I predatori metropolitani. Il Capitalismo contro il diritto alla città.
Autore: Sandro Mezzadra - 10/07/2012
«Il capitalismo contro il diritto alla città», l'ultimo lavoro del geografo di origine inglese ( David Harvey) mette al centro la spinosa «questione urbana», rivisitata alla luce del funzionamento dei mercati finanziari internazionali
Il capitalismo contro il diritto alla città è il titolo scelto dalla casa editrice ombre corte per il piccolo libro di David Harvey da poco in libreria (pp. 106, 10 euro). È un libro, conviene dirlo subito, tanto piccolo quanto prezioso. Per chi non conosce il lavoro di Harvey, uno dei protagonisti indiscussi dei dibattiti marxisti internazionali, è un'ottima introduzione ai temi al centro della sua ricerca fin dall'inizio degli anni Settanta, qui rivisitati sullo sfondo della crisi contemporanea. Per chi è familiare con l'opera dell'autore inglese, da tempo trasferitosi negli Stati Uniti, la lettura dei tre capitoli che compongono il volume riserva qualche sorpresa - o meglio dischiude prospettive analitiche e politiche rimaste sotto traccia nel lavoro di Harvey degli ultimi anni (da La guerra perpetua a Breve storia del noeliberalismo, entrambi usciti in Italiano per Il Saggiatore, fino a L'enigma del capitale, pubblicato lo scorso anno da Feltrinelli).
Espropriazione urbana
Geografo di formazione, Harvey ha raccontato spesso come il momento decisivo nella sua radicalizzazione politica sia stato l'arrivo a Baltimora, nel 1969: «non avevo mai visto un tale livello di povertà», ha dichiarato ancora di recente in un'intervista con la rivista francese «Vacarme». Erano gli anni in cui, negli Stati Uniti, il dibattito pubblico era dominato dal tema della «crisi urbana», sullo sfondo delle grandi rivolte nei ghetti afro-americani. Da quel momento, la questione della città è rimasta al centro del lavoro di Harvey, all'interno di un più generale tentativo di integrare la dimensione dello spazio all'interno di un rinnovato paradigma marxista: ne è derivata la proposta, in particolare in Limits to Capital (1982), di un «materialismo storico-geografico» che, sulla base di una originale rilettura del secondo libro del Capitale, ha influenzato in modo duraturo il lavoro di un paio di generazioni di «geografi radicali».
Come si può in generale definire il ruolo dell'urbanizzazione all'interno del capitalismo? A giudizio di Harvey, le città sorgono storicamente «attraverso la concentrazione geografica e sociale di una eccedenza di prodotto» e sono essenziali al capitalismo per «assorbire i prodotti eccedenti che produce in continuazione». Sono dunque i luoghi per eccellenza di quella «distruzione creatrice» su cui si fonda l'accumulazione del capitale. I quartieri proletari della Parigi del II Impero rasi al suolo per realizzare i piani di riorganizzazione metropolitana di Haussmann, studiati da Harvey in un libro del 2003, diventano così il simbolo di una lunga storia di «espropriazione» e di «pratiche predatorie urbane» che accompagna l'intero arco dello sviluppo capitalistico - fino a oggi. Centrale, d'altro canto, risulta nella prospettiva di Harvey il nesso tra rendita immobiliare e rendita finanziaria, definito dall'interno di una ripresa del concetto marxiano di «capitale fittizio». Si legga la definizione qui offerta della terra come «una forma immaginaria di capitale basata sull'aspettativa di rendite future», si pensi al funzionamento dei mercati finanziari e si capirà facilmente come le «affinità elettive» tra rendita urbana e finanza abbiano solidi fondamenti.
Nella prospettiva analitica di Marx, scrive Harvey, «il capitale fittizio non è il frutto del cervello rovinato dalla cocaina di qualche operatore di Wall Street». Proprio partendo dalla sua analisi del rapporto tra urbanizzazione e capitalismo, vengono qui messi efficacemente in evidenza i limiti delle critiche che si concentrano sul carattere meramente «speculativo» della finanza. Quel che caratterizza il presente sono piuttosto per Harvey da una parte l'eccezionale sviluppo e la complessità dei dispositivi finanziari, dall'altra la «globalizzazione» tanto dei mercati finanziari quanto dell'urbanizzazione. Questi sviluppi hanno certo reso possibile tanto un'estensione spaziale dei circuiti dell'accumulazione capitalistica che ruotano attorno al nesso tra rendita metropolitana e rendita finanziaria quanto una intensificazione di questo nesso: basti pensare, per fare un unico esempio, a come i mutui subprime abbiano consentito di includervi poveri e minoranze. Al tempo stesso, tuttavia, Harvey dimostra come anche la crisi abbia conosciuto un movimento di estensione e intensificazione, fino a divenire negli ultimi anni il vero e proprio orizzonte dello stesso «sviluppo» anche al di fuori dell'Occidente, nei Paesi cosiddetti emergenti. «Sconcertanti», a suo giudizio, risultano dunque le affermazioni contenute in un rapporto della Banca Mondiale del 2009, che all'indomani del fallimento di Lehmann Brothers riproponeva l'usuale alchimia neoliberale di rule of law, diritti di proprietà e «innovazioni finanziarie» («mercato ipotecario secondario», «cartolarizzazione dei mutui», etc) come chiave di volta per lo sviluppo urbano e regionale.
La politica dello spazio
Si è detto della Parigi del secondo Impero. È noto quanto considerazioni di ordine «militare» abbiano influenzato i progetti di Haussmann. Scrive Walter Benjamin in una pagina famosa che il suo vero obiettivo «era di garantire la città dalla guerra civile. Haussmann voleva rendere impossibile per sempre l'erezione di barricate a Parigi». E tuttavia, di lì a pochi anni, «la barricata risorge nella Comune, più forte e più sicura che mai». È una vicenda ricorrente, anche in questo caso fino a oggi. Le indicazioni offerte da Harvey in questo libro configurano la possibilità di una vera e propria contro-storia del rapporto tra capitalismo e questione urbana: lotte e rivolte non si limitano a rappresentare l'«effetto» dello svolgersi di questo nesso; determinano piuttosto la crisi di specifici «regimi» urbani, affermano nuovi modi di abitare e vivere la città, aprono puntualmente la possibilità di una trasformazione - di tanto in tanto: di una rivoluzione.
Il «diritto alla città» che dà il titolo al libro di Harvey rinvia al lavoro di Henri Lefebvre, un teorico marxista francese autore tra gli anni Sessanta e Settanta di fondamentali studi sulla «politica dello spazio». Il confronto con Lefebvre è uno dei fili rossi di questo libro, che costituisce anche un invito a riscoprire un autore e un'opera sostanzialmente dimenticati in Italia ma al centro di un vivace dibattito soprattutto nel mondo anglosassone. Harvey mostra bene come Lefebvre avesse anticipato alcuni sviluppi contemporanei della questione urbana, a partire dal salto di scala dell'urbanizzazione, dalla sua esplosione a livello globale. E riprende molte sue suggestioni quando indica nella città il terreno fondamentale su cui deve essere ripensata e organizzata la lotta contro il capitalismo. Con più forza e con maggiore originalità rispetto ad altri suoi lavori recenti, in particolare, Harvey mette qui al centro della sua riflessione la «produzione della città», invitando a riconsiderare lo stesso concetto di «proletariato» dal punto di vista della sua composizione metropolitana, includendovi «tutti coloro che favoriscono il riprodursi della vita quotidiana» nella città. Tra lavoratori edili e «badanti», operatori culturali e ospedalieri (per menzionare qualche esempio tratto dalla lunga lista presentata alla fine del libro), il problema fondamentale che Harvey propone al dibattito e all'azione politica è «quello della ricerca di unità all'interno di un'incredibile varietà di spazi sociali frammentati» e attraversati da una strutturale «precarietà» del lavoro e della vita.
I luoghi della cooperazione
Assunta questa centralità delle reti e delle figure soggettive della cooperazione metropolitana, la contrapposizione proposta da Harvey in precedenti lavori tra «accumulazione per espropriazione» (ad esempio di terre) e «accumulazione per sfruttamento» (del lavoro) risulta felicemente problematizzata. Sul terreno della «produzione della città» i confini tra le due forme tendono a sfumare, proponendo l'urgenza di una nuova definizione generale dello sfruttamento, all'altezza della violenza con cui opera oggi la rendita immobiliare e finanziaria. Avanzare dal punto di vista teorico su questo terreno risulta essenziale per riempire di contenuti la rivendicazione del «diritto alla città», che come afferma Harvey è un «significante vuoto»: «rivendicare il diritto alla città è, in realtà, rivendicare il diritto a qualcosa che non esiste più (ammesso che sia mai esistito)». È rivendicare un «diritto mirato», che non può esistere cioè all'infuori dell'individuazione dei suoi soggetti e dalla materiale produzione di una nuova «città», di un nuovo luogo comune di cooperazione, uguaglianza e libertà: «il diritto alla città contro il capitalismo», si potrebbe allora dire rovesciando il titolo di questo libro.
Imporre il diritto alla città a chi si è approfittato della crisi!
Fonte Blockupy-Frankfurt 16-19 maggio 2012
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Imporre il diritto alla città!
L'attuale crisi del capitalismo ha raggiunto, dopo la prima fase rappresentata dallo scoppio della bolla finanziaria, un nuovo livello in cui soprattutto i bilanci degli Stati europei e la stabilità dell'Euro sono al centro dell'attenzione pubblica. Paesi come la Grecia, con un forte deficit pubblico, si sono meritati la Troika della Commissione Europea, della Banca Centrale Europea e del Fondo Monetario Internazionale come pretesto per introdurre in questi Paesi governi tecnocratici ed imporre notevoli tagli alla spesa pubblica. Questo ha comportato l'impoverimento di altre fasce della popolazione. L'obiettivo è quello di abbassare drasticamente il livello degli stipendi, tagliare la spesa pubblica e assicurare in ogni caso la restituzione del credito alle banche dei Paesi ricchi (come la Germania). Gli effetti sono tragici: le istituzioni statali attuano licenziamenti di massa e la gestione dei servizi pubblici è privatizzata. La disoccupazione giovanile è mediamente in Spagna e in Grecia di oltre il 50%!. È ora dunque, anche "nel cuore della bestia", di contrastare questa politica.
Crisi e bolle immobiliari
Le voci secondo le quali chi ha ottenuto dei mutui esagerati avrebbe "fatto il passo più lungo della gamba" nasconde tuttavia le vere cause della crisi finanziaria ed economica del capitalismo. La crisi non si limita al comportamento delle banche poiché è strettamente intrecciato con i mercati immobiliari e di conseguenza con i progetti urbanistici, di organizzazione dello spazio abitativo e del diritto alla città.
Il crollo del settore bancario, nel 2008, è stato causato in modo determinante dalle bolle immobiliari negli USA, in Spagna, Irlanda e Regno Unito. Già a metà degli anni 90 (e di nuovo con la fine del boom della new economy nel 2001) enormi quantità di capitale in eccedenza furono investite nel mercato immobiliare. L'attività edilizia speculativa e la cessione facilitata di crediti portarono infine ad un boom immobiliare accelerato forzatamente. Però i rischi non erano delle società finanziarie: se saltavano i crediti verso i compratori, le banche potevano pignorare le case. In Spagna, le case sono valutate in base al valore che hanno nel mercato attuale e calcolato con il credito originario, così bisogna restituire un credito più alto rispetto a quello ricevuto. Nel frattempo, il mercato immobiliare è crollato e chi è rimasto vittima di questa procedura rimane senza abitazione e con ulteriori debiti da pagare. Invece, i guadagni delle banche sono garantiti, a discapito dei debitori che avevano comprato abitazioni ad un prezzo esorbitante. Mentre gli istituti di credito in difficoltà sono salvati grazie a garanzie e sovvenzioni del valore di miliardi, chi non può più pagare l'affitto o il mutuo è sbattuto per strada senza pietà: in Spagna nel 2011 ci sono stati quasi 60.000 sfratti esecutivi. E negli USA innumerevoli proprietari sono stati messi alla porta negli ultimi anni. Solo in Florida, dal 2007 più di 4 milioni di famiglie hanno perso la propria casa a causa dello sfratto! In Grecia la povertà dilagante ha portato alla crescita dei senzatetto del 25%. Sono le conseguenze di una politica che il governo tedesco ha contribuito in modo decisivo ad accelerare.
Politica urbana neoliberale e affitti in aumento
Queste misure estreme rivelano gli effetti distruttivi del sistema odierno. Banche e fondi, vale a dire il capitale finanziario, lavorano fianco a fianco con le imprese immobiliari da una parte e con i governi neoliberali dall'altra, con l'obiettivo comune di realizzare sempre più profitti. In questo modo determinano la forma che prendono gli spazi urbani e abitativi nei quali viviamo e nei quali ci muoviamo ogni giorno, come anche le condizioni in cui facciamo tutto questo -che sia attraverso gli affitti, l'abbattimento di vecchi edifici o la distruzione di parchi e superfici verdi. Anche in Germania, che in confronto ad altri Paesi presenta ancora un mercato immobiliare controllato e molti immobili di proprietà statale, il fenomeno è chiaro. Il modello ormai imperante di "città imprenditoriale", fa esistere fenomeni come le privatizzazioni, la segregazione urbana e regionale, gli aumenti degli affitti e gli sfratti forzati. Il numero di case popolari nella Repubblica Federale di Germania è sceso rapidamente. A metà degli anni 70 ad Amburgo vi erano ancora circa 400.000 abitazioni popolari. Ad oggi il numero è sceso a 100.000. Di pari passo sono aumentati tuttavia anche coloro che ricevono l'assegno di disoccupazione (ALG2) e che sono costretti a lasciare la casa a causa dello sfratto, non potendosi più permettere l'affitto.
La Germania, negli anni passati, era diventata un mercato di investimento conveniente a livello internazionale, in quanto non vi era relazione diretta tra i prezzi degli affitti e la compravendita??? di immobili. Il valore reale o i costi di produzione e manutenzione di un immobile sono chiari se si tiene conto che in Germania il canone (spese non incluse) rimane in media sui 6,37 euro/mq. A Monaco o ad Amburgo tuttavia vengono richiesti quasi più di 10euro/mq. Perché? Perché si può fare! Perché il prezzo è in rapporto agli alti costi del suolo sul quale si è costruito. Non si fa menzione a tal proposito al fatto che gli affitti aumentino proprio perché, considerando il terreno di proprietà???, si ha la prospettiva di cospicui guadagni futuri. L'organizzazione capitalistica del settore abitativo pesa sulle spalle degli inquilini, ma fa guadagnare le imprese orientate alla rendita e le banche creditrici. Per questo motivo bisogna protestare.
Prendiamoci il posto che ci spetta, riprendiamoci le città
In Spagna e negli USA sono nati i movimenti contro gli sfratti esecutivi. Abitazioni vuote sono occupate e messe a disposizione dei senza tetto. In Germania sono nate molte iniziative contro la politica urbana neoliberale e contro l'aumento degli affitti. La resistenza ha i suoi effetti come lo dimostrano Spagna e USA, ma anche qui si sono raggiunti dei risultati. A Friburgo la privatizzazione delle case comunali è stata bloccata. Ad Amburgo, nel quartiere Gängeviertel, gli attivisti sono riusciti ad ottenere la realizzazione di nuove case. E in Spagna un movimento formato dalle vittime di ipoteche troppo alte, nel frattempo, ha evitato più di 110 sfratti esecutivi grazie a proteste e barricate. Per ottenere dei risultati bisogna rafforzare i movimenti locali e lanciare un segnale chiaro agli approfittatori della crisi: vogliamo il diritto alla casa e alla città per tutti, senza differenza di nazionalità o condizioni economiche.
Italia, tra sfratti e affitti i dati della precarietà abitativa
Fonte www.controlacrisi.org
Roma – sabato, 27 ottobre 2012
Sulla questione sfratti le famiglie italiane vengono sempre più colpite. Secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno incrociati con quelli più recenti messi a disposizione dall’Istat le condizioni economiche delle famiglie non migliorano neanche a fronte di una riduzione delle spese necessarie. Perché? A causa dell’incremento delle spese per l’abitazione: si tratta di +6% tra affitto e utenze, questione che genera l’impossibilità di sostenere i costi per mantenere la propria casa.Ad aggravare il tutto c’è la situazione economica delle famiglie. Basti pensare che il reddito medio è sceso a livelli di dieci anni fa.I canoni medi sono aumentati del 130% per quanto riguarda i contratti rinnovati, nelle grandi città hanno raggiunto persino il 150%.E gli sfratti per morosità che nel 2006 erano 33.893, negli ultimi cinque anni, sono aumentati del 64%.
I dati diffusi dal Ministero dell’Interno sui provvedimenti di sfratti emessi sono allarmanti seppur incompleti rispetto ad alcune città: Milano, Venezia, Napoli, Bari, La Spezia, Cuneo, Mantova, Sassari, Teramo).
Eppure nel 2011 risultano 63.846 provvedimenti di sfratto emessi e tra questi 55.543 sono per morosità, vale a dire l’87,15% del totale.
Provvedimenti di sfratto emessi
Quando si parla di precarietà abitativa non si può più prendere come bacino di interesse solo le grandi città. Oggi la questione riguarda anche le più piccole.
Non a caso vicino alle grandi città dove la questione sfratti presenta una situazione drammatica (a Milano 5.097 emessi, 4.359 per morosità, a Firenze 1393 emessi , 1.231 per morosità, a Roma 6.686 emessi, 5330 per morosità, a Napoli, 3.696, 2.812 per morosità) va sottolineato, con evidente allarmismo, il dato che emerge dalla lettura degli aumenti in molte città, anche quelle di dimensioni medie. Tra queste di poco inferiori al 20% sono Bergamo, Lodi, Siracusa, Trapani, Nuoro. Dal 20% al 40% Pavia, Belluno, Trieste, Savona, Isernia, Napoli, Salerno, Matera. Dal 40% al 60% Novara, Livorno, Terni, Brindisi. Superiori, invece, al 60% Grosseto, Frosinone, Crotone.
Anche le esecuzioni di sfratto sono aumentate. Nonostante anche in questo caso i dati siano sottostimati, le richieste di esecuzione presentate dall’Ufficiale Giudiziario risultano 123.914, pari all’11,37% in più rispetto al 2010. Non tutte sono avvenute, certe sono 28.641, il 4% in meno del 2010, ma, c’è da dire, il dato andrà ad aumentare una volta aggiornati quelli delle città mancanti. Alle esecuzioni si aggiunge il caso delle “nuove città” in cui il fenomeno è in crescita.
Sono di poco inferiori al 20% a Novara, Varese, Lecco, Piacenza, Pesaro e Urbino. Dal 20% al 40% ad Asti, Como, Ferrara, Livorno, Pistoia, Siena, Viterbo, Bari. Dal 40% al 60% a Macerata. Superiori al 60% a Mantova, Udine, Rieti e Potenza.
Per gli sfratti eseguiti i dati delle città maggiori risultano: 741 a Milano, 706 a Firenze, 2.343 a Roma, 1.598 a Napoli, 548 a Palermo.
Negli ultimi cinque anni sono stati emessi 287.000 provvedimenti , 238.000 per morosità. 127.000 sono state le esecuzioni di provvedimenti emessi anche in periodi precedenti.
Nello stesso periodo oltre 600.000 sono state le richieste di esecuzione presso l’Ufficiale Giudiziario e quasi 134.000 quelle forzate.
Si stima che 100.000 risultano gli sfratti già emessi che in modo probabile saranno eseguiti prossimamente. A questi se ne aggiungono altri 200.000 che verranno emessi nei prossimi tre anni.
Facendo un rapporto tra sfratti e famiglie in locazione privata è paria uno sfratto ogni 70 famiglie in locazione. Le cinque città con maggiore incidenza:
Livorno 1 sfratto ogni 30 famiglie, Lodi 1 sfratto per ogni 34 famiglie, Novara 1 sfratto ogni 34 famiglie, Modena 1 sfratto ogni 40 famiglie, Pistoia 1 sfratto ogni 42 famiglie.
Tra le grandi città si registra la seguente situazione: Roma 1 sfratto ogni 50 famiglie, Napoli 1 sfratto ogni 52 famiglie, Firenze 1 sfratto ogni 56 famiglie, Torino 1 sfratto ogni 60 famiglie e Milano 1 sfratto ogni 60 famiglie.
Gli affitti
L’analisi relativa al periodo gennaio-giugno 2011 secondo l’ubicazione degli affetti emerge che i canoni maggiori sono richiesti a Milano e Roma dove di media al mese occorrono 2.300,00 e 2.350,00 al mese. In zona intermedia calano a 1.300,00 e 1.350,00 euro. Per la periferia i dati si aggirano su 1.050,00 e 1.100,00 euro.
Calano seppur leggermente nell’Italia centrale, laddove gli affitti a Firenze e Bologna variano, nel primo caso, da 2.100,00 euro per un’abitazione in zona centrale a 1.200,00 nella zona semicentrale, fino ad arrivare a 1.050,00 in periferia. A Bologna gli affitti si aggirano su 1.850,00 euro, fino a 950,00 euro.
Molto alti risultano i canoni a Napoli dove le cifre si aggirano da 1.250,00, 1.025,00 e 770,00, dal centro all’esterno della città.
A Genova richieste inferiori a 1.000,00 euro dal centro alla periferia.
A Torino e Palermo le richieste variano da 850,00 e 800,00 per il centro, 720,00 per le zone intermedie, 670.00 e 680,00 per le periferie. I canoni più bassi sono richiesti a Catania e a Bari dove variano da 850,00 fino a 650,00 nella periferia.
Anche gli agenti immobiliari possono restare senza casa
Fonte Asia-USB
Undici famiglie occupano uno stabile della regione nel centro: "Siamo il ceto medio che non ce la fa più ad arrivare alla fine del mese"
Può un agente immobiliare rimanere senza casa? Sembra paradossale ma la crisi ha reso possibile anche questo. "Ho venduto appartamenti per anni ma con la contrazione delle compravendite il mutuo di casa non me lo posso più permettere nemmeno io". In tempo crisi, quella di Roberto è diventata una storia normale. Affitti alle stelle, mutui insolvibili, stipendi che un tempo garantivano una certa stabilità economica e che ora non bastano più per arrivare alla fine del mese. Una storia normale con un finale però meno frequente: l'occupazione.
Un'occupazione "spontanea" nata il 17 settembre scorso e organizzata grazie a un passaparola tra amici accomunati da sfratti e morosità. Infatti, Roberto non è solo. Con lui ci sono le famiglie di altri due agenti immobiliari, impiegati pubblici, agenti finanziari, odontotecnici, piccoli imprenditori. In tutto 30 persone, 11 nuclei familiari complessivi, tra cui 14 minorenni delle età variabili dai 3 mesi ai 14 anni. Lo stabile in questione è di proprietà del Lazio Adisu, l'Ente per il diritto allo studio nel Lazio, in via del Macao 8, nel centro di Roma a pochi passi dal ministero dell'Economia e della Finanze, destinato agli studenti universitari fino al giugno scorso.
LA STORIA DELL'OCCUPAZIONE - "Solo un anno fa non avremmo mai pensato di occupare per poter avere un tetto sopra la testa. Ma siamo stati obbligati a farlo. L'unica alternativa era la strada". Lo raccontano quasi all'unisono mentre, intorno a un tavolo, mangiano un piatto di pasta preparato da Roberto. "Siamo entrati qui il 17 settembre e il 20 abbiamo avanzato richiesta di residenza che ci è stata accordata. Poi venerdì scorso siamo andati all'Adisu e abbiamo comunicato la nostra occupazione". Così è arrivata la polizia prima per un controllo, poi per notificare l'ordinanza di sgombero. Nel frattempo la voce si è sparsa. L'associazione inquilini e assegnatari dell'Unione sindacale di base, Asia Usb, si è mobilitata per sostenerli. "Ora stiamo aspettando che si apra un tavolo di confronto con le parti in causa per trovare una soluzione. Noi siamo decisi a restare, almeno finché non si trova una soluzione alla nostra situazione. Se ci sgomberano, resisteremo passivamente".
GLI OCCUPANTI - "Ora vi raccontiamo le nostre storie ma non c'è da stupirsi: siamo lo spaccato di quello che era il ceto medio e che adesso non ce la fa più a mantenere nemmeno la casa" esordisce Roberto. E infatti, in tutte le storie, è la casa, "che assorbe quasi tutto lo stipendio" a essere il problema: "abbiamo quasi tutti una sentenza di sfratto e chi non ce l'ha è perché sono solo due o tre mesi che non riesce più a pagare il mutuo". Fabio faceva l'agente finanziario in proprio. Un incidente gli ha tolto un braccio e, a lungo andare, anche il lavoro. Natascia è una dipendente statale e ha cinque figli. "Prendo 1200 euro al mese e pagavo 950 di affitto più cento di condominio. Sono sola a far crescere i miei figli. Quando sono stata sfrattata da casa, l'unica cosa che mi è stata proposta è mettermi nella lista della Caritas". Su trenta persone, sono quasi tutti italiani. Solo quattro ragazzi "single" sono stranieri. Seluan viene dallo Sri Lanka e abita in Italia da tanti anni: "l'ultimo lavoro che mi è capitato è stato per i due mesi estivi. Ho vissuto con questa famiglia romana giorno e notte per 500 euro al mese". Gentian è albanese. "Ho lavorato per anni con un'azienda che monta mobili per uffici. Poi è arrivata la crisi e mi hanno licenziato".
LA PROPRIETA' - Lo stabile, di proprietà del Lazio Adisu, l'Ente regionale per il diritto allo studio, che fa capo alla regione Lazio, è rimasto aperto fino al giugno 2012 come residenza per studenti universitari. Ma a settembre quei "mini-appartamenti", una decina in tutto, non sono stati assegnati. "La palazzina è stata temporaneamente chiusa per lavori di adeguamento alla normativa vigente come per esempio l'impianto antincendio" spiega Antonio De Michele, direttore amministrativo di LazioAdisu che conferma come a settembre, al momento dell'occupazione, i lavori di ristrutturazione non erano ancora iniziati. "Non ci sono piani che ne cambieranno la destinazione d'uso - assicura - avevamo in progetto di riaprire la struttura per il prossimo bando di concorso a novembre".
ITALIA SOTTO SFRATTO
Schiacciate dalla crisi e “morose senza colpa”.
E’ la storia del 90% delle famiglie sfrattate.
da Repubblica Inchieste, di MAURIZIO BONGIOANNI - 19 ottobre 2012
Nove su dieci degli sfrattati non hanno i soldi per pagare
Tecnicamente si chiama "morosità incolpevole" ed è alla base della stragrande maggioranza degli sfratti. Il rischio che diventi una vera bomba sociale. Anche perché sta crollando l'acquisto di immobili e crescendo sempre più la richiesta di affitti.
Nel 2011 in Italia sono stati ordinati 63mila sfratti di cui ben 56mila per morosità. Un dato impressionante se si pensa che oltre 28 mila di questi sono stati eseguiti dalle forze dell'ordine. Una "bomba sociale", come l'hanno definita i sindacati, che rischia di esplodere in un Paese già percorso da molte tensioni. E quelle relative alla casa possono diventare molto pericolose.
Il maggior numero di richieste di sfratto si verifica in Lombardia (12.922), il 20,2% del dato nazionale (dati del Ministero degli Interni). Seguono Lazio (7.625), Emilia Romagna (6.532) e Piemonte (6.208). Lazio a parte, ai primi posti tutte Regioni del Nord, quindi. E il dato preoccupa sempre di più perché dal 2010 al 2011 l'intervento delle forze dell'ordine è cresciuto dell'11%. Se pensiamo che il 90% degli sfratti avvengono per "morosità incolpevole", determinati cioè dal reddito insufficiente, significa che a fronteggiarsi nelle strade saranno sempre di più persone disperate contro polizia e carabinieri che eseguono ordini dati da istituzioni che non sanno come affrontare il problema. "È in questo momento che il Governo deve urgentemente intervenire, - dice Guido Piran, Segretario Generale del Sicet, Sindacato Inquilini Casa e Territorio -. E deve farlo prima della fine della legislatura, perché questa è una situazione che con la crisi economica e occupazionale si fa sempre più grave".
Le proposte da parte dei sindacati di settore, uniti nella stessa richiesta, sono precise: "Serve una sospensione degli sfratti dopo il 31 dicembre -, continua Piran -. Poi è necessario ampliare l'offerta di edilizia residenziale pubblica. La strada è l'immediata disponibilità per gli IACP (edilizia popolare) di 70 milioni di euro giacenti al Ministero delle Infrastrutture". Questi fondi sono messi a disposizione per emergenze abitative, in particolare volti al recupero di alloggi inagibili per i quali bastano interventi dal costo inferiore ai 30mila euro ciascuno. "Utilizzando questi fondi si potrebbero recuperare 3000 alloggi in tutta Italia da assegnare agli sfrattati. A questi immobili si aggiungerebbe la possibilità di poter usufruire delle detrazioni per le ristrutturazioni e l'efficientamento energetico. Questo per il pubblico. Sul versante degli affitti privati è necessario introdurre una fiscalità di vantaggio per i contratti concordati agendo sulla cedolare, abbassando l'aliquota dal 19 al 10% e sull'Imu con percentuali ridotte sulle locazioni". Anche l'evasione è particolarmente florida negli affitti: "I canoni devono essere pagati con mezzi tracciabili e l'inquilino deve avere delle detrazioni su una quota del canone come per i mutui".
Milano ha una delle situazioni peggiori per quanto riguarda gli sfratti e nel giro di pochi anni i dati sono peggiorati di molto: 10.372 sfratti emanati su 16.783 sentenze definitive. Il 30% delle esecuzioni presentate all'Ufficiale Giudiziario in tutta Italia arrivano dalla Lombardia e sono 4.731 quelle eseguite con la presenza dell'Ufficiale Giudiziario stesso. Ogni giorno, sono 25-30 le richieste di intervento delle forze dell'ordine, 4-5 le esecuzioni. "Nel 1983, nel capoluogo lombardo la percentuale dei morosi era il 10%", spiega Stefano Chiappelli, segretario del Sunia, Sindacato Unitario Nazionale Inquilini e Assegnatari. "Una delle motivazioni di questo aumento di morosità è sicuramente il caro affitti che ha segnato l'emigrazione di numerose famiglie verso città limitrofe, Novara su tutte. A Milano persino nelle periferie non si paga meno di mille euro al mese. Le fasce più deboli della popolazione, soprattutto giovani e studenti, trovano una sistemazione nella periferia della periferia".
Poi ci sono i tagli al Fondo sostegno affitti lombardo (che quest'anno cambia nome in Fondo sostegno disagio acuto). Per il 2012, la quota disponibile è di 12 milioni di euro. Nel 2011 il fondo contava su 40,8 milioni e addirittura per il 2013 non è previsto nessun contributo. Solo due domande di sostegno economico su dieci verranno soddisfatte. Tagli da parte dello Stato, ma anche dalla Regione e dai singoli Comuni. Il risultato: delle 65 mila domande di sostegno che mediamente si raccolgono ogni anno, ne saranno accolte solo 14 mila.
"Il problema non sono le case che mancano ma i prezzi inaccessibili per la cittadinanza", spiega Leo Spinelli del Sicet. Infatti sono 70mila gli alloggi sfitti a Milano e 4.500 gli occupanti abusivi sparsi in tutta la città.
"È inutile fantasticare su ceti medi che non esistono", continua Spinelli. "Se si guardano i redditi delle 23mila famiglie che hanno fatto domanda per una casa popolare, ci si rende conto che per loro è impossibile pagare anche un affitto di 500 euro al mese. Sono circa 16mila, infatti, le persone con un reddito Isee inferiore ai 7.500 euro. Questi non pagheranno mai, hanno bisogno di tutele". Otto famiglie su dieci fanno fatica ad arrivare a fine mese ma il costo della vita aumenta e con questo anche l'affitto. Secondo l'Istat, dal 2002 ad oggi i salari medi annui sono diminuiti di 1500 euro pro capite, al contrario dei prezzi di mercato. "Vogliamo che siano estese le tutele di chi ha difficoltà a pagare un mutuo anche a chi fatica con l'affitto", riprende Chiappelli. "A questo si aggiunge la riforma nazionale della legge 431, ritornando all'affitto legato al reddito. La Regione invece dovrebbe aumentare la quota per il sostegno agli affitti, usando ad esempio i 6 milioni di euro destinati all'abbattimento degli interessi sui mutui".
L'affitto di abitazioni probabilmente modificherà il mercato immobiliare. La domanda di locazioni in affitto, come dimostrano i dati resi pubblici dal Sicet, cresce sempre di più: le transazioni relative all'acquisto della casa sono diminuite del 25% in pochi anni e i prestiti bancari del 50%, cioè si sono dimezzati. Nello stesso tempo la richiesta di alloggi in affitto è aumentata del 20%. Un trend che lo Stato non può più ignorare.
A Roma dieci sfratti al giorno e gli alloggi popolari sono bloccati
Di GERALDINE SCHAWRZ - 19 ottobre 2012
Secondo i dati diffusi dal Viminale (che riguardano il 2010), ogni anno nella capitale vengono emesse 8 mila richieste di esecuzioni di sfratto. Un'emergenza sociale che sta per esplodere tanto che si è mobilitato anche il sindaco Gianni Alemanno
ROMA - La signora Virginia D'Ippoliti, 80 anni, abitante in via Giovanni Miani, sotto San Saba, ha cerchiato in rosso un giorno sul suo calendario appeso in cucina: 16 gennaio. Perché tutti gli anni il 16 gennaio ha un appuntamento. Con l'ufficiale giudiziario. "Sono quattro anni che arriva puntuale, racconta la signora, siamo diventati quasi amici. Certo, io confesso che spero sempre di non vederlo più anche perché se la prossima volta si presenta con la polizia non so proprio cosa potrei fare. Vivo qui da quando avevo 3 anni e ho sempre pagato puntuale oggi mi chiedono 1300 euro e io come faccio? Avevo pensato ad una casa di riposo comunale ma non ho abbastanza soldi per pagarmi la retta e quindi la speranza è che quel signore non si presenti o venga con l'ennesima proroga. I primi anni, ci sono stata male con il batticuore, oggi vivo alla giornata e spero di morire prima di quella data".
Ogni giorno a Roma dieci famiglie vengono sfrattate. Secondo i dati diffusi dal Viminale (che riguardano il 2010), ogni anno nella capitale vengono emesse 8 mila richieste di esecuzioni di sfratto, 6710 diventano provvedimenti di cui 4638 per morosità e 1446 per finita locazione. Un triste primato nazionale che vede nella sola capitale 2500 sfratti eseguiti con l'ufficiale giudiziario e l'intervento della polizia, questo significa che ogni 250 famiglie che abitano sul territorio romano, una ha ricevuto una sentenza di sfratto ed è obbligata a lasciare la casa in cui abita. Duemilacinquecento famiglie che ogni anno perdono la casa e finiscono non si sa dove. Che ci sia un disabile, un anziano, una condizione di estrema precarietà non importa per la legge, si deve lasciare la casa e in questo momento, denunciano l'Unione inquilini e i sindacati di base tra cui As.ia (Associazione inquilini e assegnatari) Usb, essendo bloccato il bando per le case popolari, tagliato e quasi azzerato il fondo di contributo per gli affitti, non ci sono possibilità da offrire agli sfrattati.
Quindi le alternative che si presentano a chi viene obbligato a lasciare la casa sono andare da amici, da parenti, in coabitazione, occupare o finire per strada. Mario Colantonio, 83 anni è disabile al 100% e abita con la moglie a piazza Bologna, ha lo sfratto da 4 anni per finita locazione ed è rassegnato: "aspetto l'ufficiale giudiziario il 31 dicembre e non so che fine faremo se ci cacciano, qualcosa troveremo." Una bomba sociale ad orologeria quella degli sfratti a Roma che sta per esplodere tanto che si è mobilitato anche il Sindaco Gianni Alemanno che dopo aver richiesto l'intervento del ministro Fornero, che non è arrivato, ha cercato di mobilitare anche il Parlamento. Grazie al lavoro dei Sindacati Asia Usb, alle manifestazioni promosse in tutta Italia da sigle e realtà diverse legate al diritto alla casa come Action, e alle ripetute richieste di aiuto che arrivano da migliaia di cittadini, martedì in Parlamento saranno presentate tre proposte di legge firmate dai tre partiti di maggioranza per fermare la dismissione degli immobili degli enti previdenziali, chiedere una moratoria degli sfratti e arginare l'aumento esponenziali dei canoni di affitto che negli ultimi anni sono passati anche al 300% in più.
"Se gli enti continuano con questa politica nei prossimi mesi a Roma avremo un disastro sociale - ha detto il Sindaco Alemanno - questo spingerebbe altre 10 mila famiglie fuori di casa e visto l'ostruzionismo in consiglio comunale che non ci ha permesso di andare avanti nella costituzione di 35 mila case dedicate all'housing sociale che avevamo in programma, questo sarebbe un contraccolpo insostenibile per la città." "La situazione è drammatica - spiega Angelo Fascetti, coordinatore nazionale Asia Unione Sindacale di Base che a giugno ha fatto insieme ad altri sostenitori, dieci giorni di sciopero della fame davanti alla prefettura per sensibilizzare le istituzioni su questo tema - la crisi degli ultimi tre anni ha aggravato molto la situazione, la dismissione degli immobili degli enti previdenziali che si sono privatizzati, come Enasarco, Enpam, Enpaia, Cassa dei ragionieri, tanto per citarne alcuni, (che a Roma hanno il 90% dei loro immobili) sta producendo un massacro, questi stanno triplicando gli affitti che in alcuni casi passano da 600 a 1800 euro e le famiglie non ce la fanno, anche il ceto medio ormai non ce la fa più e allora scatta lo sfratto per morosità e poi si arriva allo sfratto esecutivo con ufficiale giudiziario e forza pubblica. Noi ogni giorno facciamo dei picchetti e cerchiamo di sostenere le famiglie che aspettano lo sgombero e denunciamo anche gli enti quando c'è da farlo. Ormai ci chiamano in tutta Roma e facciamo quindici, venti picchetti al giorno per aiutare le persone che altrimenti finirebbero per la strada."
Oltretutto gli 80 mila alloggi popolari gestiti dal Comune di Roma sono bloccati perché da tre anni il bando è sospeso come denuncia Fascetti "le case che si liberano che sono circa 1500 ogni anno non tornano ad essere gestite dal Comune ma finiscono nel mercato nero." "Quella italiana non è un'emergenza abitativa ma un problema strutturale della politica - aggiunge Massimo Pasquini dell'Unione Inquilini- abbiamo bisogno di edilizia popolare e invece qui stiamo dismettendo e gli inquilini non hanno gli stessi diritti dei proprietari quando invece in uno stato di diritto così dovrebbe essere. Gli errori macroscopici sono stati la liberalizzazione degli affitti e l'abbandono di politiche pubbliche per recuperare edifici da adibire ad edilizia popolare ed è su questi due temi che si deve intervenire.”
E’ record di case invendute. Intanto si continua a costruire.
di MAURIZIO BONGIOANNI - 19 ottobre 2012
Un paradosso tutto italiano, da una parte cresce il numero (settecentomila secondo Nomisma) degli alloggi senza un proprietario dall'altra prosegue la costruzione di nuovi edifici. Ogni anno ne nascono trecentomila in più.
ROMA - Seicentonovantaquattro mila. A tanto ammontano gli alloggi invenduti in Italia secondo la società di studi economici Nomisma. Dall'altra parte, secondo Federcasa, ne servono 583mila per soddisfare l'esigenza di abitazioni popolari. Un conto che non torna. Ma non per l'Ance (Associazione nazionale dei costruttori edili) che persegue la costruzione di 328mila nuovi appartamenti ogni anno.
Intanto i redditi diminuiscono e i prezzi delle case non scendono creando le basi per una bolla immobiliare.
Il rapporto "Abitare in Toscana" redatto dalla Regione Toscana riassume questa dicotomia in pochi e semplici numeri: da una parte ci sono 423mila immobili toscani non locati, dall'altra 24mila domande di alloggio popolare. L'idea, in tempi di crisi, che è venuta all'Assessore al Welfare Salvatore Allocca è stata quella di tassare gli immobili inutilizzati. Allocca ha proposto di istituire una tassa di scopo di 10 euro al mese su ogni immobili sfitto: già questo basterebbe per generare un introito di 50milioni di euro che potrebbero essere usati per garantire a chi subisce uno sfratto una sorta di sostentamento. Il contributo statale sugli affitti in Toscana è sceso da 8,6 milioni a 600mila euro: una riduzione del 93%.
Un'idea che potrebbe piacere a molti, al di fuori della Toscana. In particolare a chi ha trovato nell'occupazione l'unico modo per non rimanere senza casa: "Sono quindici anni che seguo casi di occupazione degli alloggi inabitati da parte di famiglie sfrattate" racconta Carlo Sottile. Sottile fa parte di un'associazione che si chiama Coordinamento Asti-Est. Negli ultimi anni sta coordinando la gestione di tre case occupate ad Asti. "Da una parte c'è gente che rischia o che ha perso la casa e dall'altra degli alloggi vuoti, sfitti o invenduti. Basta questo fenomeno, che negli anni si è aggravato, a giustificare le azioni di chi come noi contrasta gli sfratti e gestisce le occupazioni di alloggi altrimenti abbandonati all'incuria". L'occupazione più significativa dura dal 2010: si tratta di un edificio costituito da 6 alloggi di proprietà del Ministero della Difesa: "Ora è autogestito da altrettante famiglie: ci sono delle regole da rispettare, non è un bivacco ma un'abitazione a tutti gli effetti. Le famiglie versano un canone d'affitto simbolico all'associazione, canone misurato sul reddito e il salario dei lavoratori, come si faceva prima dell'introduzione della legge 431".
"La seconda occupazione riguarda degli ambulatori di proprietà dell'Asl, abbandonati anche questi, che abbiamo dovuto manutenere ricavandoci 11 unità abitative. Tra tutte le fatiche per allacciare la luce e l'acqua abbiamo ricavato un ottimo risultato abitativo, da prendere come esempio dato che sempre più la gente è costretta a pagare affitti esagerati per vere e proprie topaie. L'ultima occupazione invece era di una proprietà bancaria".
Ad Asti ci sono 700 richieste di alloggi popolari ma entro la fine dell'anno si prevede la costruzione di 18 alloggi nuovi più 30 nel 2013 "quando sarebbero disponibili 3000 alloggi residenziali vuoti e più di trenta edifici abbandonati. La logica delle amministrazioni è che tutto debba passare attraverso il libero mercato: ma queste famiglie sono fuori mercato, escluse dalle logiche immobiliari colpevoli di aver accumulato edifici senza funzioni e di aver fatto un uso disordinato del territorio. E come se non bastasse adesso si fanno affari con il social housing".
Già. Molte famiglie fanno richiesta di alloggi "sociali", a canoni convenzionati, ma finora l'edilizia non è stata particolarmente attenta a questa domanda. Secondo il Dipartimento di architettura e pianificazione del Politecnico di Milano il 75% della produzione edilizia tra il 2002 e il 2008 si è concentrata nell'edilizia libera e solo il 7,5% all'edilizia sociale nonostante il 42,5% della domanda faccia riferimento a quest'ultimo tipo di edilizia (e secondo le loro proiezioni nel 2018 ci saranno più di 367mila abitazioni vuote). Ma ora il trend sta cominciando a cambiare. Con l'aiuto dello Stato. Infatti CDP (Cassa depositi e prestiti), come rilevato dal mensile Altreconomia a giugno, ha attivato un Fondo investimenti per l'abitare (Fia) che permetterà la costruzione di 15mila nuovi alloggi di housing sociale, nuove costruzioni ovviamente, di cui però il 65% verranno, secondo il Cresme (Centro Ricerche economiche sociali di mercato per l'edilizia e il territorio), affittate non a canone sociale ma venduti a prezzi convenzionati e affittati "con patto di futura vendita". Come dire alle aziende costruttrici: se il mercato edilizio libero è in crisi perché non vi buttate su quello sociale? Lo Stato ti dà una mano. Con soldi pubblici.
Il caos sfratti arriva in Parlamento pronte tre mozioni di "tutela sociale”
di MAURIZIO BONGIOANNI – 19/10/2012
Alcuni parlamentari di Pd, Udc e Pdl presenteranno domani alla Camera de Deputati un documento in cu auspicano misure per una politica di vendita agli inquilini o di rinnovo dei contratti. La richiesta è di istituire un tavolo tecnico e sindacale e restituire ordine a tutta la materia.
ROMA - Aumenti degli affitti, dismissioni degli immobili degli enti previdenziali e mancanza di politiche per l'edilizia popolare stanno determinando un'emergenza abitativa per migliaia di persone. La situazione in cui versano gli inquilini degli immobili di proprietà degli enti previdenziali privatizzati è sempre più preoccupante per le conseguenze e le drammatiche implicazioni di carattere sociale che ne stanno derivando. Una condizione che vede coinvolti migliaia di cittadini, per lo più residenti a Roma, che detiene circa gran parte del patrimonio immobiliare di tali enti previdenziali. Si stima che siano circa 50 mila solo nella capitale le famiglie che abbiano problemi con le case degli enti e con gli affitti lievitati. A pensare che sia necessario un intervento del Governo, sollecitati dai Sindacati, dal Sindaco Alemanno e da alcune associazione legate alla casa, sono anche alcuni parlamentari di Pd, Udc e Pdl che martedì presenteranno alla Camera de Deputati, tre mozioni sostanzialmente simili nei contenuti che stabiliscono condizioni di tutela sociale e che auspicano misure per una politica di vendita agli inquilini o di rinnovo dei contratti secondo quanto stabilito dalla legge 410 del 2001 tuttora in vigore e che non viene fatta invece valere. Le mozioni, chiedono il rispetto della 410 e auspicano in tempi brevi una moratoria su sfratti e aumento dei canoni e condizioni di vendita, per istituire un tavolo tecnico e sindacale e restituire ordine a tutta la materia. Tra i firmatari delle mozioni, gli onorevoli, Morassut (Pd), Dionisi, Cesa, Poli, Galletti, Rao, Carra, Capitanio Santolini, Formisano AT, Compagnon, Ciccanti, Naro, Volonté (Udc) e i deputati Marcello de Angelis e Barbara Saltamartini (Pdl), autori di una proposta di legge sulla materia. Contestualmente davanti a Montecitorio si svolgerà una mobilitazione generale di inquilini e assegnatari.
Sostegno alle famiglie? È un “Diritto per tutti”
di MAURIZIO BONGIOANNI – 19/10/2012
Così si chiama l'associazione, composta in larga parte da immigrati, che a Brescia aiuta le persone sotto sfratto. Il presidente del comitato Umberto Gobbi: "Le ordinanze non riguardano solo più immigrati, come molti credono, ma sempre più italiani”.
Se una famiglia viene lasciata da sola il più delle volte non resiste a un'azione di sfratto e per cui deve lasciare l'abitazione. Ma se il giorno dello sfratto si presentassero decine e decine di persone le cose cambierebbero.
E così, attraverso la partecipazione, l'Associazione Diritti per Tutti da sostegno a centinaia di famiglie investite dalla valanga sfratti. Nata a Brescia due anni fa, l'Associazione Diritti per Tutti è un gruppo spontaneo autorganizzato composto in larga parte da immigrati. "Il nostro è un comitato nato non solo per sostenere le famiglie sotto sfratto" precisa Umberto Gobbi, portavoce dell'Associazione "ma anche per contrastare tutte quelle forme di razzismo istituzionale che stanno dilagando nel nostro Paese, vedi tutte quelle leggi fatte per escludere gli immigrati dalla società. Per quanto riguarda gli sfratti c'è da dire che le ordinanze non riguardano solo più famiglie di immigrati, come molti credono, ma riguardano sempre più anche famiglie autoctone. Direi che quelle italiane sono un buon 40%. Finora siamo riusciti a bloccare più di duecento sfratti in presenza degli Ufficiali giudiziari e delle Forze dell'Ordine in due anni. E questo grazie soprattutto alla partecipazione di molta gente sensibile al tema".
Il Comitato opera già da tempo perché gli enti locali mettano al centro delle proprie politiche la questione del diritto alla casa. Nel solo mese di settembre l'Associazione ha preso parte a oltre venti sfratti in presenza dell'Ufficiale Giudiziario. Sempre a settembre ha dato avvio alla campagna "Nessuna casa senza persone, nessuna persona senza casa". "La soluzione deve passare dalla moratoria e dalla requisizione di migliaia di edifici vuoti degli enti, società, banche, immobiliari e grandi proprietari. Vanno messi a disposizione delle famiglie sfrattate seguite dai Comuni e dai loro servizi sociali" chiosa Umberto. "Per gli immigrati, che fanno parte attivamente dell'Associazione, una casa non significa solo un'abitazione ma anche una residenza legale, usufruire dei servizi pubblici e anche iscriversi alle graduatorie per la domanda di un edificio popolare. La casa, da molti Comuni leghisti, viene ormai usata come strumento per discriminare ed escludere.”
AltrAgricoltura Nord Est
mercoledì 31 ottobre 2012
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