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Cibo bambini e industria: la mala educazione.

“Gli snack salati sono prodotti semplici costituiti da poche materie prime di origine agricola. Sono fonte di carboidrati complessi, grassi, e quindi di energia. La notevole varietà di gusto e di consistenza li rende adatti a tutti i palati e a tutte le esigenze perché si parte da una notevole varietà di ingredienti... Si adattano a momenti diversi e piacevoli della nostra vita”. Azzardiamo una traduzione: evviva le patatine che sono buone, fanno bene e mettono allegria!! Se si trattasse di uno slogan pubblicitario, non ci sarebbe niente di strano. Ma le parole vengono da un portale web sull’alimentazione destinato ai bambini, alle loro famiglie e ai loro insegnanti e che porta anche la firma del ministero dell’istruzione. Il portale “Il gusto fa scuola” fa parte di una iniziativa più vasta che da quest’anno scolastico verrà estesa a livello nazionale grazie a un protocollo d’intesa firmato il 25 luglio scorso dal ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca Francesco Profumo e dal presidente di Federalimentare Filippo Ferrua Magliani con l’obiettivo di rafforzare la diffusione dell’educazione alimentare nelle scuole.

Federalimentare e Miur vogliono insegnare ai bambini “modi e tempi di assunzione dei cibi, la storia dei processi produttivi e l’importanza di seguire corretti stili di vita” attraverso alcune iniziative che prevedono una maggiore interazione tra mondo scolastico e industria alimentare, come spiega lo stesso ministero. In altri termini, l’industria alimentare entrerà nelle scuole, sia attraverso i contenuti del sito, sia con progetti da realizzare con le scuole stesse, sia con visite nelle aziende, sia con corsi di formazione al personale scolastico. Il sospetto che alla volpe sia stato lasciato in custodia il pollaio è legittimo. E, in effetti, a qualcuno è venuto. Un gruppo di esperti di nutrizione, sanità pubblica e obesità infantile ha lanciato un appello in cui si sottolinea come “questa iniziativa non può essere considerata appropriata per promuovere una sana alimentazione, anzi rappresenta un ostacolo a causa delle informazioni fuorvianti che contiene, per i gravi conflitti di interesse esistenti e per la confusione dei ruoli tra enti pubblici e aziende”. Il primo problema, dunque, è che l’industria alimentare è portatrice di interessi che possono entrare in conflitto con l’educazione dei bambini. Come scrive Kelly Brownell del Rudd Center for Food Policy and Obesity dell’università di Yale in un articolo pubblicato su Plos Medicine, per far dimagrire la popolazione si dovrebbero vendere meno prodotti, mentre l’industria alimentare deve massimizzare il profitto vendendo più prodotti. Il secondo problema è la confusione dei ruoli e la mancanza di trasparenza. “Come si deve interpretare un messaggio dato da Federalimentare in collaborazione con il Miur a proposito, ad esempio, dell’alta qualità e salubrità del salame, tale per cui può essere consumato quotidianamente? E’ pubblicità o è una raccomandazione basata su prove scientifiche supportata dal ministero?” si chiedono i firmatari dell’appello (che si può sottoscrivere sul sito www.scienzainrete.it).

Il problema non è solo teorico. Anche in Italia, come in Europa, esiste infatti un problema di obesità infantile: tre bambini su 10 nel nostro paese sono da considerare obesi o in sovrappeso. E bambini obesi hanno un’alta probabilità di diventare adulti obesi, con le conseguenze per la salute che questo comporta. Quali sono le misure di politica sanitaria efficaci per contrastare questo fenomeno? Sulla rivista The Lancet è uscito uno studio che individua le più importanti in termini di anni di vita guadagnati senza disabilità e di risorse finanziarie risparmiate. Eccole: introduzione di tasse su cibi e bevande insalubri; etichette a semaforo che segnalano utilizzando i colori rosso, giallo e verde se il contenuto di grassi o zuccheri è eccessivo o giusto; riduzione della pubblicità di cibi e bevande spazzatura ai bambini; programmi scolastici finalizzati alla riduzione del consumo di bevande zuccherate. Ma l’industria alimentare non ci sta (come si è visto dalle ultime vicende sulla proposta del ministro della salute di imporre una tassa sulle bibite gasate, subito ritirata) e mette in moto una serie di strategie. Quali siano lo spiega un articolo di Jeffrey Koplan, direttore del Global Health Institute dell’università Emory di Atlanta, uscito sulla rivista Jama, ne citiamo alcune: inquadrare l’obesità non come problema legato all’alimentazione, ma alla mancanza di attività fisica; sostenere che non esistono cibi cattivi, ma quello che conta è la moderazione da parte degli individui; accusare di paternalismo a anti-liberismo coloro che richiedono interventi governativi per regolare le attività industriali; acquisire credibilità attraverso accordi con partner rispettabili della sfera pubblica. Il sito “Il Gusto fa Scuola” dà un bell’esempio di tutto ciò: nella sezione dedicata ai ragazzi, la prima cosa che si incontra è “palestra fai da te”, uno spazio in cui si danno consigli su alcuni esercizi da fare in casa, peccato che non si dica quante calorie si consumano con gli esercizi proposti. Forse pochi sanno che per smaltire un pasto completo fast food bisognerebbe correre una maratona.

Nella sezione dedicata all’informazione per le famiglie, parlando di bibite gassate, troviamo invece un esempio di come utilizzare la tesi secondo cui non è il prodotto la causa del male, ma l’individuo che ne abusa: “è facile argomentare che la quantità di zucchero presente nelle bevande zuccherate può essere perfettamente accettabile, ed inserirsi senza difficoltà in una dieta equilibrata, o essere invece eccessiva, a seconda dei livelli di consumo”. Per quanto riguarda gli accordi con i partner rispettabili, il protocollo con il Miur parla da sé. Quello che non dice è perché il ministro Profumo lo abbia voluto firmare. (di Cristiana Pulcinelli)
L'Unità

giovedì 13 settembre 2012


 
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