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Monsanto potrebbe andarsene al diavolo.

Chissà, forse ci vorrebbero i Caschi Blu per fermare l’impresa criminale che avvelena il pianeta e fa uso di devastanti armi chimiche contro l’agricoltura sana, il cibo di tutti noi e i contadini del mondo. No, le Nazioni Unite non interverranno. Sono stati gli abitanti di un minuscolo centro della provincia argentina di Córdoba e un gruppo di donne molto coraggiose a fermare (per ora) l’installazione dell’impianto Monsanto per la lavorazione delle sementi Ogm più importante dell’America Latina.

Il terzo trimestre fiscale del 2013 si è chiuso con un utile di 386 milioni di dollari, 47 più dell’anno precedente. Le stime per gli utili del 2014 sono confortanti e confermate: poco più di 5 dollari per azione. L’incertezza sul domani, diversamente dai comuni mortali, per Monsanto non è una sicurezza dell’oggi. Eppure, nell’emisfero australe del pianeta, qualche piccolo, fastidioso grattacapo c’è. “La sola cosa certa, per ora, è che il bloqueo continua”. Non ci sono esitazioni nelle parole di Sofia Gatica. Da 115 giorni, il blocco dell’accesso ai cantieri degli impianti che Monsanto progetta per Malvinas Argentinas. un piccolo centro a 14 chilometri da Córdoba, lo fanno lei, gli altri e soprattutto le altre acampadas. Vogliono impedire l’installazione di 240 enormi silos di semi di mais transgenico, 137 tonnellate l’uno, il più grande impianto dell’América latina, il secondo nel mondo.

Una vittoria storica o una copertura per Monsanto? Nella prima settimana del 2014, la pressione per ripristinare l’accesso ai mezzi di trasporto è stata rabbiosa. Sono arrivati anche i lavoratori, che volevano entrare a forza nei cantieri, scortati da esercito e polizia. Gli accampati sono stati aggrediti e feriti. Portano ancora i segni dei colpi. Quando i lavoratori hanno visto picchiare anche le donne e i bambini, se ne sono andati. Poi, l’otto di gennaio, lo stesso giorno in cui l’impresa ha comunicato le stime complessive sugli utili del 2014, è arrivata la sentenza che impone a Monsanto di sospendere i lavori e di chiudere il cantiere di Malvinas Argentinas. Tra gli acampados, le prime reazioni sono emozionate e contraddittorie: una parziale ma storica vittoria, se si tiene conto del peso dei contendenti. Il condizionamento della sospensione al completamento della documentazione sull’impatto ambientale, tuttavia, potrebbe anche rivelarsi un imbroglio, una copertura legale che finirebbe per favorire le raffinate quanto perfide strategie della Mondiablo. Per questo Sofia e le compagne si sono preoccupate di scrivere subito un cartello piccolo piccolo. Dice che la lotta continua, che la acampada, il presidio, non si smantella e che loro non si fidano delle corti di giustizia argentine. Hanno scattato una bella foto e l’hanno lanciata su facebook, il canale attraverso cui mezzo mondo riesce a seguire le loro vicende con partecipazione e simpatia. Le tende e la fantasia L’Asamblea dei vecinos di Malvinas Argentinas, insieme a Sofia e le altre Madres di Ituzaingó, un quartiere operaio circondato da immensi campi di soia alla periferia della seconda città dell’Argentina, ha fermato Monsanto per diversi mesi. La gente si è accampata alla meglio, con piccole tende e tanta fantasia (come mostra la galleria di foto de lavaca.org). Poi ha bloccato le vie d’accesso ai lavoratori dei cantieri e ai materiali da costruzione per gli impianti, fino all’otto gennaio. Adesso, in base a un esposto presentato da alcuni abitanti della zona, è arrivato il parere delle giustizia provinciale: revoca l’autorizzazione alla costruzione degli impianti concessa dal municipio fino al completamento degli studi sull’impatto ambientale. Una sentenza forse anche sorprendente, considerando lo strapotere politico e finanziario del colosso degli Ogm, la scarsa autonomia di una giustizia come poche esposta e disposta alla corruzione, e la notevole pressione dei sostenitori dello “sviluppo”. Tra i quali spiccano, al solito, sindacati corporativi, sempre pronti a difendere gli interessi dei lavoratori quando coincidono con quelli, mastodontici, dell’impresa. Il destino delle madri La pressione sul presidio è psicologica ma è da tempo anche violenta. A novembre, Sofia Gatica, la più nota tra le fondatrici delle Madres di Ituzaingó, premio Goldman 2012, uno dei massimi riconoscimenti mondiali per la difesa dell’ambiente, è stata seguita e minacciata di morte da un uomo armato. Non è bastato a intimorirla. Così, un giorno, mentre usciva dal lavoro, a Cordoba, due uomini sono scesi da una moto e l’hanno scaraventata a terra, quindi l’hanno presa a calci. Non è bastato neanche questo, naturalmente. Tredici anni fa, Sofia ha perso una bambina dopo appena tre giorni di vita: blocco renale. Quando ha smesso di piangere, ha cominciato a indagare insieme ad altri quindici madri: l’80 per cento dei bambini del quartiere nasceva con sostanze agro-chimiche nel sangue, l’incidenza dei tumori era 41 volte superiore a quella della media nazionale. Regali delle fumigazioni sui campi di soia. I campi di Monsanto e degli altri signori dell’agro-business, quelli per i quali l’incertezza del domani è solo un decimale negli utili. I compagni chiamano Sofia “la leona”, lei conosce il dolore, la rabbia ma soprattutto conosce il coraggio. È stato, ed è il destino di molte madri di quel fantastico paese alla fine del mondo.

Guerrieri per la vita Monsanto, naturalmente, ha già annunciato che non ha alcuna intenzione di abbandonare il suo faraonico progetto. Ci ha pensato Adrián Vilaplana, la voce dell’impresa in Argentina. Ha spiegato che la documentazione sull’impatto ambientale è in fase conclusiva e che confida in un esito positivo della valutazione sull’impatto ambientale da parte del governo. Un uomo ottimista e sempre molto informato, Vilaplana. Si dice invece profondamente contrario a un ipotetico referendum popolare, “una trappola degli ambientalisti”, lo definisce. Non servirebbe a nulla consultare la gente, è evidente, quel che serve è invece “una discussione tecnica non ideologica”. Monsanto ricorrerà in appello al Tribunale superiore di giustizia contro la sentenza (due voti contro uno, tra i giudici, secondo il quotidiano La Voz) che diffida il municipio di Malvinas dal concedere nuovi permessi in attesa della valutazione del ministero dell’ambiente. “Era stata chiesta la sospensione definitiva della Risoluzione 595, quella che consentiva a Monsanto di andare avanti. La sentenza parla invece di una scadenza alla presentazione delle carte e di un’audizione pubblica. Sono i passaggi formali che dovrebbe realizzare comunque questa multinazionale genocida”, commenta Sofia Gatica. Poi, per evitare ogni possibilità d’equivoco, aggiunge: “Non siamo ingenui. Credete che la valutazione del governo sull’impatto ambientale ci possa dar ragione? Verranno di nuovo a prenderci a calci. Forti, questa volta, anche di aver compiuto i passi legali necessari. Dobbiamo aprire gli occhi, la sola via è imporre l’annullamento della Risoluzione. Siamo guerrieri per la vita, dobbiamo batterci per poter vivere”. L’orgoglio di Cristina Il presidio resta dunque ben fermo al suo posto. Sarà una lotta anche di resistenza: il padrone dei semi e delle “armi” chimiche contro l’agricoltura più potente del pianeta, contro un gruppetto di madri tenaci, alcuni miti ambientalisti, molti giovanotti scapestrati di belle speranze e l’assemblea dei cittadini più sensibili e attenti di un minuscolo centro di ottomila abitanti. Sembra una sfida senza speranze. A Cristina Fernández de Kirchner, appassionata presidente dell’Argentina ed esponente di punta delle sinistre latinoamericane che contano (1), trema la voce quando parla, con orgoglio, dello straordinario interesse per il suo paese che nutre un’impresa che ha il controllo assoluto di quasi il 30 per cento del mercato mondiale dei semi. Per averne un’idea, guardate anche solo i primi 30 imbarazzanti secondi del filmato che trovate qui sotto (2). Sembra una partita dall’esito scontato. “Si può battere la Monsanto?”, si chiedeva Raúl Zibechi su queste stesse pagine in un eccellente articolo uscito in ottobre: “Una delle maggiori multinazionali del mondo viene braccata da diversi movimenti e molteplici azioni (…). Osservare la varietà delle iniziative esistenti, e apprendere da esse, può essere un modo di comprendere un movimento di un nuovo tipo, un movimento che valica le frontiere…”. Trasformare la natura in merce Ecco, lo straordinario valore della strenua lotta delle madri di Ituzaingó contro il gigante dei manipolatori di genoma sta certamente nella difesa della vita e della salute dei bambini che sono nati e nasceranno a Cordoba. C’è dell’altro, tuttavia. Nella acampada di Malvinas Argentinas sono spuntati un orto biologico, un forno di argilla, mentre alcune pareti segnalano che altre iniziative sono in arrivo. Quel che più conta, naturalmente, sono le relazioni sociali che vivono in questo ribellarsi facendo contro la trasformazione di natura in merce. La sfida lanciata da Sofia e dagli altri accampati sembra senza speranze: si può battere un’impresa che per il prossimo anno prevede il raddoppio della produzione di agro-combustibile, che ha un fatturato annuale di più di sette miliardi di dollari e controlla quasi un terzo del mercato mondiale dei semi? Forse non si può vincere contro una creatura del dottor Frankenstein con cento anni di storia, molta della quale criminale, come quando dovette sborsare 80 milioni di dollari per indennizzare i veterani della guerra del Vietnam per i danni causati loro dalla diossina contenuta nell’agente arancio usato per defoliare gli ecosistemi della giungla asiatica. No, probabilmente non si può vincere. Eppure, se Monsanto dovesse essere allontanata da Malvinas Argentinas – come avvenne nel 2000, quando la Bechtel fu cacciata dalla città boliviana di Cochabamba – il domani dei comuni mortali di tutto il pianeta sarebbe meno incerto e senz’altro più allegro. NOTE (1). Ascoltammo questa ficcante definizione “aritmetica”, la sinistra che conta, per la prima volta, molti anni fa dalla voce dell’allora ministro Oliviero Di Liberto, uno che se ne intende. (2). L’imperdibile intervento di Cristina Fernández de Kirchner sulla Monsanto a New York. Un frammento del documentario “Il mondo secondo Monsanto” di Marie Monique Robin 2008 (in spagnolo). (autore: Marco Calabria)
http://comune-info.net

lunedì 10 marzo 2014


 
News

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