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Parola d'ordine: indorare la pillola.

Vent'anni di Berlusconi non passano invano. Ma i ministri di questo governo sembrano aver fatto tesoro di tutti quegli insegnamenti. Almeno sul piano mediatico. Qualcuno dirà: però, questi mica raccontano barzellette... Ammettiamolo: non gli viene bene, ma ci provano. Prendiamo la sortita della ministra Elsa Fornero, ieri, su SkyTg24. «La nostra riforma delle pensioni aiuta i giovani, sottrae loro un onere, quello del debito che era un peso enorme sulle spalle delle nuove generazioni». I «giovani» di oggi, secondo quella riforma, andranno in pensione a 70 anni, con un assegno miserabile. Tra periodi di lavoro precario ‐ per non render loro la vita «monotona», direbbe qualcuno ‐ e altri altamente instabili, avranno infatti un montante contributivo ridicolo. Ma ‐ dice la ministra ‐ avranno «meno debito pubblico sulle spalle». Questo non lo sa nessuno, in verità. Se lo stato italiano governerà una crescita economica sostanziosa e duratura nel tempo, sarà vero. Se ci saranno lunghi periodi di stagnazione o recessione (è già iniziata, e per quest'anno ci resteremo dentro), anche il debito pubblico aumenterà per effetto degli interessi sul debito (la legge dello spread è ferrea) e della spesa «incomprimibile».

Ma alla ministra non basta raccontarne una. «Nessuno potrà mai licenziare per motivi di discriminazione. È inaccettabile in qualunque paese civile e quindi anche in Italia». Belle parole. Ma la Fiat, che in altra parte della sua intervista benedice, in quel di Pomigliano sta ben attenta a non «riassumere» neppure un solo iscritto a un sindacato storico come la Fiom Cgil. Al di là del codicillo giuridico lì usato, dunque, in Italia i licenziamenti discriminatori sono praticati già oggi, nonostante l'articolo 18. E, a voler esser pignoli, in quel di Melfi ‐ come documentato con tanto di registrazione video vista da tutti in Servizio pubblico ‐ la Fiat paga come «capi» personaggi che usano con molta disinvoltura linguaggi e minacce di stampo mafioso (a meno di non voler considerare un «ti stacco la testa» come normali relazioni industriali). La distanza tra paese reale e favole di governo sta diventando solare (neve permettendo). E il dire, senza piangere, «questo governo è tecnico, non ha parti della società italiana che vuole favorire» rivela grandi doti di recitazione, ma ben poca verità.

Veniamo infatti da una riforma delle pensioni che lascia 70.000 lavoratori senza più lavoro né copertura Inps; che allunga in alcuni casi di 4 o 5 anni l'età del ritiro; che riduce l'importo dell'assegno per tutti (più grave, in proporzione, per i redditi più bassi). E da un decreto «semplificazioni» improntato a una filosofia elementare: tutto ciò che disturba l'impresa va eliminato. Persino i controlli dello stato. Sul tema del momento ‐ la riforma del mercato del lavoro ‐ la ministra ha largheggiato in allusioni, senza entrare mai nel merito. Esempio. «Il posto fisso rimane un'importante aspirazione per molti», ma «se non la possiamo realizzare per tutti, l'importante è che chi accetta la flessibilità non ne paghi i costi». Traducendo un po', si capisce che le aziende potranno utilizzare ancora i contratti «atipici», ma dovranno aumentare le relative retribuzioni, in modo da evitare la critica principale: quella di utilizzare i precari per abbattere il costo del lavoro e basta. Ma «si parla troppo di art. 18». Non perché sia falso che il governo vuole abolirlo. «non è giusto legare i lavoratori all'impresa in tutte le circostanze; non è ottimale». Non si dice «ottimale per chi», ma «questa sarebbe la flessibilità buona».

Il segretario di Rifondazione, Paolo Ferrero ‐ tra i pochi a interloquire con la ministra, ieri ‐ ha facile gioco nello svelare l'artificio retorico: «la flessibilità buona in Italia non esiste». Se si vuol capire quel che bolle in pentola, dunque, sarà bene uscire dal gioco depistante delle dichiarazioni tv e studiare quel che «consigliano» gli esperti di Confindustria. L'assunto indiscutibile è sempre lo stesso: «in Italia, il mantenimento di salari rigidi ed elevati per una fascia di lavoratori è stato pagato dalla fascia meno protetta», scrive Carlo Bastasin sul Sole. Con i secondi a pagare di più la fase di crisi, com'era previsto. La soluzione, appena accennata, sembra il vero programma di questo governo: abbassare i salari al livello dei «secondi» ‐ più o meno ‐ in modo da far decollare la «competitività». Quella stessa che i tedeschi riescono a mantenere senza problemi pur pagando salari più alti del 30‐50%? Non è un calcolo difficile: usiamo la stessa moneta e lassù i prezzi delle merci sono in genere anche più bassi. (di Francesco Piccioni)
Il manifesto

domenica 5 febbraio 2012


 
News

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