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Una direttiva sulla terra. Strumenti per la lotta a livello locale, prima di tutto.

Una premessa “Se il punto è: come imponiamo “un’altra via” ai padroni del mondo, allora – di fronte alla complessità dei rapporti planetari ed alla generale irresponsabilità dei potenti della terra (nella confusione attuale che rende difficilmente distinguibile il governo delle imprese da quello dei singoli Paesi) - occorre identificare un insieme di strumenti, oltre che di soggetti sociali, capaci di rafforzare le strategie del cambiamento e consolidare i livelli di autonomia che in ogni angolo della terra quanti resistono e quotidianamente praticano alternative stanno creando. Senza demagogia e automatismi, poiché questi soggetti sono diversi ed agiscono in modalità e con strumenti diversi, da quelli delle Comunità locali o delle radicate tradizioni dei Popoli Nativi a quelli tipiche dei governi nazionali o locali. Qui noi spesso abbiamo difficoltà perfino a riconoscerli perché “appaiono” sorprendentemente diversi da come siamo abituati a vederli.” (su Carta, 2002)

L’ONU è molte cose. Di certo le Agenzie sono “di proprietà” dei Governi, ma sono esse stesse diverse tra di loro e non possono essere assimilate e confuse con Banca Mondiale, Banche Regionali di Sviluppo o Fondo Monetario Internazionale. O anche con il WTO. E’ tempo, però, che – se vogliamo che i movimenti sociali che nelle loro forme proprie attraversano tutto il Pianeta dalla Cina al Cile, dall’Indonesia agli USA o all’Europa possano realmente costruire “il cambiamento” - dobbiamo dare a corpo a strategie specifiche almeno per alcune di queste agenzie. In alcune di queste istanze intergovernative globali, i movimenti dei piccoli produttori di cibo e la cosiddetta società civile, tengono testa alle potenti lobby del settore privato e delle imprese perché anche loro hanno identificato questi spazi come utili campi su cui costruire o rafforzare il proprio dominio sul mondo. Perché certo si tratta del Pianeta intero e non di questa o quella partita spicciola. Le linee Guida sulla terra devono essere inquadrate in un processo più ampio, che si è sviluppato per oltre 15 anni, dando corpo a rivendicazioni da prima appena abbozzate e poi, via via, costruite con il consenso sempre più ampio di settori diversi della organizzazioni sociali. Prima i contadini a cui si sono aggiunti i pescatori, i Popoli Indigeni, i pastori nomadi. E le stesse ONG.

Questo processo, che è stato ampiamente orientato e guidato dai movimenti, ha avuto inizio nel 1996 con la dichiarazione finale del Forum della Società Civile di Roma Cibo per tutti o profitto per pochi, parallelo al primo Vertice Mondiale sull’Alimentazione della FAO, in cui si chiede di stabilire, nel quadro della sovranità alimentare, l'accesso alla terra come diritto per i piccoli produttori. A questo è seguita una fase di rivendicazione di un forte impegno della FAO per porre al centro delle strategie di sviluppo la Riforma Agraria, culminata nella Conferenza intergovernativa sulla riforma agraria e lo sviluppo rurale – ICARRD a Porto Alegre nel 2006, in cui 94 governi - con l'UE come grande assente - si impegnano a portare avanti politiche per la redistribuzione della terra e lo sviluppo rurale. Questo impegno rimane però lettera morta. Nel 2007 a Nyeleni, in Mali, nel Forum dei movimenti per la sovranità alimentare, l'accesso alla terra è stato uno degli elementi centrali nella definizione delle strategie per le iniziative future. La sovranità alimentare viene identificata come una piattaforma di lotta, non un modello agricolo. L’accesso alle risorse ne costituisce lo scheletro portante. Nel 2008 il forum Terra Preta (tenuto alla CAE, di Roma) rimette in evidenza la centralità della terra per affrontare i problemi della fame e dell'ingiustizia sociale e costruire un attacco più articolato all’agricoltura industriale. Nello stesso periodo l’IPC (International Planning Committee for Food Sovereignty) con il suo gruppo di lavoro sulla Terra ed in collaborazione con la Campagna per la riforma agraria della Via Campesina, reagisce al documento tecnico che la FAO stava preparando per affrontare i conflitti sulla terra, mentre in contemporanea si sviluppano le battaglie contro l’accaparramento di terre e contro la posizione della Banca Mondiale insieme a FAO, IFAD ed UNCTAD, apparati tecnici) che pretende di difendere i contadini dall’accaparramento di terre perpetrato dai grandi investitori proponendo dei principi che gli investitori dovrebbero benevolmente seguire per limitare i danni (i cosiddetti RAI, principi per gli investimenti responsabili)... Nel frattempo inizia anche la battaglia per la riforma interna del CFS (Comitato Mondiale per la Sicurezza Alimentare), in cui l’IPC svolgerà un ruolo di leadership indiscussa per ottenere il riconoscimento paritario dei movimenti sociali che rappresentano i piccoli produttori di cibo. Il CFS viene riformato e trasformato nello spazio politico della governance globale delle politiche per la sicurezza alimentare. È in questo ambito che il CFS appena riformato viene chiamato ad assumere decisioni rispetto alla questione dell’accesso alla terra per i piccoli produttori di cibo e ad affrontare così il legame che esiste tra sicurezza alimentare ed accesso alle risorse necessarie a produrre cibo. Per noi, il cuore della strategia per la sovranità alimentare. Per uscire dalla logica dei documenti tecnici – la fame non è un problema tecnico e la responsabilità delle soluzioni è nelle mani dei governi - è necessario costringere i governi ad assumersi le proprie responsabilità, ma senza lasciarli soli a decidere le azioni da intraprendere. Da questo nasce la proposta di un intergovernamental working group – IGWG, uno strumento formale con cui i governi debbono confrontarsi e negoziare congiuntamente gli impegni da assumere. Noi per primi appoggiamo questa ipotesi ma chiediamo che il negoziato si chiuda entro un anno, per non cadere nelle trappole tipiche del sistema delle Nazioni Unite. Nel 2010 si decide di avviare l'IGWG. Nel frattempo si erano concluso il primo ciclo di consultazioni con le organizzazioni sociali, guidate dall'IPC, per stabilire quali dovessero essere i contenuti delle Linee Guida (la nostra versione) e vengono raccolte in un unico documento le discussioni avvenute nei vari continenti, sottolineando le differenze e, a volte, anche i contrasti, come ad esempio il conflitto tra allevatori nomadi e agricoltori. Esistono quindi in un primo momento due diversi testi delle linee guida, elaborati in parallelo dall'apparato tecnico della FAO e dalla società civile. Alla prima riunione negoziale vengono assunte come basi del negoziato le linee guida proposte dalla FAO (questo stesso gruppo tecnico della FAO diventerà il segretariato del negoziato). Le “nostre” linee guida saranno la base da contrapporre durante il negoziato con i governi.

Le questioni aperte In che senso queste linee guida sono “volontarie”? Niente obbliga gli stati ad applicare queste linee guida dal punto di vista della giurisprudenza, vale a dire che gli stati non possono essere portati in giudizio per la mancata applicazione delle linee guida o la violazione dei singoli articoli. Ma è evidente che le violazioni dei principi contenuti nelle linee guida da parte di stati o altre entità, compreso il settore privato, sono ricorribili in giustizia da parte di chi ha visto violati i propri diritti fondamentali. La violazione non riguarda infatti il singolo articolo, ma il diritto che è contenuto nel testo. La forza delle linee guida sta proprio nel fatto che i diritti che vi sono iscritti sono ancorati a diritti già formalizzati, come la legislazione internazionale sui diritti umani. Le linee guida sono invece obbligatorie per le Nazioni Unite del CFS e per le agenzie collegate (FAO, IFAD). Per gli europei, le linee guide possono essere paragonate alle direttive comunitarie; molte di esse rimangono infatti inapplicate. Il punto politico sarà quindi vedere quali stati applicheranno le linee guida e quali no. Molti si stupiscono di questo dialogo così diretto tra i movimenti di base e un'agenzia delle Nazioni Unite. Da un punto di vista istituzionale questa è infatti un'eccezione assoluta, in altre agenzie delle Nazioni Unite sono presenti le ONG ma mescolate alle imprese e ad altri attori sociali ed hanno un ruolo puramente consultivo, non partecipano ai negoziati. Risiede anche in questo processo partecipativo il valore eccezionale delle linee guida, anche se è solo una prima tappa, poi si deve procedere all'implementazione. E questa partita si gioca tutta sul livello nazionale prima che in quello internazionale. Come vengono prese le decisioni nell'ambito del negoziato? Il negoziato funziona secondo diverse modalità istituzionali: i gruppi di lavoro stabiliti dal presidente del negoziato, gli amici del Presidente e l'assemblea plenaria. Quest'ultima può procedere articolo per articolo, discutendo le singole parole, oppure può affrontare delle tematiche che si ritrovano poi in varie parti del testo, lasciando ad un momento successivo la discussione sulle parti su cui non c'è accordo. Ognuno può intervenire liberamente, quante volte vuole, il Presidente organizza il dibattito. Gli stati intervengono come singoli paesi o come parte di una regione, per cui viene scelto un delegato. Chi presiede il negoziato ha quindi un ruolo fondamentale soprattutto rispetto alla scelta del momento in cui chiudere la discussione e chiedere ai governi di decidere su un testo definitivo. La società civile può intervenire in tutte le parti della discussione, con le stesse prerogative dei governi, eccetto nel momento in cui il presidente chiede il consenso sugli articoli. La società civile ha infatti scelto, nell'ambito della riforma del CFS, di non avere diritto di voto. Le linee guida sono le linee guida dei governi. Sono un documento di esclusiva responsabilità dei Governi. Il termine “partecipativo” in un certo senso non corrisponde alla natura del processo che sottosta alle linee guida; questo è stato un vero e proprio negoziato, paragonabile ad un negoziato sindacale, una negoziazione in cui la posizione delle diverse parti resta ben chiara e distinta. Questo richiede una grande capacità da parte delle organizzazioni della società civile per non accettare meccanismi di cooptazione o di collusione con i governi. Comunque va sempre ricordato con forza che nella stragrande maggioranza dei Paesi le pratiche di democrazia effettiva restano rare e che spesso le organizzazioni sociali vivono in condizioni di estrema difficoltà limitate nella loro capacità organizzativa e di azione politica. Uno strumento internazionale è solo uno strumento in più nella lotta per difendere i diritti dei piccoli produttori di cibo e per meglio resistere a tutto quello che contribuisce al sequestro del diritto a produrre e alla sua concentrazione in mani sempre meno numerose. Solo un brevissimo commento sul testo per noi stessi. I diritti economici e sociali confliggono con il diritto di proprietà; la costituzione italiana è fortemente orientata alla difesa di questi diritti. La Costituzione, infatti “…legando la proprietà collettiva direttamente alla sovranità dello Stato, […] ha capovolto la precedente concezione, che considerava i “vincoli” una “limitazione” della proprietà privata, ed ha invece considerato la stessa proprietà privata una limitazione della proprietà collettiva.” [Paolo Maddalena (giudice emerito della Corte Costituzionale), L'ambiente e le sue componenti come beni comuni in proprietà collettiva della presente e delle future generazioni, tratto da www.federalismi.it] L'impostazione per cui la proprietà privata è onnipresente e viene limitata da alcuni diritti di natura collettiva è solamente politica, non giuridica, e risiede nella concezione per cui il mercato fa le regole della convivenza civile. La discussione sui diritti che ha attraversato tutto il negoziato sulle Linee Guida ci ha consentito di introdurre nel testo guida concetti come i commons (usi civici), le terre ancestrali, i diritti collettivi
www.croceviaterra.it

martedì 20 marzo 2012


 
News

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