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Paese in regressione, rabbia crescente.

Perchè i giovani - e le loro famiglie - non dovrebbero essere incazzati? Tutti gli indicatori confermano il peggioramento delle condizioni sociali complessive. Se è il presente e non solo il futuro a minacciare la sicurezza della gente, la politica dei “due tempi” non funziona più. Il governo si chiude nei suoi club protetto dai manganelli e i giovani non possono che prendersi le strade. E' interessante leggere alcuni recentissimi indicatori della situazione sociale in Italia rilevati da alcuni centri di ricerca e indagini. E' ancora più interessante trarne qualche considerazione sul piano politico. L'economia italiana non sembra proprio vedere l'uscita dal tunnel della recessione “divinata” da Monti qualche settimana fa. Infatti sono ormai cinque trimestri consecutivi che certificano una contrazione dell'attivita' economica. Secondo la stima preliminare dell'Istat nel terzo trimestre dell'anno il pil accusa una contrazione dello 0,2% rispetto al trimestre precedente e del 2,4% nei confronti del terzo trimestre del 2011 (lo stesso valore registrato nel secondo trimestre).

Se il 40,5% delle famiglie giudica sostanzialmente invariata la propria situazione economica rispetto all'anno precedente, cresce invece dal 43,7% al 55,8% la quota di famiglie che dichiara un peggioramento delle proprie condizioni di vita. A rilevarlo è lo stessi Istat nell'indagine Multiscopo “Aspetti della vita quotidiana”, svolta nel marzo scorso, ma resa nota ieri, e che ha rilevato le dimensioni della insoddisfazione dei cittadini. La percezione delle famiglie, spiega l'Istat, è, comunque, molto diversificata rispetto alla condizione della persona di riferimento. Dichiarano un peggioramento della propria situazione economica in misura superiore quelle con persona di riferimento lavoratore in proprio (58,8%), operaio (56,9%) e in cerca di occupazione (73,4%). Cala anche, sottolinea l'Istat, la soddisfazione per la situazione economica personale. Il 55,7% delle persone di 14 anni e più si dichiara per niente o poco soddisfatto, contro il 49,5% dell'anno precedente. Infine si segnalano i risultati del rapporto curato da Osservatorio Censis-Confcommercio su aspettative e clima di fiducia delle famiglie. Secondo lo studio, sono poche le famiglie che riescono a cogliere qualche segnale positivo sul fronte delle misure di politica economica messe in atto dal governo nell'ultimo anno, anzi e' abbastanza diffuso il senso di insofferenza nei confronti di tutto cio' che rientra nella sfera che riguarda la classe politica e le misure approntate nell'ultimo anno dal Governo. Quasi il 69% degli intervistati considera ormai intollerabili i costi e gli sprechi della politica a cui si aggiunge quasi il 48% di chi considera inaccettabile il livello raggiunto in termini di malaffare nella gestione dei beni pubblici. In una percentuale consistente, pari al 22%, si posizionano coloro che considerano ormai eccessivo il livello raggiunto dalla pressione fiscale.

Il rapporto parla – cercando di rasserenare gli animi - di un “diffuso atteggiamento adattativo” secondo il quale “le famiglie non protestano, ma adattano i propri stili di vita alla congiuntura di crisi, tagliano e rimodellano i propri budget di spesa, procedendo in un tunnel il cui termine sembra ancora lontano”. Secondo questo studio, solo il 10% degli intervistati dichiara di sentirsi confuso dalla crisi perdurante, mentre il 40,8% dichiara che tagliera' i consumi. A questi si contrappone un 29% di coloro che hanno dichiarato di non voler rinunciare a nulla, rimodulando solo le priorita' di spesa. In Italia non siamo ancora al 99% contro l'1% semplificato negli slogan di Occupy Wall Street, ma la tendenza alla proletarizzazione e all'impoverimento è crescente. In tale contesto, tre giorni fa le banche dichiaravano utili in crescita e dividendi garantiti nell'anno in corso per i loro azionisti. Alla luce di queste conferme sulla regressione sociale complessiva della maggioranza delle famiglie (e dunque anche dei loro figli), il governo e la classe dominante scelgono di barricarsi nei propri bunker (Palazzo Chigi, Montecitorio) rendendoli irraggiungibili alla protesta, oppure si riuniscono in cene sontuose al Campidoglio o in riservatissimi meeting in lussuosi hotel romani. Ormai è chiaro a tutti che il corteo degli studenti è stato bloccato e mazziato sul Lungotevere per impedirgli di avvicinarsi all'Hotel de Russie, dove era in corso la esclusivissima riunione del gruppo Bildeberg che doveva discutere proprio della situazione in Spagna, Grecia, Portogallo, Italia. Alla cena del Bildeberg c'erano Monti,la Fornero, Moretti, Alemanno che davanti alle telecamere hanno negato con imbarazzo il convivio trincerandosi dietro un asettico invito ad una cena da parte della Telecom. E' conseguenza che appena qualche ministro o leader politico collaterale al governo come Bersani, mettono il naso fuori dai loro bunker esclusivi, trovino sulla loro strada operai o studenti, disoccupati o artisti che li contestino più o meno aspramente.

Gli studenti, che hanno cuore e gambe per farlo, si sono presi le strade delle città italiane ed europee per dire basta con i diktat della troika europea e con l'arroganza dei ricchi. Li hanno inseguiti, bastonati, riempiti di lacrimogeni, intimiditi a mucchi. Ma potrebbe essere un serio, serissimo passo falso da parte delle oligarchie dominanti. Se è il presente più che il futuro a inquietare e far incazzare, la storiella della politica dei “due tempi” (oggi i sacrifici,domani la ripresa) non funziona più. “Tutti insieme facciamo paura” ritmava uno degli slogan dell'enorme corteo di giovani e giovanissimi. Se questa consapevolezza, che deriva dalla convergenza di coscienza e incoscienza dei giovani, riuscirà a saldarsi con quella dei loro genitori e a darsi l'organizzazione sufficiente per non disperdere le forze e concentrarle, la lotta per il cambiamento potrebbe cominciare a uscire da limbo dell'utopia e dalla logica del meno peggio. (di Sergio Cararo)
www.contropiano.org

venerdì 16 novembre 2012


 
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