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Metropoli e rivoluzione, report dell'incontro promosso dai Blocchi Precari Metropolitani.

Si è tenuto ieri venerdì 26 ottobre un interessante incontro promosso dai Blocchi Precari Metropolitani nella “fabbrica abitata” di Metropoliz, un’intera area industriale dismessa, occupata da più di tre anni da un centinaio di famiglie di diversa nazionalità. Nello spazio comune della mensa meticcia si sono alternati interventi di movimenti diversi per caratteristiche, culture e provenienze geografiche. Il tema era ambizioso: rimettere al centro della discussione il concetto di rivoluzione, senza edulcorazioni o snaturamenti. La trasformazione della condizione del cittadino moderno in suddito, sottoposto ai diktat della finanza internazionale, è uno dei fattori che spinge a ripescare questo concetto per troppo tempo messo da parte.

Le conseguenze nefaste dell’abbandono dell’abitudine a ragionare in termini rivoluzionari ha fatto scomparire il progetto dall’orizzonte dei movimenti, spesso chiusi in un’ottica specifica o inclini a subire le fascinazioni dell’evento. Riparlare di rivoluzione, affiancando questo concetto all’idea moderna di metropoli, coagulo di mille spezzoni e frammenti sociali, spinge a ripensare il tema della connessione e ricomposizione dei conflitti e delle diverse forme di espressione sociale. Era atteso il ragionamento di Toni Negri, che ha preso la parola in due occasioni diverse: la prima per sottolineare come quando si parla di rivoluzione è al tema dei rapporti di forza tra le classi che bisogna guardare e la seconda per riaffermare la necessità di andare oltre la distinzione tra pubblico e privato e costruire nuove forme di “comune”.

Andrea, del centro sociale Askatasuna di Torino, ha provato a descrivere la novità rappresentata dal movimento No Tav e come si stiano immaginando forme di organizzazione sociale sganciate dai meccanismi del mercato. È questo il tema di un nuovo welfare, costruito dal basso e capace di superare i limiti della gestione statuale. Nunzio D’Erme di Roma si è invece soffermato sulla necessità di riconoscersi come rivoluzionari nonostante le tante esperienze e percorsi diversi attraversati negli anni ed ha sottolineato l’elemento dell’inimicizia nei confronti di chi sta sull’altro fronte della barricata. Paolo Leonardi dell’Usb ha invece ricordato come lo stesso sindacato di base stia attraversando una complessa fase di transizione e trasformazione legata alla necessità di riadeguare gli strumenti dell’organizzazione dei lavoratori alle nuove condizioni della società. Gigi Roggiero di Uninomade ha invece segnalato la necessità di guardare ai tempi e ai luoghi quando si parla di nuove forme di organizzazione sociale e ha affermato l’esigenza di uscire da una concezione depressiva dei conflitti per imparare a cogliere tutte le potenzialità che si esprimono nelle mille forme della resistenza.

Tutta la seconda parte del dibattito, introdotta da Paolo Di Vetta dei Bpm, si è poi sviluppata intorno alle forme nuove della connessione tra il territorio, la precarietà e i luoghi di lavoro ed alla necessità di sperimentare nuove istituzioni sociali capaci di assicurare continuità ed esprimere la potenza di movimenti maggioritari, cioè capaci di includere l’intero spettro dei settori sociali colpiti dalla crisi. Su questa spinta a proseguire nelle pratiche rinnovate e a tenere viva la riflessione comune Leonardi ha citato il percorso del sindacalismo metropolitano come nuova pratica di collegamento tra la forma classica del sindacalismo e le mille forme di organizzazione sul territorio ed ha ribadito quanto l’Usb sia impegnata su questo terreno. D’Erme ha invece ricordato l’esperienza del coordinamento Cinecittà Bene Comune, altro esempio di connessione virtuosa tra territorio e luoghi di lavoro nel contesto del X Municipio di Roma. Infine Roggiero ha sottolineato come sul terreno della precarietà sia necessario aggiornare le analisi perché siamo ormai in presenza di un precariato di seconda generazione con attitudini e percezioni differenti. La discussione ha impegnato per più di due ore una platea di poco più di un centinaio di persone disposta in forma circolare. Alcuni hanno ravvisato con rammarico che se l’incontro si fosse tenuto in una zona centrale della città avrebbe richiamato molte più persone. Altri invece hanno sottolineato la simbolicità del luogo scelto per dire che la rivoluzione non è un esercitazione accademica o un tema da salotto ma una questione che può essere dibattuta seriamente solo nei luoghi del conflitto.
www.controlacrisi.org

mercoledì 31 ottobre 2012


 
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