste, polizia che andava avanti e indietro… si vedeva ad occhio l’incazzatura che stava crescendo. Poi arriva questa famosa telefonata con cui dicevano che era pronto l’art.700, da lì molti operai cominciarono a preoccuparsi; poi c’è stato chi, come la FIOM, ha cominciato a strumentalizzare queste voci dicendo: togliamo i picchetti poi domani parleremo con l’azienda, la stessa identica procedura usata a Melfi. Purtroppo in questi momenti non tutti reagiscono allo stesso modo: c’è chi è incazzato come te ma forse ha più paura, non ha il coraggio di esporsi più di tanto. Tutto si è rotto con una telefonata; si è cominciato a dire che era meglio togliere i picchetti, di lasciare un presidio che domani si ragiona meglio. Alla fine su un centinaio di noi rimanemmo in venti a tenere il picchetto dietro alle griglie che avevamo preparato per reggere le eventuali cariche della polizia. Gli altri operai si misero da parte a guardare lo spettacolo; io personalmente coi miei compagni decidemmo che se dovevamo chiudere il picchetto dovevamo farlo a testa alta, anche con le botte, però dovevano prendere il picchetto con la forza. La polizia, già pronta da giorni ci caricò con violenza, cademmo a terra uno sull’altro, manganellate… Poi accadde qualcosa di bello: quelli che si erano tirati indietro ebbero uno scatto di orgoglio e intervennero contro la polizia che si trovò circondata e fu costretta ad arretrare. Cinque minuti prima non volevano più sostenerci, poi vedendoci picchiati, per terra ci vennero in soccorso… fu davvero bello. Sta di fatto che ai picchetti c’erano donne, bambini, c’erano anche persone infartuate: la polizia caricò tutti, indiscriminatamente. La Fiat non si è fatta nessun scrupolo… per loro siamo solo carne da macello”. Pomigliano 1Le cariche si lasciano indietro il consueto strascico di feriti. Arrivano i pompieri per spegnere il fuoco dei copertoni, le guardie tentano di portarsi via alcuni operai, e riescono a prendersene uno in stato di fermo. Arrivano i camion che entrano a decine. Il fax di convocazione del tavolo di trattativa, intanto, non è ancora arrivato. Il giorno dopo la Fiat convoca le rappresentanze sindacali per decidere il futuro dei 316 esternalizzati. All’incontro sono ammessi solo le sigle confederali e Fismic. Restano esclusi i sindacati di base e una delegazione operaia. Sotto le finestre dell’unione industriali, il fitto e rumoroso presidio dei lavoratori viene assediato dalla celere. Quando la delegazione esce sale la tensione. I sindacalisti iniziano a spiegare che sono arrivati alla rottura, che l’azienda non ne vuole sapere di trattare, che la situazione è difficile, che l’indomani valuteranno il da farsi. Ma nessuno di loro si ricorda della promessa di riprendere gli scioperi e i blocchi in caso di insuccesso della trattativa. I dirigenti dei sindacati confederali si allontanano protetti dalla digos, mentre una carica disperde chi si è attardato nel presidio composto da operai e studenti solidali. Il 23 nelle assemblee al Giambattista Vico migliaia di operai approvano il ritiro del mandato a trattare ai sindacati confederali. Ma se questo impedirà, solo nel breve periodo, la firma di accordi truffa sul WCL, le misure decise per riportare i 316 a Pomigliano risultano troppo blande. Lo Slai Cobas annuncia che procederà a richiedere alla magistratura del lavoro di invalidare i trasferimenti, e a denunciare l’azienda per comportamento antisindacale. Ma la magistratura ha i tempi lunghi, mentre il 5 maggio si avvicina. Il 28 aprile Slai Cobas e sindacati confederali decidono due ore di sciopero al giorno. Ci vuol ben altro per spaventare la Fiat, che dalle colonne del Mattino non manca di minacciare il licenziamento di chi non si presenterà nel giorno stabilito all’interporto di Nola. Il 5 maggio 2008 i 316 prendono servizio. Marchionne ha vinto.

Settembre 2008. Trascorsi quattro mesi dal trasferimento coatto di 316 lavoratori dal “Giambattista Vico” al “World Class Logistic” (WCL) di Nola, ci si aspetta l’avvento della grande rivoluzione logistica, quella che secondo i cantori del Marchionne pensiero dovrebbe salvare il futuro di Pomigliano e rilanciare l’efficienza di tutti gli impianti meridionali del gruppo Fiat. Ma invece della “rivoluzione” … arriva la cassa integrazione. Per i 316 lavoratori del WCL scatta la Cigo. No, non la Cassa integrazione ordinaria, ma la Cassa integrazione ad oltranza, nel senso che a Nola, dove hanno fatto appena in tempo a metter piede, a lavorare non ritorneranno più. E perché mai dovrebbero? Il World Class Logistic ha già svolto pienamente il suo ruolo, che non è certo quello di diventare un polo logistico di eccellenza. Il suo destino non si compie nemmeno nella “terziarizzazione”, che tanto preoccupa gli operai, cioè la cessione di ramo d’azienda a qualche gestore di servizi pronto a fare il lavoro sporco per conto della Fiat. Non sarebbe la prima volta che succede: già dagli anni ’90 i lavoratori della logistica dell’Alfa Sud di Pomigliano furono ceduti alla Arcese, alla Smet, alla Novaferro, alla TNT e infine alla DHL. Nel corso di 15 anni di passaggi di mano calarono da 900 a 400, e molti furono indotti al licenziamento per le terribili condizioni di lavoro (1.Circolo PRC Fiat Auto-Avio di Pomigliano D’Arco, Pomigliano non si piega. Storia di una lotta operaia raccontata dai lavoratori, A.C. Editoriale Coop., 2001, pp. 77/78). Ma non è questa la fine del WCL. Chi se lo accatterebbe, infatti, un bidone vuoto ? Che il bidone sia vuoto lo dimostra il fatto che nessuno degli stabilimenti che Nola dovrebbe servire ha ridimensionato i propri reparti logistici. Fra l’altro l’organizzazione del World Class Logistic, per attuarsi, dovrebbe destrutturare e ricomporre in tutt’altro modo l’intero indotto Fiat, che è spesso cresciuto proprio in prossimità di ogni polo di assemblaggio. Con quale logica i fornitori lucani della Fiat/Sata dovrebbero spedire i pezzi in Campania per poi vederli ritornare a Melfi ? E comunque, qualora Marchionne avesse voluto davvero creare una centrale unica di approvvigionamento per le fabbriche del sud, non vi avrebbe certo concentrato gli operai più combattivi, mettendoli in grado, in caso di sciopero, di bloccare la produzione di Pomigliano, Melfi, Cassino e Termini Imerese. Questo non vuol dire che egli non affidi una specifica “mission” al polo logistico fantasma: la sua creazione è infatti l’atto propedeutico per la prova di forza che il manager tiene in serbo per lo stabilimento di Pomigliano. Propedeutica è l’espulsione dalla fabbrica degli operai più coscienti e determinati, degli incorruttibili, quelli che non potrebbero mai subire la ristrutturazione di Pomigliano senza lottare. Il loro esilio è la sperimentazione su scala ridotta di quella che di lì a poco sarà l’estromissione di massa della Fiom dal “Giambattista Vico”. Propedeutica è l’espulsione dalla fabbrica dei soggetti con ridotta capacità lavorativa, quelli che non potranno reggere fisicamente l’impatto con ritmi/turni/orari progettati per piegare anche i sani e i forti. Gente non adatta alla riorganizzazione del lavoro basata sull’ Ergo UAS, la nuova frontiera dell’annientamento operaio. Il metodo merita alcune considerazioni. Sviluppato dalla collaborazione fra il Politecnico di Torino e l’Università di Darmstadt, l’Ergo UAS è un’aberrazione della logica dell’ergonomia, il classico esempio di come si possa rivolgere contro gli operai una scienza che in linea teorica dovrebbe salvaguardare la loro salute. Comporta una notevole sottostima dei fattori di rischio ergonomico (http://www.snop.it/attachments/article/176/TUCCINO.pdf), certifica pertanto la negazione del rischio laddove il rischio c’è. Ma soprattutto sterilizza ogni miglioramento nelle postazioni o modalità di lavoro finalizzandole al mero recupero della produttività, e non al benessere dell’operaio. Il concetto è: dal momento che sulle linee “si fa meno fatica”, ci si può riposare di meno e si può andare più in fretta. Su questa “base scientifica” si procede al taglio delle pause, all’aumento dei carichi di lavoro, alla saturazione dei tempi, con il risultato “ergonomico” di spezzare il lavoratore nel fisico e nella mente. La dirigenza Fiat sa che l’avvento di questo tipo di “modernità” nello stabilimento di Pomigliano non potrà passare senza conflitto. Per questo ha bisogno di preparare il terreno. In questo senso la creazione del WCL rappresenta una sorta di prova generale, che gli permette di verificare e soppesare la capacità di opposizione operaia davanti ai soprusi, la reazione delle istituzioni e della stampa, la fedeltà dei servi sciocchi. E di concludere che le condizioni sono ottimali: la rappresentanza operaia è divisa, la stampa subalterna, i servi sciocchi plaudono alla semplice promessa di nuovi ipotetici investimenti. Quanto alle istituzioni, se il ministro del lavoro uscente, Cesare Damiano, non ha mai posto ostacoli ai desiderata della Fiat (facilitandole, peraltro, l’espulsione di 2000 operai in mobilità lunga - http://www.repubblica.it/2007/02/sezioni/economia/fiat-9/fiat-9/fiat-9.html), con il IV governo Berlusconi il ministero guidato da Maurizio Sacconi raggiunge livelli di complicità assoluta. Dulcis in fundo, l’ultima condizione che concorre alla riuscita di una prova di forza è la crisi. E nell’uso capitalistico della crisi Marchionne non si tira certo indietro. Nel settembre 2008, infatti, “causa avverse condizioni di mercato”, oltre che per gli operai del WCL scatta la cassa integrazione anche per i 5000 lavoratori del “Giambattista Vico” e per 15.000 del suo indotto. Migliaia di persone costrette a campare le famiglie, in maggioranza monoreddito, con 700 euro al mese, in un contesto economico che non offre alcuna alternativa. Significa mettere in discussione l’istruzione dei figli o le cure mediche, prendere i pacchi viveri alla Caritas, significa lo sfratto, non riuscire a pagare il mutuo, l’umiliazione di chiedere aiuto ai parenti, il ricorso ai cravattari. Significa la crescita dell’angoscia, dell’aggressività, della depressione dentro le mura domestiche. Come per un assedio, Marchionne sa che il nemico si prende per fame, aspettando che accetti la resa spinto dalla disperazione. Tanto lui può attendere, che gli frega ? Solo nel biennio 2008/09 si becca 8,2 milioni di euro di stipendio -tassati in Svizzera- (http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=91930&sez=HOME_ECONOMIA). Robot11Una volta accollata all’Inps la (mera) sopravvivenza delle maestranze italiane, il “manager col maglioncino blu” (come “simpaticamente” viene descritto dalla stampa) può dunque concentrarsi con maggior vigore allo sfruttamento delle opportunità che la crisi gli offre anche oltreoceano. A Detroit l’acquisizione della Chrysler in bancarotta si accompagna a pesanti riduzioni dei salari (dimezzati per i nuovi assunti), intensificazione dei ritmi, moratoria di sei anni sugli scioperi (http://www.inchiestaonline.it/lavoro-e-sindacato/giordano-sivini-%C2%ABchrysler-storia-di-finanza-e-di-sfruttamento-operaio%C2%BB/). Lo stesso copione che verrà recitato a Pomigliano: l’imposizione del potere assoluto sotto la minaccia di chiusura della fabbrica. Marchionne affronta fiducioso le trasferte negli States: sa che in sua assenza, Sacconi sta lavorando per lui. Nell’aprile 2009 il ministro del lavoro, in concerto con Cisl, Uil e Confindustria, promuove l’Accordo interconfederale sulla riforma degli assetti contrattuali che scardina i contratti collettivi nazionali di lavoro, attribuendo alla contrattazione aziendale il potere derogatorio in peius delle clausole dei CCNL (http://www.cisl.it/sito.nsf/04f42ae6f3ece57cc125737c004da4a3/2ea8230cd492c93ac125759a002a5280?OpenDocument). Costruisce così il fondamento normativo su cui potrà basarsi il futuro accordo separato di Pomigliano. Va inoltre aggiunta ai “meriti” di Sacconi la puntuale opera di peggioramento della normativa sull’orario di lavoro. Per decreto legge la logica della derogabilità in peius tramite la contrattazione aziendale si estende al diritto del lavoratore ad almeno undici ore di riposo giornaliero, al diritto alle pause ed al limite di otto ore per l’orario notturno (http://www.puntosicuro.it/sicurezza-sul-lavoro-C-1/ruoli-figure-C-7/lavoratori-C-73/decreto-112/2008-le-novita-in-relazione-agli-orari-di-lavoro-AR-8193/). Tutte deroghe a cui la Fiat attingerà a piene mani. (Continua)


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lunedì 2 giugno 2014


 
News

Nuova protesta degli agricoltori a Bruxelles, 250 trattori intorno alle sedi Ue. Roghi davanti all’Eurocamera: polizia usa idranti e lacrimogeni.
Circa 250 trattori hanno bloccano le strade principali del quartiere delle istituzioni Ue a Bruxelles chiamati a manifestare da Fugea, dalla Federazione dei Giovani Agricoltori (FJA), dalla Federazione Vallone dell’Agricoltura ( Fwa), dalla Rete di sostegno all’agricoltura contadina (RéSAP) e dal Coordinamento europeo. >>



Gates e Zuckerberg puntano sull'agricoltura: "Cibo vero solo per ricchi"
Altro che carne sintetica e dieta vegetale. I grandi imprenditori dei Big Data sembrano andare proprio nella direzione opposta. Mentre, infatti, la sostenibilità planetaria spinge le economie a orientarsi verso la produzione di cibo sintetico, loro investono su terreni agricoli e sulla produzione di carne tradizionale di altissima qualità. E naturalmente altissimi costi e ricavi. >>



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Il presidente USA Biden, raccogliendo la richiesta che da tempo avanza Bernie Sanders, ha annunciato che gli Stati Uniti forniranno mascherine ffp2 gratis ai cittadini. >>