“GENUINO CLANDESTINO” - Incontro con l'associazione di agricoltori “CAMPI APERTI”.
Di seguito il materiale preparatorio all'incontro promosso da AltrAgricoltura Nord Est con l'associazione campi Aperti che ha prodotto una discussione tra produttori sui seguenti temi:
1)- l'esperienza di “Campi Aperti”;
2)- la campagna nazionale “Genuino Clandestino”;
3)- il problema dell’accesso alla terra;
4)- la riforma della PAC e la sua critica.
E' stato proiettato il documentario “Genuino Clandestino” - regia di Nicola Angrisano (insu^TV, 2011)
AltraAgricoltura Nord Est con questa giornata conviviale e di discussione ha voluto valorizzare le forme di cooperazione tra produttori e consumatori che aspirano a costruire alternative concrete ed efficaci all'agroindustria, al mercato convenzionale e alla GDO.
Storia di Campi Aperti
Verso la fine degli anni'90 l'incontro tra un gruppo di contadini che praticano l'agricoltura biologica e alcuni consumatori responsabili dà vita al Coordinamento per la Sovranità Alimentare. Il coordinamento, attraverso la Palestra di autodifesa alimentare, si attiva per discutere e dare risposte concrete alla necessità di un nuovo modo di fare agricoltura, riscoprendo l'importanza di essere contadini e non solo imprenditori agricoli. A tal fine, la vendita diretta dei prodotti in città viene considerata la pratica più adatta.
La consapevolezza che ha dato il via a questi incontri è che le risorse non sono infinite: modificare i rapporti di produzione e fruizione può riportare l'umanità ad un rapporto con la terra più profondo: conoscere i prodotti che compongono i nostri pasti ci dà l’opportunità di sentirci meno soli, meno alienati dai sistemi di produzione e dunque produttori e co-produttori, piuttosto che imprenditori e consumatori. In tempi di neoliberismo sfrenato la vendita diretta nei mercati autogestiti consente di rompere l'accerchiamento e costruire un' inclusione che sfugga alla regola principe del "non luogo" ipermercato: più spendi, più conti. Fondamentale per lo sviluppo dell'attività del Coordinamento e per la nascita del mercato di vendita diretta è il rapporto col centro sociale di Bologna XM24. E' nei suoi spazi, infatti, che si decide di dare vita al primo mercatino settimanale che parte da poche ma tenaci unità di produttori. La scommessa viene vinta dopo un paio di anni. In questo periodo (2001/2003) si sviluppa una certa sensibilità verso i prodotti sani e biologici, in particolare in seguito alle catastrofi alimentari a cui ha dato luogo lo sviluppo di un'agricoltura totalmente volta al profitto senza nessun rispetto di quelle che sono le regole che la natura impone (mucca pazza insegna). Il mercato all'XM24 (in via Fioravanti 24 tutti i giovedì dalle 17.30 alle 21) suscita interesse e l'abbondante partecipazione di gente stimola a crearne dei nuovi. Così nel 2006, con l'appoggio di un altro centro sociale, il VAG61, nasce un nuovo mercato nella Cirenaica presso VAG61 (in via Paolo Fabbri 110 tutti i martedì dalle 18 alle 21) . Ma appena un anno dopo, e siamo nel 2007, l'esperienza dei mercatini è già matura per triplicarsi, e così nasce un nuovo mercato nel Quartiere Savena con la collaborazione del Quartiere stesso e della Scuola di Pace (in via Udine tutti i venerdì dalle 17.30 alle 20).
Allo stesso tempo, il gruppo informale del Coordinamento per la Sovranità Alimentare si costituisce in associazione col nome, appunto, di CampiAperti. L'Associazione organizza iniziative, fa informazione, collabora con altre associazioni, gruppi e istituzioni al fine di promuovere l'incontro tra produttori e consumatori responsabili, di divulgare l'uso e la pratica dell'agricoltura contadina biologica, delle produzioni eco-compatibili, del risparmio delle risorse naturali, della ricerca di strumenti per il controllo della qualità dei prodotti e l'autocertificazione delle produzioni biologiche, come il confronto diretto tra produttori e consumatori, il controllo reciproco tra produttori, la condivisione delle esperienze e delle conoscenze tecniche.
La vendita diretta è una pratica fondamentale per il sostegno dell'agricoltura contadina e un'attività che ha riscosso interesse nei consumatori in questi ultimi anni. Attraverso la vendita diretta possiamo conoscere chi produce quello che mangiamo, chiedergli informazioni su come lavora e sulle caratteristiche dei suoi prodotti. Non più alimenti che vengono da migliaia di chilometri di distanza, tenuti in celle frigo per giorni e giorni, prodotti con metodi sconosciuti in zone sconosciute, con altissimi costi in termini di utilizzo delle risorse e di inquinamento ambientale. I prodotti che troviamo ai mercati sono il più possibile locali e sempre tutti biologici. Al fine di garantire ciò, tutti i produttori che partecipano al mercato devono condividere i principi della carta d'intenti e quindi entrare a far parte dell'Associazione e seguire alcune procedure: innanzitutto devono essere disponibili per una visita in azienda per verificare le condizioni di ammissibilità, devono discutere la propria candidatura nell'assemblea del mercato, redigere un documento di autocertificazione che garantisca il rispetto delle regole che l'Associazione si è data assumendosene la responsabilità sia di fronte ai soci che di fronte a tutti i consumatori. Saltando i diversi passaggi che le merci devono sostenere per arrivare alla grande e piccola distribuzione – e quindi eliminando costi ulteriori che vanno a gravare sul prezzo – la vendita diretta permette ai produttori di ottenere una retribuzione più equa del loro lavoro e ai consumatori di acquistare prodotti freschi e di ottima qualità a prezzi convenienti. I mercati diventano spazi in cui è possibile costruire nuove relazioni e un diverso modo di socializzare, un'altra inclusione che sfugge alla regola imperante della produzione e del consumo impersonale, in luoghi senz'anima come i supermercati. L'assenza di intermediari fra produttori e consumatori permette agli agricoltori di avere un reddito più adeguato per la loro attività e ai consumatori di poter acquistare prodotti sani e di qualità a prezzi convenienti. L'agricoltura non è più solo business e speculazione ma torna a essere lavoro creativo e stimolante.
Elenco delle Aziende agricole di Campi Aperti
Latticini e prodotti animali
Gli allevatori che partecipano a Campi Aperti sono:
• BIOAGRIFILI di Valter Ragazzini
• ANEMONI di Stefano Anemoni
• Azienda COTTU di Salvatore Cottu
• Azienda Fattoria I PIANI di Marco Feltrin
• Azienda Agricola il Grifo
Ortofrutta
I contadini che partecipano a Campi Aperti sono:
• Azienda agricola LA SEGA di Michele Caravita
• Azienda agricola FERRARI di Erio Ferrari
• CA' SAN GIOVANNI di Alberto Montanari
• BIOSPROC di Alfredo Viratelli
• Ca' BATTISTINI di Germana Fratello e Carlo Farneti
• IL SERRAGLIO di Marco Mazzanti
• Podere CASANTE di Roberto Bucci
• Azienda agricola IL GRANELLO di Elisa Manni
• Azienda agricola CAMBI di Giovanni Cambi
• Azienda agricola BEGATTI di Giuseppe Begatti
• LA BIFOLCA di Maria Miani
• SOLESERENO di Massimiliano Santi
• FATTORIA UN ANIMALE PER AMICO di Stefania Dubbini
• Podere TRAMONTI di Alberto Armaroli
• MASSERIA LA PALOMBARA di Alessandro La Palombara
• LA VERDE COLLINA di Riccardo Licastro
• PICCAPANE di Giuseppe Pellegrino
• LA CASETTA di Laura Gelli
• Azienda RIGHINI E DALL'OSSO di Luciano Righini e Paola dall'Osso
• LA FRATTA D'ORO di Mattia Seligardi, Pina Pesce e Marzia Gigli
• Cooperativa sociale Agriverde
Prodotti da forno e trasformati
Pane e prodotti da forno:
• Azienda agricola LA TERRA DI MEZZO di Davide Ghio
• Azienda Agricola MAGNANI di Eddi Magnani
• LA FRATTA D'ORO di Mattia Seligardi, Pina Pesce e Marzia Gigli
• Azienda RIGHINI E DALL'OSSO di Luciano Righini e Paola dall'Osso
• FATTORIA UN ANIMALE PER AMICO di Stefania Dubbini
DA UN’ALTRA AGRICOLTURA A UN'ALTRA ECONOMIA.
In questi ultimi dieci anni abbiamo fatto
un percorso pratico di ricomposizione tra
ambiente, produzione, distribuzione e consumo
dei prodotti agricoli.
Allo stato attuale delle cose questa esperienza
nel territorio bolognese coinvolge
decine di realtˆ agricole biologiche
e centinaia di consumatori. Percorsi analoghi
sono stati portati avanti da altre realt
ˆ italiane simili alla nostra.
Tramite l’esperienza diretta quotidiana ci
siamo fatti una certa idea di quali potrebbero
essere i fondamenti di unÕ economia
alternativa.
Adesso ci chiediamo se queste strategie,
pratiche e ideali, possano essere immaginate
al di là dell’agricoltura.
CampiAperti è
un’associazione di
produttori e consumatori
del territorio bolognese
che s’impegna e lavora per
il sostegno dell’agricoltura
contadina.
I nostri campi sono aperti perché
aspirano alla biodiversità a lasciano
fuori le colture intensive. In essi
trovano cittadinanza anche le erbe
spontanee, quelle che in un campo
tradizionale finirebbero seccate dai
diserbanti e che nei nostri mercati
invece finiscono sui banchi.
I nostri campi sono aperti anche
perché tramite la vendita diretta
noi mettiamo l’accento sulle
relazioni e sulla comunità.
Nei nostri mercati, è il rapporto che
si instaura tra le persone a dare
valore ai prodotti, e non viceversa.
I 10 ANNI DELLA NOSTRA storia
AllÕinizio cÕerano dei precari
che avevano deciso di lavorare
la terra ed erano andati
ad abitare in campagna. Alcuni
un lavoro fisso lÕavevano
ma erano inquieti e cercavano
unÕaltra strada.
Poi c’erano dei collettivi di
studenti e precari che volevano fare
attivismo sul tema dell’alimentazione
e del diritto a un cibo sano,
ricercando un’azione politica che
fosse concreta e quotidiana. L’elemento
che univa tutti era un forte
spirito di insubordinazione. “Lavora
consuma crepa”. Il desiderio di non
essere un ingranaggio nella megamacchina
infernale dell’economia
moderna. Di non essere complici
dello sfruttamento, della devastazione,
dell’ingiustizia. Di deragliare,
sfuggire, criticare, contestare.
Ci incontrammo e infine riproponemmo
un’esperienza che
accompagna l’umanità da millenni:
uno spiazzo e un appuntamento
settimanale. Un mercato. Semplice,
spontaneo, riproducibile.
ERA IL 2002, GENOvA ERA pAssATA
dA pOCO. NON ERAvAMO pIù sOLI, CIAsCUNO
pERsO NEL pROpRIO ORTICELLO.
dA ALLORA AbbIAMO fATTO dIvERsI pAssI.
Un passo è stato quello di
considerare che “biologico” non
basta: biologico può essere anche
industria, può essere sfruttamento,
alienazione, oppressione. Biologico
può voler dire furbo arricchimento,
logiche del capitale, green business,
ecolabel. Biologico spesso ripropone,
esteticamente rivisitato, lo
stesso sistema inquinante e ingiusto
che vogliamo combattere. Per noi
l’unico futuro possibile è nell’agricoltura
contadina, ovvero l’agricoltura
di piccola scala che valorizza
il lavoro, impiega poco capitale, diversifica
le produzioni e i cui prodotti
restano in un circuito locale.
Un altro passo è stato l’abolizione
dell’intermediazione: chi
compra e rivende può assumere
una posizione di grande potere.
Avere il controllo di un luogo di
compravendita significa attingere
ricchezza direttamente dal fiume
che scorre. Non solo: significa ordinare/
governare la forma della produzione,
“roba bella al prezzo più
basso”. Roba “bella”, ben confezionata,
ben presentata, non necessariamente
sana, non necessariamente
giusta, non necessariamente
sopportabile. Comprare e rivendere
è più facile che produrre. Il banco
grande e vario vince, comanda,
vive. Il supermercato vince. Gli altri
sono destinati all’estinzione.
Considerato ciò noi abbiamo
abolito la compravendita. Nei nostri
mercati ognuno vende esclusivamente
quello che produce. E domina
un’allegra competizione per
riuscire a produrre la maggiore diversità.
Un passo è stato difenderci
dagli sfruttatori e dagli imbroglioni,
ovvero inventare un sistema di
autocontrollo. All’inizio pensavamo
che la relazione diretta tra chi produce
e consuma generasse spontaneamente
una forma di garanzia e
controllo. Abbiamo purtroppo costatato
sul campo che questo non
è vero, che quando si aprono spaspazi
di mercato gli approfittatori arrivano
e agiscono in modo sottile.
CampiAperti allora ha assunto
l’onere del controllo suddividendolo
equamente tra tutti i soggetti
coinvolti. Ognuno è responsabile
dell’affidabilità di ciascuno. I problemi
di controllo sono problemi di
tutti. “Controllo partecipato” si potrebbe
chiamare, ovvero un sistema
di garanzia affinché le regole che ci
siamo dati siano rispettate.
Un altro passo è stato decidere
le nostre regole in opposizione
alle loro leggi. Le leggi dell’industria
e del consumo vietano ciò
che non giova all’industria e al consumo.
E' più sANA UNA pAGNOTTA CONfEzIONATA
IN UN GRANdE sTAbILIMENTO AGRO-ALIMENTARE
O UNA pAGNOTTA dI fARINA dI GRANO bIOLOGICO
IMpAsTATA A MANO dAL CONTAdINO
dI fIdUCIA ?
CampiAperti ospita nei propri
mercati produttori autocertificati,
trasformatori “fuoriregola” e
realtà produttive completamente informali.
Non perché non abbiamo
regole, ma perché ci siamo dati altre
regole condivise in assemblee
aperte.
Genuino Clandestino è stata
una campagna promossa da CampiAperti
per denunciare l’insieme
di norme ingiuste che, equiparando
i prodotti contadini trasformati
a quelli delle grandi industrie alimentari,
li rende fuorilegge. Questa
campagna ora è diventata nazionale.
Da subito CampiAperti ha
trovato un naturale alleato nei GAS
e nei gruppi di sostegno e diffusione
del commercio equosolidale
Sin dagli inizi le decisioni in
CampiAperti vengono prese in assemblee
aperte nelle quali si ricerca
il massimo consenso possibile.
- LA POLITICA IN CAMpAGNA
Guardandoci alle spalle, a
quello che abbiamo fatto e/o
ci • capitato, o ad altre esperienze
analoghe che abbiamo
incontrato e con le quali abbiamo
costruito la rete Genuino
Clandestino, rimaniamo
sbalorditi dalla ricchezza
di implicazioni politiche.
Innanzi tutto la potenza dell’alleanza
tra produzione e consumo,
o meglio il rifiuto di accettare questa
separazione: la consapevolezza di
fare scelte per il bene comune rompe
la dicotomia (culturale, semantica
ed economica) che ci vuole divisi
in produttori e consumatori, e libera
uno spirito di cooperazione che
produce miracoli. Il primo miracolo
è che realtà produttive destinate a
morte sicura in quanto ipermarginali,
diventano addirittura competitive
con il supermercato. Il secondo miracolo
è che i competitors diventano
improvvisamente cooperanti, ragionevoli
e interessati al bene comune
(cooperators!?).
La base del nuovo spirito cooperativo
è la convergenza di interessi
ed il rispetto dei ruoli reciproci
e delle reciproche necessità, oltre
che il riconoscimento dei bisogni
politici generali. Una sorta di patto
sociale implicito. Ora ci chiediamo:
possiamo immaginare l’estensione
di questa alleanza, questa rottura e
questa cooperazione al di fuori del
settore agricolo?
Una seconda emergenza politica
del nostro agire è l’introduzione
della democrazia assembleare
nella gestione del ciclo economico.
L’assemblea, a cui tutti gli interessati
possono partecipare, decide
quali modalità produttive sono da
accogliere, quali realtà possono accedere,
come devono essere gestiti
gli spazi e le modalità di scambio.
Abbiamo verificato sul campo che
l’assemblea orizzontale aperta è fondamentale
per governare le dinamiche
di competizione che sempre si
creano e per definire le regole giuste
necessarie per il mantenimento
di una convivenza cooperante.
Dalla nostra esperienza possiamo
dire che non può esistere un’economia sostanzialmente diversa
senza la presenza di un luogo
democratico di confronto e decisione
che veda coinvolti tutti i soggetti
del ciclo economico.
Possiamo immaginare dei
luoghi di incontro e confronto sulle
modalità di produzione distribuzione
e consumo giuste e ragionevoli
al di là dell’agricoltura?
Un’ulteriore aspetto interessante
è l’invenzione (o la re-invenzione)
di modalità di produzione
e distribuzione e la liberazione di
energie produttive. Dopo mezzo secolo,
quando i mezzadri distribuivano
il latte alle famiglie del paese,
qualcuno in Inghilterra ha inventato
la consegna settimanale di frutta
e verdura su abbonamento. Immediatamente
questa pratica si è diffusa
in tutto il mondo, così come i
mercati contadini e la vendita diretta.
Queste modalità di distribuzione
inducono le realtà produttive ad assumere
forme radicalmente diverse
da quelle convenzionali: diversificare
diventa l’imperativo, in opposizione
alla specializzazione imposta
dalla GDO. Diversificare diventa
improvvisamente economicamente
conveniente. Ed ecco che nascono
birrifici agricoli, una varietà mai vista
di ortaggi invernali, erboristerie
da campo, e una vastissima gamma
di vini formaggi e salumi. Liberazione
di energie produttive, scatenamento
degli ingegni.
Quali energie produttive possiamo
liberare in altri settori economici
come ad es. la falegnameria,
l’edilizia o le produzioni culturali?
Di fatto siamo diventati una
comunità politica indipendente. Comunità
la cui attività fondamentale è
quella di inventare e governare nuovi
cicli economici dei beni agricoli.
O meglio di non farci governare da
altri. Nuovi modi di produrre, nuovi
modi consumare, nuove relazioni
nella produzione e nel consumo.
Il termine comunità sembrerebbe
quello più appropriato. Non
siamo omogenei in termini di estrazione
sociale, età , substrato culturale
ecc. Ci uniamo sulla base del bisogno
fondamentale di ciascuno:
riuscire a lavorare e utilizzare i prodotti
del lavoro con un senso: il rispetto
per la ricchezza e la fertilità
della terra e lo spirito di solidarietà
e giustizia tra gli esseri umani.
Ci occupiamo dei cicli economici
dei prodotti agricoli: dalle materie
prime all’impatto ambientale
della produzione agricola, alle modalità
di trasformazione, distribuzione,
consumo, produzione di rifiuti.
E delle condizioni e delle relazioni
umane che nei cicli economici si creano:
alienazione del lavoro, soddisfazione,
fiducia, competizione, solitudine,
socialità e condivisione, spirito
d’impresa e d’avventura. Siamo interessati
a scardinare le relazioni
di potere che ci assoggettano: è in
queste dinamiche che si nascondono
le questioni essenziali della politica.
Per la prima volta ci troviamo
l’economia dei beni essenziali
tutta intera tra le mani. Dall’inizio
alla fine. E abbiamo deciso di non
accettare le regole ingiuste che lo
stato ci impone e di inserirne altre
che riteniamo fondamentali. Con
chi possiamo allearci affinché sia riconosciuto
il diritto delle comunità
di decidere del proprio destino?
Quello che ci è capitato in questi
dieci anni è una sorta di ricucitura.
IL sUpERMERCATO O MEGLIO L'ECONOMIA dEL
CApITALE hA dIsTRUTTO IL TEssUTO sOCIALE,
pRIMA LE pERsONE sI INCONTRAvANO E CONOsCEvANO
pERChé sI sCAMbIAvANO dEI bENI,
pERChé AvEvANO bIsOGNO LE UNE dELLE ALTRE.
COsTRUIRE ECONOMIE ALTERNATIvE sIGNIfICA
RICUCIRE qUEsTO TEssUTO. MENTRE ORA sE UNO
hA bIsOGNO dI qUALCOsA vA AL sUpERMERCATO
dOvE C'é TUTTO E sE GLI vA bENE CONOsCE LA
CAssIERA, ChE MAGARI pERò é pURE sCOGLIONATA
E qUINdI GLI vA pURE MALE. bEh, ORA dETTO
COsí sEMbRA pROpRIO bANALE.
SIAMO VERAMENTE UN’ALTRA ECONOMIA?
siamo partiti dallÕagricoltura,
e presto ci siamo accorti
che nelle nostre scelte dovevamo
affrontare questioni
diverse da quelle che ci
aspettavamo.
I problemi più impellenti non
erano i sistemi di lavorazione o le
epoche di semina. C’era il Mercato
che decideva quello che dovevamo
fare e queste decisioni non erano
mai quelle giuste o sensate per
noi. Per fortuna abbiamo incontrato
persone con le quali abbiamo avviato
riflessioni e pratiche. Abbiamo
insieme deciso di decidere. Da
quel momento non siamo più andati
in Comune a chiedere di aprirci
un mercato, non siamo più andati
all’Asl a chiedere quello che potevamo
vendere e come andava fatto,
non siamo più andati all’ente certificatore
a chiedere se eravamo biologici,
non siamo più andati al Mercato
a chiedere quali pomodori coltivare
e in quante file ordinate dovevamo
incassettarli, non siamo più andati
al consorzio di tutela a chiedere
di mettere il bollino sul nostro vino.
Abbiamo definito che queste decisioni
spettavano alle persone coinvolte,
in carne ed ossa.
Non sappiamo se siamo veramente
un’altra economia, o se lo siamo
solo in parte: ci sembra che questo
capovolgimento delle questioni
possa aprire delle possibilità di trasformazione
per tutta la società.
LA NOsTRA sTORIA CONTINUA.
Rispetto al percorso fatto
fino ad ora cÕ• ancora molto
da fare, in particolare ci sarebbero
alcuni passi fondamentali.
Il primo di questi è renderci
progressivamente indipendenti dalle
multinazionali produttrici di sementi
e prodotti fitosanitari, costruendo
anche in questo ambito forme di
autorganizzazione in funzione delle
reali esigenze di tutti. Questo significa
autoproduzione dei semi e
delle piantine, alleanza con le piccole
aziende agricole sementiere,
organizzazione di vivai per la produzione
collettiva di piantine.
Il secondo è quello di attivarci
per permettere a tutti quelli che
lo desiderano di iniziare un’attività
agricola, cercando i modi per facilitare
l’accesso alla terra, ora negato
dai costi esorbitanti di acquisto. Pensiamo
agli usi civici, alle terre demaniali,
ma anche a nuove forme di acquisto
collettivo, già sperimentate da
alcuni pionieri in Italia e in forma più
ampia in diversi paesi europei.
Il terzo è quello di aiutare, secondo
le nostre possibilità, chi inizia
a fare l’agricoltore, in particolare
attraverso la condivisione dei
saperi e delle esperienze.
Guardando un po’ oltre un altro
importante contributo che possiamo
dare è quello di stimolo per
la crescita delle autoproduzioni, che
possiamo operare mettendo la nostra
esperienza e organizzazione a
disposizione di chi vuole iniziare a
coltivarsi il proprio orto, da solo o in
gruppo, o vuole iniziare a farsi il suo
pane o le sue conserve. Tutto questo
evitando di fare delle conoscenze
una merce, ma salvaguardando uno
dei punti fondamentali della costruzione
delle comunità, che è la libera
circolazione e condivisione delle
esperienze e delle conoscenze.
Vorremmo poter dichiarare
in tutti i luoghi dove siamo presenti
che siamo antifascisti e che siamo
contro tutti gli eserciti.
Genuino Clandestino infatti
non è una semplice campagna per
la trasformazione dei prodotti agricoli,
ma è una campagna antifascista
perché attraverso la decontaminazione
della parola clandestino,
curata quotidianamente dagli imprenditori
della paura per pubblicizzare
il loro prodotto sicurezza,
vuole denunciare le leggi razziali
tuttora vigenti in Italia che criminalizzano
le persone migranti e le condannano ad illegittime segregazioni
nei lager italiani e libici o
a morte atroce nel canale di Sicilia.
I nostri campi sono aperti a
ciò che accade loro intorno, alle dinamiche
di quella società ad essi
interdipendente, e tacere il razzismo
dilagante, istituzionale e popolare,
che attraversa l’Italia, significa
oggi più che mai esserne complici.
Cosa vogliamo intendere per
un’“altra economia”?: un benessere
per tutti e per tutto, basato sulla
riappropriazione dei beni comuni:
terra, aria, acqua, ma anche relazioni
sociali eque e solidali, lo sganciamento
dalla dualità pubblico/
privato e quindi dalle lobby di potere
stato/capitale, lo sviluppo di
una tecnologia “sobria, durevole,
sostenibile, conviviale”, al servizio
dell’uomo e non più il contrario. Intendiamo
creare microcosmi in sintonia
col macrocosmo, ridurre gli
sprechi e riscoprire i bisogni, quelli
veri che portano ad una crescita
interiore senza la quale non è possibile
una crescita collettiva.
“...possiamo senza dubbio
cominciare a muoverci a partire da
noi stessi, da dove ci troviamo, dalle
nostre relazioni, dal nostro territorio,
dai luoghi che abitiamo,
mettendo in moto processi virtuosi.
In questo senso ci proponiamo
di reinventare un’altra idea di bellezza
che ci porti a vedere le città,
il territorio, i paesaggi, le comunità
umane in modo differente...”
Crediamo sia necessario modificare
l’attuale sistema di vita e
di relazioni economiche non tanto
perchè stiamo vivendo una gravissima
crisi strutturale quanto perchè
riteniamo questo sistema ingiusto e
oltre tutto inefficace.
Microcredito, utilizzo di energie
rinnovabili, filiera corta, chilometro
zero, banca etica, mag, gruppi
d’acquisto solidali, banche del
tempo, scambio, baratto, commercio
equo, marketing politico...: tutto
questo significa fare rete fra diversi
per trasformare con fantasia e tenerezza
il mondo che ci sta attorno.
Siamo veramente un’altra
economia? Certo che sì, un’economia
ombra forse, e sotterranea come
i fiumi carsici ma, come questi,
piena di rivoli che al momento giusto
affiorano in superficie e fecondano
la terra.
ACCEssO ALLA TERRA.
Questi contributi sono il frutto della riflessione collettiva di
un gruppo di lavoro che opera nel territorio della provincia di
Bologna, e in particolare nellÕAppennino. Si riferiscono perci˜
a unÕ esperienza specifica e non pretendono di rappresentare
la complessitˆ della situazione italiana. Speriamo che il
laboratorio di ottobre, durante Genuino Clandestino, sia
unÕ occasione per arricchire e completare il quadro.
TERRA, TERRITORIO, AGRICOLTURA.
Insediarsi in campagna e avviare
unÕattivitˆ agricola •
una scelta che pu˜ apparire
difficile e irta di ostacoli, sia
per lÕincertezza del reddito
in agricoltura, sia per le complicazioni
burocratiche.
Per la piccola agricoltura familiare
il problema del reddito costituisce
certamente un interrogativo,
specie nelle fasi iniziali; ma è
anche vero anche che da alcuni anni
la vendita diretta, l’autogestione dei
rapporti economici e le nuove relazioni
solidali tra produttori e co-produttori
costituiscono un’alternativa
praticabile per i contadini e un’opportunità
sempre più richiesta dai
cittadini che desiderano un cibo
sano, prodotto senza ingiustizie verso
i lavoratori e verso la terra.
Da diversi anni esiste un movimento
di ritorno dalla città alla
campagna e molti giovani desiderano
lavorare in agricoltura: è una
strada che l’attuale crisi economica
rende forse ancora più interessante
agli occhi di molti, ma soprattutto è
un percorso originato da un cambiamento
dei valori culturali e dal desiderio
di creare spazi di resistenza
rispetto alla logica del profitto, che
genera un impoverimento dell’ambiente
e delle relazioni sociali. È un
percorso che per molti rappresenta,
se non l’improbabile possibilità
di restare “al di fuori del sistema”,
un’opportunità per riappropriarsi
del proprio lavoro e del proprio
tempo, in definitiva della propria libertà.
È una scelta che ridefinisce i
concetti stessi di ricchezza e povertà,
di benessere e qualità della vita,
di “produzione” e “consumo”.
In questo panorama, dove la
resistenza, o meglio le resistenze,
appaiono una realtà fertile e creativa,
in contrasto coll’aspetto decadente
dell’Impero Occidentale, lo scoglio maggiore da superare appare
proprio la possibilità di accesso
alla terra da coltivare: in Italia
come in altri paesi le terre agricole
sono oggetto di processi di concentrazione
della proprietà e speculazioni
legate a un’urbanizzazione insensata
e miope: più di 3 milioni di
ettari (equivalenti alla superficie di
Lazio e Abruzzo) sono stati urbanizzati
in soli 15 anni, dal 1990 al 2005.
La terra rimane ancora un bene rifugio
per gli investimenti, mentre
le abitazioni rurali appaiono spesso
supervalutate in vista di utilizzi
residenziali o turistici, più redditizi
rispetto all’attività agricola, almeno
nelle regioni del Nord.
Il paesaggio rurale si trasforma
così in un valore aggiunto per
le villette e le aree residenziali, i
cui abitanti vivono come in città,
slegati dal contesto locale. La crescita
dell’urbanizzato e delle infrastrutture
della viabilità sottraggono
terra alla produzione alimentare
locale: in Italia al milione di ettari
urbanizzati (relativi al 2007) corrispondono
i 60 milioni di quintali
di grano tenero che nel nel 1975
producevamo sui nostri campi e
che oggi importiamo; in pratica su
quattro chili di pane che consumiamo,
tre derivano oggi da frumento
importato.
Tra le dinamiche generali
dell’agricoltura si registrano ancora
l’accentramento dei terreni
da parte delle aziende di maggiori
dimensioni, l’incremento dell’età
media degli agricoltori, l’aumento
della superficie agricola in stato di
abbandono e quindi del bosco (anche
a causa della Politica agricola
Comunitaria), dovuta anche alla
minore redditività dei poderi montani,
così numerosi nel nostro paese,
insieme alla meccanizzazione
e all’organizzazione industriale
dell’agricoltura. Poderi e strutture rurali che
garantivano la biodiversità, gli
equilibri ecologici, la bellezza del
paesaggio e, in fin dei conti, la specificità
stessa del territorio italiano.
L’agricoltura si trova così stritolata
da un lato dalla crescita priva
di regole dell’urbanizzato e,
dall’altro lato, dall’aumento dei boschi
e dell’incolto: secondo uno studio
che registra le trasformazioni
dell’uso del suolo dal 1990 al 2006
il 48% dei cambi d’uso sono dovuti
all’urbanizzazione e il 40% da forestazioni.
Tutto questo mentre ci
sono giovani che desiderano avere
terra da coltivare, magari in modo
biologico, ed esiste una domanda
crescente di prodotti locali che rispettino
l’ambiente e il lavoro.
In questo contesto sono nate
e si sono sviluppate le esperienze
alternative dei GAS, delle reti come
Genuino Clandestino, dei soggetti
che operano per la sopravvivenza e
la ricostituzione di una piccola agricoltura
biologica e contadina diversificata,
in grado di offrire prodotti
per il consumo locale.
Promuovere l’agricoltura ecologica
e contadina, allora, significa
anche favorire lo scambio di informazioni
e rivendicare il diritto
di accedere alla terra. Per questo
CampiAperti supporta, sul proprio
territorio, le persone che hanno intenzione
di avviare un’attività agricola,
non solo per diventare produttori
e accedere ai mercati, ma per
favorire l’insediamento rurale.
Fare agricoltura biologica, infatti,
non vuol dire solamente fornire
“prodotti” sani e che rispettino
l’ambiente, ma anche vivere e far rivivere
le campagne e le montagne,
contribuire a disegnare un paesaggio
armonico, un ambiente sano, a
generare nuove relazioni tra urbano
e rurale attraverso una nuova economia.
L’ACCESSO ALLA TERRA È UN PROBLEMA COMUNE.
Oggi un aspirante contadino
pu˜ percorrere strade alternative
per insediarsi in
agricoltura ma ogni percorso
presenta insidie e ostacoli di
carattere economico.
Acquistare un podere significa
spendere centinaia di migliaia di
euro a cui se ne dovranno aggiungere
altrettanti per la ristrutturazione
degli edifici e l’avviamento
dell’attività agricola. Con qualunque
attività agricola è impossibile
immaginare di ammortizzare questi
investimenti in un numero ragionevole
di anni (e forse anche in numero
non ragionevole...).
Tentare la strada dell’affitto,
di solito richiede notevoli investimenti
per la sistemazione degli
edifici e l’avviamento dell’attività e
non dà molte garanzie a chi sceglie
un lavoro dai margini di guadagno
incerti e dalle pensioni ridicole. In
più i proprietari di poderi agricoli,
almeno nelle valli della provincia
di Bologna, sono generalmente
restii a concederli in affitto. La questione
centrale è che la terra, mezzo
necessario per produrre ogni bene
di sostentamento, è sottomessa alla
proprietà privata. Questo consente
di investire e speculare senza considerare
la sua prioritaria importanza
per la nostra sopravvivenza.
Osservando il nostro Appennino
pare che già da tempo in molti
considerino le proprie terre e i propri
rustici come dei salvadanai da
conservare e lasciar cadere in rovina,
aspettando probabilmente che
qualche piano regolatore conceda
l’edificabilità. E in questi giorni appaiono
sui giornali finanziari opinioni
di economisti americani che indicano
la terra agricola come miglior
investimento in questi tempi di crisi.
L’unica via per cambiare le
cose e per rendere praticabile il
percorso all’accesso alla terra oggi,
ma anche nel futuro, è affermare la
valenza della terra in quanto bene
comune. CampiAperti e MAG6 (Cooperativa
di Mutua Auto Gestione di
Reggio Emilia, che si occupa di finanza
etica e critica) riflettono sulla
possibilità di elaborare insieme un
progetto.
Per ora si è alla ricerca di uno
strumento giuridico ed economico
che permetta di gestire la proprietà
collettiva di terre ed edifici
da concedere in uso ad aspiranti
contadini, che si impegnino a condurre
le attività agricole nel rispetto
dell’ambiente e degli altri esseri
viventi. L’appuntamento di Genuino
Clandestino è l’occasione per confrontarsi
con le altre realtà interessate
a sviluppare questo progetto e
con quelle che rappresentano dei
buoni modelli.
In Francia, l’associazione Terre
de Liens, dopo diversi esperimenti
di acquisti collettivi, nel 2007
ha creato una società per azioni e
nel 2010 una fondazione. Dal 2007
grazie agli azionisti (che non vengono
remunerati per il loro investimento
ma ricevono un interesse pari
al tasso di inflazione) e ai donatori
(di terra o denaro) l’associazione ha
dato in gestione 71 fondi agricoli
per un totale di 1900 ettari, dove vivono
e lavorano 220 persone.
Così recita la presentazione
dell’associazione e da questo si potrebbe
partire: “Valorizzando la dimensione
collettiva e solidale per
l’accesso alla terra e la sua gestione,
i membri di Terre de Liens agiscono,
stimolano, dibattono e sostengono
gli stili di vita e le pratiche
agricole sostenibili per l’umanità e
il pianeta. Terre de Liens partecipa
così a ricreare una responsabilità
individuale e collettiva per la conservazione
del bene comune che la
terra rappresenta”.
NYELENI 2011 - IN AUSTRIA IL PRIMO
FORUM EUROPEO SULLA SOVRANITÀ ALIMENTARE.
“Il diritto dei popoli a gestire
le politiche agricole più legate
alle proprie necessità, nel rispetto
dell’ambiente”: è l’oggetto del 1º
Forum Europeo sulla sovranità alimentare
- detto di Nyeleni - tenuto a
Krems, in agosto, dove oltre 400 delegati
di 34 Paesi europei si sono impegnati
a rafforzare la loro capacità
collettiva di rivendicare il controllo
della comunità sul sistema alimentare,
per resistere al sistema agro-industriale
ed espandere e consolidare
un forte movimento europeo per
la Sovranità Alimentare.
Il Forum ha adottato la prima
Dichiarazione europea sulla Sovranità
Alimentare con un Piano d’azione
in 5 punti:
01. Lavorare per la costruzione di
un modello di produzione e consumo
del cibo ecologicamente sostenibile
e socialmente giusto, basato
su un’agricoltura non industriale e di
piccola scala, e su sistemi di trasformazione
e distribuzione alternativi;
02. decentrare il sistema di distribuzione
degli alimenti e accorciare la
filiera tra produttori e consumatori;
03. Migliorare le condizioni di lavoro
e gli aspetti sociali del lavoro, in particolare
nel campo dell’agricoltura e
della produzione di cibo;
04. democratizzare il processo decisionale
sull’uso dei beni comuni (terra,
acqua, aria, saperi tradizionali, sementi
e bestiame);
05. Assicurarsi che le politiche pubbliche,
a tutti i livelli, garantiscano la
vitalità delle aree rurali, prezzi equi
per i produttori di cibo e alimenti sicuri
e OGM-free per tutti.
In questo momento di instabilità
politica, crisi sociale ed economica,
i delegati del Forum Nyéleni
Europa 2011 hanno riaffermato il diritto
di tutti i popoli a definire i propri
sistemi agricoli e alimentari, senza
danneggiare persone e risorse
naturali, come prescrive il principio
della Sovranità Alimentare. I principi
che si sono affermati sono quelli che
muovono CampiAperti e lo spazio
europeo e mondiale indicati aprono
ancora di più e rafforzano anche gli
obiettivi che intendiamo raggiungere
con la nostra esperienza.
CERTIFICATI DI CARTA E RELAzIONI UMANE.
Quando iniziò l'esperienza del primo mercato
di produttori biologici a Bologna eravamo
già consapevoli dei limiti della certificazione
burocratica ufficiale, essendo noi quasi tutte
aziende certificate da organismi di controllo
riconosciuti. Ma, pur apprezzando e praticando
le indicazioni dei disciplinari di produzione
europei per l'agricoltura biologica, iniziammo
un percorso verso una forma più semplice ma
altrettanto efficace di garanzia che avesse anche
ulteriori criteri e obbiettivi di sostenibilità
ambientale e sociale.
Il primo passo fu quello
dell’autocertificazione (sul modello
dell’ASCI), unita ad una scheda
di presentazione del produttore da
esporre ai mercati. In pratica contadini,
allevatori e trasformatori di
prodotti biologici che volevano partecipare
ai mercati si presentavano
all’assemblea, raccontavano la loro
storia, le modalità di produzione e
- se garantivano di rispettare le indicazioni
del regolamento europeo
- venivano automaticamente ammessi
alla vendita nei mercati (anche
se non possedevano una certificazione
da organismi di controllo).
Col tempo però questa forma
estremamente libera di mercato,
che si basava di fatto sulla responsabilità
individuale, mostrò anch’essa
dei limiti, ovvero: le persone disoneste
e gli stronzi ci sono anche
fra i contadini biologici (certificati o
meno) e la comunità che negli anni
si era creata attorno al mercato aveva
il diritto/dovere di difendersi.
Così, produttori e consumatori
insieme, iniziammo ad elaborare
un regolamento più preciso (dove
una delle norme fondamentali è
che i prodotti oltre ad essere biologici
devono essere esclusivamente
di produzione propria) e modalità
di accoglienza per i nuovi produttori
che si fondassero su una conoscenza
diretta più approfondita da
parte della comunità, e quindi su
una responsabilità collettiva.
Anche se tutto questo può
apparire rigido e talvolta ci hanno
accusato di essere divenuti a nostra
volta dei “burocrati”, questa prassi
dell’Autocertificazione Partecipata
è estremamente semplice e aperta
al cambiamento, tutte le volte che la
comunità del mercato lo ritiene necessario.
Attualmente abbiamo definito
una prassi valida per tutte le
richieste:
01. Una chiacchierata al mercato, in
cui il contadino spiega le ragioni della
sua richiesta, la sua attuale situazione,
i prodotti che fa, dove e come.
02. Una visita all’azienda, da parte di
un gruppo di contadini / allevatori
(di cui almeno uno della stessa tipologia
di prodotto) e di cittadini soci.
In cui si vedono i campi, gli animali,
gli strumenti, i luoghi della trasformazione,
la fonte d’acqua, il magazzino
e si conoscono gli eventuali braccianti
o operai agricoli dipendenti.
03. Una relazione all’assemblea generale
da parte del gruppo che ha
partecipato alla visita. Con pareri,
critiche e osservazioni sull’azienda.
L’assemblea generale decide
se accettare o meno il produttore.
Se sì, questo viene invitato
all’assemblea di mercato a cui
ha fatto richiesta di partecipazione
o nel mercato dove c’è più spazio
per le sue produzioni, si presenta
agli altri contadini e insieme si
decide il posto del suo banco e la
data di inizio della sua presenza.
Nell’assemblea di mercato
il parere dei contadini che hanno
lo stesso prodotto è importante
per decidere il momento dell’arrivo
del nuovo produttore. Ma non
può fermare la sua entrata per concorrenza
di prodotti. Il loro parere
vale tanto quanto quello degli altri
contadini dell’assemblea. Ogni
nuovo arrivo è considerato un arricchimento
del mercato, in quanto
permette a questo di ingrandirsi,
e di ampliare l’offerta, quindi permette
un ampliamento della comunità
di cittadini e contadini.
Con la visita in azienda CampiAperti
vede e conosce i campi di
quel contadino, ma la conoscenza
non termina in quel momento. Si
potrebbe dire che il controllo inizia
propriamente quando quel contadino
inizia a montare tutte le settimane
il suo banco al mercato. È lì,
nel luogo del mercato, che tutti gli
altri contadini verificano che i prodotti
esposti provengono effettivamente
dai luoghi che hanno visto.
La quantità e la qualità del
prodotto, di settimana in settimana
testimoniano la loro provenienza.
Nonché la relazione con il contadino
stesso, gli scambi di pareri sulla
situazione delle colture, le malattie,
la raccolta, permettono il maturare
di una fiducia reciproca.
Se così non accade, se il suo
banco si amplia a dismisura con
prodotti nuovi, allora si teme che
qualcosa non vada. In quel caso si
ritorna a fare una visita, e si parla
con lui della situazione.
A volte persone sono state
allontanate perché scoperte a portare
al mercato prodotti non propri,
e quindi a fare compra-vendita
invece di vendita diretta. In
molti casi di questo si è accorta la
comunità di cittadini che frequenta
i mercati e che lo ha segnalato a
CampiAperti, oppure lo hanno notato
gli stessi soci.
RECENTEMENTE dOpO MEsI dI dIbATTITO
AbbIAMO INsERITO NEL REGOLAMENTO
IL RIspETTO dEI dIRITTI dEI LAvORATORI
pER ChI sI AvvALE dI MANOdOpERA
sALARIATA E LA vERIfICA dI qUEsTO dA
pARTE dELL'AssOCIAzIONE.
Alle sorelle e ai fratelli della Valle che resiste.
Siamo contadine e contadini che ogni giorno difendono
la propria Terra con una resistenza silenziosa fatta di
tanti piccoli gesti, di fatica e sudore, di passione e amore.
Curiamo la Terra perchè domani anche i nostri figli e i
nostri nipoti possano vivere con Lei, ci preoccupiamo di
conservarne la fertilità e la biodiversità. Produciamo cibo
sano e genuino ma spesso fuorilegge (per le normative
sanitarie che ci equiparano alla produzione industriale),
per noi e per la città. Cerchiamo di mettere il nostro
granello di sabbia autorganizzando mercati di vendita
diretta, dove cerchiamo di costruire e far vivere anche
una nuova socialità.
Siamo cittadine e cittadini consapevoli (molti ci
definiscono semplicemente consumatori). Rivendichiamo
il diritto ad una buona alimentazione, ci preoccupiamo
per la difesa dell’ambiente e della Terra, crediamo
in relazioni sociali non mercantilizzate. Per questo
appoggiamo le contadine ed i contadini che producono
cibo sano, rispettando l’ambiente ed il lavoro. Per
questo che disobbediamo, insieme a loro, animando
i mercati contadini autogestiti e acquistando i loro
prodotti. Insieme facciamo parte di Genuino Clandestino,
movimento di resistenze contadine che da quasi due anni
prova a ragionare insieme per salvaguardare l’agricoltura
contadina, custode della biodiversità, garanzia di cibo
sano e cammino valido per la sovranità alimentare. Vi scriviamo per esprimervi appoggio. Perché la vostra
lotta a difesa del territorio è anche la nostra. Perché
la vostra opposizione alla distruzione camuffata da
modernità parla anche dei nostri gesti quotidiani. La TAV
è il simbolo di un modello di sviluppo secondo il quale
sono più importanti le merci e i profitti delle persone e
dei territori. Un modello di sviluppo che non ci piace e
contro il quale quotidianamente ci battiamo con le nostre
pratiche, con i nostri mercati autogestiti. Vi scriviamo
per dirvi che vi ammiriamo, nella vostra forza, nel vostro
coraggio, nella vostra dignità, nel vostro amore per la
Terra, nella vostra generosità (per ciò che state dando a
tutte e tutti). In altre parole, per la vostra degna Resistenza.
Vi scriviamo infine per esprimervi la nostra indignazione.
Per come dall’alto continuano ad ignorare il no (caparbio,
deciso, consapevole, documentato) della popolazione.
Per come hanno occupato militarmente la vostra Valle.
Per come stanno avvelenandovi ogni giorno, con l’uso
criminale dei Gas CS. Per come stanno avvelenando
anche i maestosi boschi e la Terra che circonda La
Maddalena. Per la vergognosa campagna mediatica,
a suon di falsi scoop e di veline in divisa, che vi stanno
orchestrando conto, con in primis La Repubblica paladina
del “cambio, si ma non troppo”. Sentiamo di condividere
cammini, sogni, resistenze. Per questo in Noi troverete
sempre appoggio, conforto, aiuto.
Con la Valle che resiste
Contadini e cittadini di Genuino Clandestino
(Fine luglio 2011)
Genuino Clandestino
È più sana una pagnotta confezionata in un grande stabilimento agroalimentare o una pagnotta di farina di grano biologico impastata a mano dal contadino di fiducia? Per noi non c’è paragone, ma per qualcun altro sì. Genuino Clandestino è una campagna promossa da CampiAperti per denunciare un insieme di norme ingiuste che, equiparando i prodotti contadini trasformati a quelli delle grandi industrie alimentari, li rende fuorilegge. Aiutaci a cambiare le cose. Difendi i prodotti genuini clandestini.
Clandestino…
Le normative igienico-sanitarie attualmente in vigore impongono a chiunque si occupi della trasformazione di prodotti alimentari, indipendentemente dall’entità della produzione e dal tipo di lavorazione, di dotarsi di laboratori specializzati, che rispettino determinati standard di dimensioni e attrezzature.
Queste leggi sono state pensate per regolamentare l’attività delle grandi industrie agro-alimentari, che lavorano con grandi quantità di prodotto e di manodopera. Allo stesso tempo, però, ignorano le piccole realtà contadine, caratterizzate da produzioni piccole e di altissima qualità, in cui la manodopera consiste il più delle volte nel solo produttore.
Secondo queste normative, circa il 20% dei prodotti venduti oggi nei mercati di CampiAperti sono fuorilegge1.
… ma Genuino!
Siamo produttori biologici. Utilizziamo risorse abbondanti come il tempo e il lavoro umano e risparmiamo quelle preziose come l’acqua e la terra. Non abbiamo i mezzi necessari per affrontare la spesa di messa a norma di un laboratorio, ma non vogliamo essere considerati fuorilegge.
Recentemente, in Abruzzo, una deroga regionale alla legge nazionale ha stabilito una distinzione tra gli standard igienico-sanitari imposti alle grandi industrie e quelli imposti invece ai piccoli produttori. Questo ha permesso a molti contadini di mettersi in regola e costituisce un precedente importante, che fa ben sperare per il futuro anche in altre regioni.
Con la campagna Genuino Clandestino, noi di CampiAperti denunciamo un insieme di norme ingiuste che, equiparando i nostri prodotti trasformati a quelli delle grandi industrie alimentari, li rende fuorilegge. Facendolo, rinnoviamo la politica di trasparenza che da sempre manteniamo nei confronti dei nostri consumatori. Indichiamo loro quali sono, nei nostri mercati, i prodotti non a norma secondo la legge italiana, e li invitiamo a difenderli e a diffonderli, perché tutti sappiano che sono genuini e affidabili.
1 I prodotti genuini clandestini appartengono a queste categorie: Pane e prodotti da forno, Vino, Conserva, Farina e granaglie, Pasta fresca, Uova, Miele, Prodotti da Erboristeria.
CAMPIAPERTI associazione di contadini e coproduttori per la sovranità alimentare .
Accesso alla terra
All'interno di Campiaperti è nato un gruppo di lavoro sull'accesso alla terra che attraverso la rete nazionale di Genuino Clandestino si è collegato ad altre persone e realtà che in tutta Italia condividono questioni pratiche e una visione comune.
La vendita diretta, l'autogestione dei rapporti economici e le nuove relazioni solidali che si possono instaurare tra produttori e co-produttori costituiscono un'alternativa praticabile per i contadini e sempre più richiesta dai cittadini che desiderano un cibo sano, prodotto senza ingiustizie verso i lavoratori e verso la terra. Mentre la domanda cresce e, nella nostra esperienza, anche il numero delle persone che aspirano a diventare contadini, le difficoltà di carattere economico e burocratico rappresentano i maggiori ostacoli, ancora più dell'incertezza di generare un reddito dignitoso.
Il gruppo è stato costituito inizialmente da persone che da tempo stanno cercando poderi, in provincia di Bologna o in zone limitrofe, chi in affitto e chi in vendita, ma si scontrano contro le dinamiche della rendita, della concentrazione delle proprietà terriere, dell'abbandono, mentre le statistiche danno l'agricoltura in declino, con uno scarso ricambio generazionale, la perdita di suolo coltivabile, il conseguente aumento del rischio idrogeologico, per non parlare della cementificazione selvaggia, della speculazione edilizia, in definitiva della diffusione di un modello di sviluppo omologante e predatorio. Ora il gruppo comprende anche persone non direttamente coinvolte nella ricerca di terra da coltivare, come è nella sua natura. Questo progetto infatti vuole offrire un appoggio concreto a chi intende insediarsi in ambienti rurali e vivere di agricoltura ma vuole anche coinvolgere i cittadini nella questione. tutti dipendiamo dalla terra e tutti dovremmo sentircene responsabili
L'aspirazione a coltivare la terra in modo sostenibile, oggi, non può che passare dal riconoscimento del fallimento dell'attuale modello di sviluppo, che consuma territorio fertile, producendo rifiuti e cemento, mentre erode la socialità e le relazioni, oltre alla qualità della vità.
Al di là del desiderio degli aspiranti contadini di accedere a un'attività economica, che è anche uno stile di vita e un mezzo di tutela del territorio, il lavoro che vogliamo portare avanti è anche la rivendicazione della terra è un bene comune, da preservare per le generazioni future. Speriamo di tessere una fitta rete di relazioni con persone e realtà che condividono questa visione e possano condividere questo cammino.
Promuovere l'agricoltura ecologica e contadina significa anche favorire lo scambio di informazioni e rivendicare il diritto di accedere alla terra, non solo per diventare produttori, ma per favorire l'insediamento rurale e il presidio del territorio secondo logiche di riproduzione e non di sfruttamento.
Fare agricoltura biologica, infatti, non vuol dire solamente fornire “prodotti” sani e che rispettano l'ambiente, ma anche vivere e far rivivere le campagne e le montagne, contribuire a disegnare un paesaggio in equilibrio e generare nuove relazioni tra urbano e rurale.
Per questo stiamo lavorando anche a un progetto concreto.
Progetto di Azionariato Popolare
Si tratta di un progetto che funzioni come un vero e proprio sistema di investimenti, per acquistare terreni da affidare in gestione ad agricoltori che a loro volta si impegnano a coltivare la terra rispettando i criteri dell'agricoltura biologica e contadina. Un primo momento di confronto e diffusione di questa proposta c'è stato a durante la settimana Genuina Clandestina a Bologna.
Bisogna riconoscere che in Europa sono molto più frequenti che in Italia i casi di acquisto di beni che rimangono di proprietà collettiva. All'incontro dell'1 ottobre a Settefonti (Bologna), era presente Urupia, comune libertaria nel Salento nata grazie a una raccolta fondi da parte di un gruppo composto prevalentemente da comunarde italiane e tedesche. Ma siamo stati molto contenti di scroprire e ospirare all'appuntamento rappresentanti di Terre de Liens, che in Francia è associazione, "fiduciaria" (foncière) e fondazione, e svolge un enorme lavoro di comunicazione e ricucitura sul territorio e raccoglie investimenti e donazioni da investire nell'acquisto di terreni, destinati all'agricoltura biologica (non necessariamente certificata). Terre de Liens in pochi anni ha raggiunto un capitale di 22 milioni di euro e ha rilevato più di 70 poderi, dati in gestione con contratti di affitto convenienti per gli agricoltori e soprattutto di lunga durata
Al momento, grazie alla collaborazione con Mag6 di Reggio Emilia, ente di finanza etica, stiamo lavorando a un progetto di investimenti e acquisto terreni che possa essere adattato al caso italiano. L'idea è di creare un modello, basato su un caso concreto, anche per aiutare le persone che attualmente all'interno dell'associazione stanno cercando un podere, ma anche di dare occasione ad altri soggetti di ripetere l'esperienza, un progetto quindi che possa essere replicabile, una volta adattato ovviamente alle singole situazioni locali.
Gli investitori, condividendo i valori e il progetto, possono acquistare delle quote con le quali si raccolgono i fondi per l'acquisto di terreni e immobili, mentre l'affitto pagato dai neo-contadini copre le spese fiscali e di gestione dell'operazione finanziaria. Trattandosi di progetti a lungo termine sarebbe auspicabile che anche gli investimenti lo fossero. In ogni caso gli investitori, facendone domanda, verranno risarciti del valore delle proprie quote.
E' possibile iscriversi alla mailing list del gruppo di lavoro ed essere informati su attività, incontri e stato di avanzamento del progetto.
Per informazioni: atrapasuenos (at) inventati.org
Accesso alla Terra. Una proposta politica
Yo pregunto a los presentes
si no se han puesto a pensar
que esta tierra es de nosotros
y no de el que tenga màs...
Con accesso alla terra si può intendere varie cose, com'è risaltato anche dall'assemblea genuina clandestina di Perugia. In questo caso mi limito a prendere in considerazione proprio il significato etimologico dell'espressione: il problema di come poter aver terra per vivere e riprodursi.
La lotta per l'accesso alla terra ha una dimensione diacronica e geografica che potremmo definire universale. Da quando la vita collettiva dell'essere umano si rompe, da quando si spezza la relazione sacrale con la Dea Madre, da quando cioè nasce la proprietà privata, ci sono uomini e donne che rimango esclusi dalla proprietà della terra, vedendo cosi messe in serio pericolo la propria possibilità di vivere e riprodursi (interessante su questo aspetto è il primo capitolo de “Il ritorno dei contadini”, Silvia Perez Vitoria, Jaca Book). “Dalla notte dei tempi” fino ad oggi la lotta per la terra, cioè per la vita, non è mai cessata, anzi è cresciuta proporzionalmente alla concentrazione in poche mani della sua proprietà.
A qualsiasi latitudine e longitudine, uomini e donne hanno lottato e lottano per un pezzo di terra. Oggi Via Campesina, straordinario sindacato internazionale nato da quindici anni, raccoglie associazioni contadine di tutti continenti.
E nell'Italia del 2010, si può o si potrà parlare di lotta per l'accesso alla terra?
La situazione attuale: due storie esemplari La prima storia risale a fine settembre. Alla ricerca di una proprietà da comprare, cioè di qualche rudere e qualche ettaro, quattro ragazzi stanno visitando l'alta collina umbra, nella zona tra Umbertide e Preggio, tra Monte Tezio e Monte Acuto; una zona fortemente boschiva, bella, piena di casali residuo dell'antica struttura mezzadrile. Attualmente la maggior parte dei casali si presentano , seppur visti da lontano, ben ristrutturati. Ma l'attenzione dei ragazzi si concentra verso qualcosa in apparenza di molto più accessibile: un rudere con una cubatura complessiva sui 500 mq, con intorno una ventina di ettari tra bosco tagliato quest'anno e qualche seminativo scosceso e pieno di rovi. Quando il proprietario spara il prezzo cade il gelo: 600 000 euro. I ragazzi s'indignano e parlano di follia, il proprietario, un anziano contadino amabile, spiega che gli americani hanno comprato e stanno comprando per cifre ben maggiori. -Tanto-aggiunge- ristrutturano e ci fanno case vacanze da 1200 euro al giorno. Però ci mettono tutto eh...piscina, campo da tennis, uno persino il minigolf ha fatto...-
La Terra, le nostre campagne trasformate in residenze e/o parchi divertimento per ricchi. O ancora per centro di relax per stressati dal bussiness e dalla città. I prezzi schizzano alle stelle. E chi la Terra la vorrebbe per viverci e riprodursi spesso costretto, per mancanza o inadeguatezza delle proprie risorse finanziarie, a rimanere a guardare...
La seconda storia dura circa un anno e mezzo e ha un triste epilogo (o almeno così pare) il 20 luglio di quest'anno. E' la storia del “Progetto Casa Bandita”, ossia del tentativo di recupero di due casali e di dodici ettari di proprietà demaniale nel parco del Monte Subasio attraverso un progetto di educazione ambientale ed agricoltura biologica. Dopo un anno e mezzo di lavoro sul territorio, di pressioni, di tira e molla, di lotta, dopo la costituzione di una cooperativa che comincia a fare educazione ambientale e a lavorare con le comunità locali, finalmente a fine giugno esce il bando. Non il migliore dei bandi possibili, non la migliore situazione possibile, ma finalmente la possibilità concreta di entrare in possesso di questi beni demaniali. Il collettivo Casa Bandita sistema il progetto, cresciuto in quest'anno e mezzo, e compie tutte le formalità giuridiche e formali (assurde, pallosissime, irritanti). A tre giorni dalla scadenza del bando, il 17 luglio, la bomba:-Se presentate il progetto il bando verrà annullato- riferisce Marco Galli, direttore della Comunità Montana dei Monti Martani, Serano e Subasio, che poche ore prima aveva ricevuto la telefonata intimidatoria di Stefano Guerrini, potente e temutissimo funzionario regionale a capo del demanio in Umbria. “Ti stai facendo cazzi che non sono tuoi, attento al posto di lavoro e alla carriera” minaccia al direttore, colpevole di essersi messo contro per far uscire finalmente il bando. Già perchè l'ingegnere Guerrini le aveva provate tutte in questo anno e mezzo, arrivando anche a plateali scontri pubblici con l'ex assessore Riommi e tentando, tra febbraio e marzo, di far sparire la delibera della giunta regionale del 5 febbraio che autorizzava la CM a mettere a bando i beni demaniali in questione. Guerrini, potente funzionario che gestisce il demanio come se fosse roba sua. Visione privatistica della proprietà pubblica, gestione affaristica e personalistica di tale proprietà.
Lui gestisce le vendite, lui strozzina vecchi affittuari costringendoli a comprare, lui decide di lasciare in abbandono altri pezzi di territorio per farli svalutare e poi far fare la speculazione a qualche caro amico.
Guerrini, padre padrone del demanio in Umbria, da sempre avverso al progetto Casa Bandita perchè lui sogna grandi investimenti, piscine, cubature per il Parco del Subasio...numeri su cui è più facile speculare ed intascare rispetto al progetto Casa Bandita, valido politicamente, eticamente e socialmente ma con pochi investimenti...Morale della favola: il bando viene annullato il 20 luglio, giorno in cui scade, nonostante l'appoggio al progetto della com mon., del comune di Nocera Umbra, della CIA, di Sviluppumbria
Il demanio in Umbria non è proprietà pubblica, ma è dell'ing. Stefano Guerrini. Al massimo può diventare fonte di speculazione, luogo per ricchi e turisti... ma non sia mai che venga assegnato a chi della terra vuole vivere,
a chi quel territorio vuole proteggere e conservare. E nelle altre parti d'Italia? Quanti Ing. Guerrini ci sono? Che fine fanno le terre demaniali, in che stato sono?
La domanda - In Italia attualmente esiste un problema dell'accesso alla terra, cioè esistono molte donne e uomini che vorrebbero tornare alla Terra, di essa vivere e con essa convivere, ma che per ragioni economiche non possono permetterselo? O non vi possono accedere perchè le terre demaniali, numerose e spesso
abbandonate, sono considerate proprietà privata e fonte di speculazione per burocrati e politici?
In Italia l'accesso alla Terra si configura come esigenza di pochi o come necessità sociale? C'è una forza sociale che ci consenta di parlare di lotta per la terra, di rivendicazione del diritto alla terra?
O è la percezione distorta di chi queste terre desidera e anela?
La proposta politica - Nel caso che la risposta alla suddetta domanda sia che il problema dell'accesso alla terra sia che è un problema che riguarda poche e pochi personalmente ritengo sia difficile costruirci sopra una lotta ed una rivendicazione politica. Ciò non significa che chi cerca di accedervi debba rinunciarvi o che non debba lottare per questo, ma penso che in questo caso non ci sia la possibilità di costruirvici un'adeguata campagna nazionale per cercare consenso sociale, di aprire un significativo ciclo di lotte che affronti il potere frontalmente costringendolo ad una redistribuzione diffusa delle terre demaniali.
Nel caso in cui invece consideriamo che sia un'esigenza sociale diffusa, che ci siano le forze, le capacità e le volontà, è nostro dovere aprire una discussione pubblica per l'organizzazione di un movimento che rivendichi il
diritto alla terra. All'interno di Genuino Clandestino, movimento di resistenza contadina che comincia a muoversi, unica realtà italiana in grado di raccordarsi e raccogliere il testimone della lotta globale dei contadini e delle contadine di Via Campesina, potremmo cominciare a discutere e ad organizzarci quanti e quante stiamo rivendicando o vorrebbero rivendicare il diritto all'accesso alla terra. L'incontro di Napoli è lontano e c'è il tempo per lavorare, per vedere se nella prossima primavera possiamo lanciare una campagna nazionale per il
diritto alla terra. Una campagna pubblica, fatta di incontri, lotte, occupazioni, pressioni, inchieste, richieste per aprire una grande vertenza per la redistribuzione delle terre demaniali.
Ci sono le condizioni, ci sono le forze, c'è l'interesse, c'è la volontà per la nascita in Italia di un movimento dal basso e autorganizzato che possa gridare “La terra è di chi la lavora e di chi la difende?”. C'è la possibilità, all'interno di Genuino Clandestino, di lanciare il Movimento dei Senza Terra italiani?
(di Fabio Santori)
venerdì 7 maggio 2010 - Accesso alla Terra
Costruzione Incontro e Mobilitazione
La crisi economico ambientale causata dal capitalismo comincia a provocare piccole inversioni nei fluissi di mobilità dalla campagna alla città, che hanno caratterizzato il mondo dagli anni '50 in poi. Piano piano sempre più persone volgono lo sguardo e la propria progettualità al campo, spesso in fuga da città ormai invivibili e insalubri. Sulla carcassa agonizzante (quanto ancora distruttiva) del capitalismo nuovi paradigmi accompagnano la ricerca di un altro stile di vita, di un altro bioritmo, di un'altra alimentazione, di nuove relazioni.
In questo scenario una nuova generazione comincia a tornare al campo, cercando nelle attività e nella vita contadina una maniera di sfuggire alla tremenda precarietà della metropoli postmoderna e con l'intento di costruire nuove relazioni sociali, ambientali, economiche. Insomma una generazione politica che fa del ritorno alla terra e all'agricoltura contadina una strada per la realizzazione della propria persona e uno strumento di lotta politica per la costruzione di una società post-capitalista.
Però anche questa prospettiva sembra scontrarsi con il problema della proprietà dei mezzi di produzione, cioè con l'accesso alla terra.
"Chi vuole oggi terra in Italia ? Ce ne sono d'avanzo!" penseranno molti.
Invece almeno tre elementi hanno fatto si che accedere alla terra in Italia richieda una discreta quantità di soldi. Innanzitutto la geografia della penisola, con una disponibilità limitata di terre buone, quasi sempre ad appannaggio dell'agribusiness (in Umbria basta vedere il rapporto con il tabacco). Poi la bellezza delle nostre campagne le ha fatte diventare mete per un turismo in forte espansione, spesso d'elite; c'è quindi la tendenza, che ormai investe appieno anche le nostre zone, a trasformare il campo nel salotto per ferie (se non quando vero e proprio centro terapeutico) per ricche e ricchi stressati. Infine la gestione personalistica della proprietà demaniale, che vede il politico di turno a custodire ingenti pezzi di territorio nell'abbandono in attesa che diventino appetibili per qualche speculazione privata.
Ancora una volta la necessità di denaro a voler ingabbiare sogni e fermare cammini. Una situazione insopportabile, soprattutto per chi ha deciso di voltare le spalle al sistema e invece lo ritrova così pesantemente a intervenire sulla propria vita.
E così nel 2010 l'accesso alla terra in Italia torna nell'agenda dei movimenti. Mentre in molte altre parti del mondo è stato sempre uno dei fronti più avanzati delle lotte anticapitaliste, attorno a cui si sono sviluppate esperienze importanti e concrete di costruzione dell'altro mondo possibile (penso agli zapatisti, al MST brasiliano ,etc).
Logicamente la nostra attenzione si rivolge al cospicuo patrimonio demaniale, che addirittura in molti casi versa in stato di abbandono. Un patrimonio costituito da zone marginali (dorsale appenninica, alta collina, valli isolate) poco attraenti e adatte all'agribusiness o ad altre forme di speculazione, ma che da sempre hanno caratterizzato l'agricoltura e le civiltà contadine in Italia.
Beni spesso ostaggio, per incuria o per malafede, delle amministrazioni e burocrazie locali.
Il territorio e i suoli coltivati sono considerati dal potere ancora come terreno da sfruttare in maniera intensiva e con strategie per creare ulteriori e nuove forme di dipendenza nello strato sociale (OGM). A livello politico la grave crisi economica e la conseguente disoccupazione fanno ripensare all'agricoltura come scialuppa di salvataggio. Così nell'arco costituzionale diverse forze hanno cominciato ad accennare al tema della redistribuzione delle terre demaniali. In primis la Lega, che sull'agricoltura ha portato avanti una politica complessa e non scontata, come dimostra anche l'operato di Zaia come ministro. Ma dobbiamo saper leggere e contrastare questa proposta politica, che con tutto il suo appeal demagogico sembra far presa su molte persone. In primis per l'insopportabile razzismo caratteristico della politica leghista: "Terra ai giovani...purché italiani". E poi perchè vincola questa eventuale redistribuzione sempre ad una visione accentuatamente produttivista dell'agricoltura, un sentire quanto mai lontano dai giovani che tornano alla terra per passione, un modo d’intendere il rapporto con l’ambiente che diviene la vera sfida che ci si profila da affrontare a livello educativo.
Infatti nel momento in cui sembra muoversi qualcosa a livello politico e si aprono possibili scenari, dobbiamo saper vincolare con forza il tema dell'accesso alla terra a programmi e progetti di uso sostenibile di questa e di conservazione e tutela del paesaggio e della biodiversità.
Perchè "La Terra è di chi la lavora" , come rivendicava esattamente 100 anni fa Emiliano Zapata, oggi non basta più di fronte al grado di deterioramento del nostro ecosistema. Oggi è necessario aggiungere che la Terra è si di chi la lavora, ma in maniera sostenibile e con rispetto e responsabilità verso le generazioni future.
C'è di più. È necessario con forza introdurre il tema della proprietà collettiva. Proprio ora che gli usi civici vengono presi di mira da una strumentale regolarizzazione statale per la mancanza di una loro mappatura, potrebbero risultare una soluzione (adattata al contesto odierno) percorribile in una nuova proposta e rivendicazione popolare. Dunque redistribuzione delle terre a soggetti collettivi e inalienabilità delle terre assegnate.
Per discutere di tutto ciò, per costruire una lotta comune sul diritto di accesso alla terra, vi invitiamo il 5 e 6 Giugno ad una due giorni sul Monte Alago (Nocera Umbra)
adrianozaccagnini@gmail.com Roma - fabios81@libero.it Perugia
Resoconto Accesso alla Terra 5-6 giugno 2010
Incontro sul tema dell’Accesso alla Terra sul Monte Alago 5-6 giugno 2010
L’incontro sul Monte Alago, partecipato da poco più di una dozzina di persone di luoghi differenti del centro Italia, non ha prodotto alcun documento condiviso alla fine della due giorni. E’ da notare tuttavia l’impegno e la passione con cui sono state approfondite le tematiche dell’accesso alla terra senza purtroppo far emergere operatività sui territori degne di nota. Piuttosto sono state riportate le singole esperienze personali e la conferma che in alcune zone i mercatini informali sono in aumento (eg. Sibillini).
Temi importanti sono stati usi civici e terre demaniali; molto si è ragionato su cosa vogliamo dire con “diritto alla terra”, su come costruirci intorno un contenuto ed una lotta partecipata ed includente, sui percorsi per arrivare a sollecitare tale diritto con cognizione di causa ed una forza sociale reale.
E’ stata sottolineata l’importanza a livello strategico di rafforzare le reti esistenti nei territori e che logicamente saranno i capi saldi da cui sarà auspicabile far partire una rivendicazione nei confronti delle istituzioni.
Una richiesta che più manterrà il suo carattere “bioregionale” e più troverà quell’intrinseca coesione per raffrontarsi con forza nei confronti di regioni ed enti minori che detengono il demanio pubblico.
Inoltre solo attraverso pratiche di lotta in continuità sul territorio e relazioni di mutuo appoggio fra bioregioni differenti può venirsi a creare la fiducia in un coordinamento nazionale che non sia solo un cappello effimero.
Le rivendicazioni delle terre devono dotarsi in modo concreto di strumenti capaci di scavalcare le pastoie burocratiche e gli attacchi di eventuali speculatori. Ma proprio per questo prima ancora bisogna fare un lavoro di elaborazione dei contenuti. Un lavoro di responsabilizzazione ed impegno che può impiegare tempo ed energia, volto alla consolidazione di principi condivisi, tuttavia mai scontati, cui ispirarsi ogniqualvolta Genuino Clandestino si farà promotore di richieste collettive di gestione di terre.
Sono stati ricordati un po’ i motivi e le storie delle divisioni all'interno dei movimenti rurali; abbiamo riflettuto su come sia auspicabile un superamento di queste basate sul rispetto reciproco (tuteliamo la biodiversità in natura e poi siamo per il monocultivo umano? la battuta J).
Per l’appunto nonostante siano state manifestate alcune criticità riguardo la condivisione di tale percorso con la comunità urbana in lotta, sono state trovate anche le motivazioni per cui questo legame è assolutamente necessario e complementare. Dunque da alcune voci dell’incontro viene ribadita la necessità di unità delle persone nel processo di rivendicazione collettiva e la specularità delle lotte che solo apparentemente sono distanti o svincolate.
Abbiamo parlato molto di comunanze ed usi civici, cercando di capire cosa sono e le torsioni che stanno subendo. Per gli usi civici viene rimarcata l’urgenza di una loro tutela attraverso lo strumento della mappatura. Anche qui è necessario l’impiego di specifiche competenze ed energie. E’ emersa la volontà di provare a far partire una “mappatura dal basso”.
Prendendo spunto dal testo di Vandana Shiva “le comunità locali sono comunanze delle biodiversità” e vanno salvaguardate da attacchi speculativi (dello Stato stesso) e data maggiore coerenza alle loro destinazioni d’uso.
La necessità di preservare queste forme non toglie che sia importante produrre richieste di terra allegate a progetti specifici di pratiche sostenibili e ricerca, educazione ambientale e tutela della biodiversità. E’ responsabilità delle comunità viventi interagire con l’ambiente in modo differente e alle comunità-gruppi che se ne fanno carico va data la possibilità di mettere in pratica queste nuove relazioni.
Sentita è anche la necessità di svincolare una redistribuzione alla creazione di progetti che comunque hanno un valore economico e produttivo. Ciò infatti escluderebbe a priori tutte/i quelle/i che vogliono terra per coltivare per l'autoconsumo, per portare avanti una scelta di vita basata sull'autosufficienza e la decrescita, per vivere in modo libero, salubre e non mercificato.
Le proposte che avanziamo:
- una discussione teorica per definire e significare collettivamente il Diritto alla Terra;
- riteniamo importante aiutare sin da subito chi si sta mettendo in marcia offrendogli riferimenti legislativi e burocratici, ma soprattutto la bozza del progetto LaBandita già approvata dalla Regione Umbria e riproponibile ovunque. Promuovere l’autocreazione di gruppi locali che diano l’avvio ad un confronto tra quanti già hanno ottenuto terra e coloro che la cercano.
- Una mappatura degli usi civici
- Una mappatura di beni demaniali (in primis abbandonati e in disuso) che potrebbero diventare luoghi di comunità viventi con la Terra.
Ogni territorio certamente ha le risorse e i beni per avviare la creazione di realtà autosufficienti alimentarmente ed energeticamente.
Riuscire a creare una lista dei luoghi abbandonati e in disuso darebbe corpo a questo nostro sogno.
Avere segnalazioni da vari luoghi delle bioregioni porterebbe ad avere il materiale su cui lavorare insieme più concretamente.
Da molti/e è stato espresso come addirittura sia difficile capire quali sono le terre disponibili, anche per un certo ermetismo degli uffici locali competenti sul territorio, sempre restii e sospetti a comunicare le proprietà e mappe demaniali.
Ma è qua che si inserisce la passione di chi la Terra la ama e affronta qualsiasi ostacolo.
Insistere e creare fiducia nelle persone con cui parliamo.
E se proprio non vi vogliono sganciare le informazioni e qualche misera visura demaniale del bene che avete individuato e su cui state facendo qualche ricerca, allora non esitate ad appoggiarvi a noi come Mutuo Appoggio, come la Manovicina siamo pronti a supportarvi.
Come CasaBandita aìnoi abbiamo maturato esperienza in questo percorso di confronto con le istituzioni e vorremmo servisse anche ad altre/i.
Segnaliamoci i casali abbandonati, i terreni in disuso e tutto ciò che è demanio pubblico e che versa nel degrado! Diamo la disponibilità a fare da punto di raccolta e a coordinarci con le altre realtà interessate a fare da raccoglitrici per le segnalazioni.
Quanti ce ne sono? Quanti vorremmo rivedere vissuti o vivere in prima persona?
Diffusa è la voglia e l'esigenza di costruire un percorso comune tra le varie realtà o individui che hanno provato, stanno provando o vogliono provare a chiedere terra demaniale. Un cammino comune che possa servire a dar coraggio e a scacciare le paure di chi sta iniziando, e a dare forza a chi ha già iniziato. Un cammino comune che ci porti a rivendicare dal basso una redistribuzione di terre come un diritto importante e sentito.
Perchè la terra è di chi la lavora, in maniera sostenibile e responsabile.
Tutta la terra di tutti per un buco (nel bilancio e nelle Alpi)
Inquietante. Trovo inquietante la proposta che il presidente di Coldiretti, Marini, ha avanzato al Forum di Cernobbio, una proposta in linea con le reazioni più isteriche alla (cosiddetta) crisi.
Marini ha detto: “lo Stato è proprietario in Italia di 338mila ettari di terreni agricoli [...] che potrebbero essere venduti agli agricoltori per sostenere le misure necessarie al Decreto sviluppo del Governo sollecitato dall’Unione Europea. [Si tratterebbe di un] un patrimonio di 6,22 miliardi di euro a disposizione dello Stato che non ha alcun interesse a fare l’agricoltore.”
Ora, lasciamo perdere che il solo modo per non essere “sollecitati” a vendersi anche il sangue è rispedire una volta per tutte al mittente le richieste dell'UE (cioè di wall street), e il solo modo di evitare un'evoluzione greca della crisi è quello di non acconsentirvi da subito.
Lasciamo perdere, e vediamo piuttosto le motivazioni per essere del tutto contrari alla proposta.
La prima: il land grabbing, accaparramento di terra: Stati, Multinazionali, Fondi di Investimento stanno facendo incetta di terreni coltivabili. L'Italia vanta tipicità invidiate (e fraudolentemente copiate) in tutto il mondo: Marini pensa che i land grabbers si lascerebbero sfuggire l'occasione (anche di italianizzare i propri prodotti in virtù del possesso di di terreni italiani comprati ai saldi)? Ecco un articolo allarmato sul land grabbing cinese, articolo che riprende un comunicato proprio di Coldiretti (qui: www.vita.it/news/view/113420)
Secondo: se lo scopo di Coldiretti è combattere “il costo della terra principale ostacolo all’ingresso dei giovani in agricoltura” allora sarebbe saggia cosa spingere lo Stato verso la concessione in affitto di molti e molti terreni. Marini pensa che i giovani agricoltori possano competere nelle aste di vendita con i land grabbers di cui sopra? O che forse ce la possano fare i meno giovani? I contadini che ho presente io no, ma è vero che non sono quelli che frequentano il Forum di Cernobbio, né sono potenziali prestanome di governi stranieri e fondi di investimento.
Ancora: nello stesso comunicato Coldiretti si dice preoccupata perché “negli ultimi 40 anni sono andati persi quasi 5 milioni di ettari [...] per usi industriali, residenziali, civili ed infrastrutturali […] Oggi le preoccupazioni vengono dall’occupazione dei terreni da parte dei grandi impianti fotovoltaici e dal cambio di destinazione spinto dal boom del biogas a cui sono oggi destinati ben 70mila ettari coltivati.” Parole sante, che fanno parte delle cose giuste e condivisibili che ha detto Coldiretti in questi ultimi anni. Ma pensa Coldiretti che uno Stato che vende per far cassa porrà vincoli agli usi futuri delle terre, vincoli peraltro legati a competenze amministrative e territoriali complesse?
E poi: le terre dello Stato ora sono dello Stato. Domani, con uno Stato meno ostile alla popolazione, potrebbero tornare a essere di tutti: beni comuni come dovrebbe essere l'acqua, come è l'aria. Per diversi tipi di fruizione, eventualmente anche agricola (compresi gli orti comunitari). Una vendita invece è per sempre: per risalire la china della privatizzazione integrale quante Portella della Ginestra ci vorranno?
Ultimo, ma forse primissimo. La cifra di sei miliardi e passa è giusto giusto il costo di un buco di 57 chilometri e di altri 23 di rotaie. E' il costo a carico del governo italiano, al netto degli interessi e dei sicuri aumenti in corso d'opera, della cosiddetta “tratta internazionale” della TAV Torino-Lione. Non quindi il costo di tutta l'opera (probabilmente almeno doppio), ma solo quella di una parte: “10,3688 G€, di cui, in base dal trattato tra i due governi, 2/3 sono a carico dell’Italia2, ossia 6,9125 G€”
(G sta per miliardi, e la fonte è lo studio di Angelo Tartaglia, qui. Non sono arrivato alle fonti primarie: sarà mia incapacità, ma pare che sia solo chi vi si oppone a rendere pubblici i costi della Torino-Lyon, anche quelli “ufficiali”)
In sintesi: vendendo tutti i campi agricoli dello Stato non si ripaga neppure metà della parte italiana della TAV Torino-Lyon. La conclusione mi pare ovvia, ed è una conclusione che consente allo stato di risparmiare la spesa e tenersi i campi. Tenere i campi per noi cittadini, anzi.
Invito gli agricoltori di Coldiretti a dissociarsi da questa proposta ai danni del nostro territorio, dei nostri beni comuni e forse anche della nostra agricoltura. E anche da questo assist a un governo che per spese assurde (che chiama sviluppo) e per salvare le banche ci colpisce nei redditi e si svende il patrimonio.
Wolf Bukowski
“LAND GRABBING” - L'AFRICA A RISCHIO SACCHEGGIO.
Molti anni fa chi scrive rimase impressionato nell'apprendere che gli alpinisti che scalavano le cime del gruppo dell'Himalaya incontravano un numero di anno in anno crescente di rifiuti lungo i sentieri di alta quota, una parte dei quali, dai sacchetti di plastica alle bottiglie di plastica alle lattine di bibite o di birra, non biodegradabili. La stessa delusione qualche mese fa, nell'apprendere che in pieno Oceano Pacifico, a nord delle Hawaii, si estende una vasta isola galleggiante di plastiche di varia dimensione e spessore, quasi un continente, in grado di minacciare uno dei più importanti ecosistemi del nostro pianeta. C'è troppo disinteresse attorno a questi problemi, e quando c'è disinteresse, mancano anche le risorse per intervenire dal momento che nessuno mette denari in settori che non danno ritorni d'immagine. Oggi la notizia è però un'altra. E va nella stessa allarmante direzione del disimpegno ambientale: la notizia è il rischio del saccheggio del terreno fertile africano. L'IIED, International Institute for Environmental and Development, per conto della Fao e dell'Ifad, ha realizzato un rapporto sul fenomeno del "land grabbing" in quattro Paesi africani: Mali, Ghana, Etiopia e Madagascar.
Il fenomeno va però oltre, è una tendenza diffusa in tutta l'Africa: centinaia di migliaia di ettari di terra, sono affittati con contratti a lungo termine o venduti per lo più a investitori stranieri e in alcuni casi ad altri Stati, pronti ad accaparrarsi derrate alimentari o combustibili vegetali. Nei soli quattro Paesi presi in considerazione dalla ricerca, negli ultimi 5 anni, sono stati affittati a investitori stranieri oltre due milioni di ettari. Il fenomeno è noto almeno dal 2006 ma ha alcuni elementi di novità. Il primo riguarda il tipo di coltivazione: fino a pochi anni fa si coltivavano biocarburanti ma a partire dall'anno scorso, con l'impennata dei prezzi alimentari, gli investitori si sono concentrati soprattutto sulla produzione di cereali. L'altro fattore nuovo sta nell'inversione di rotta avvenuta nel procacciamento degli investitori. Secondo l'IIED, alcuni Paesi africani, con i bilanci ridotti dalla stretta agli aiuti pubblici, «si trovano a fare notevoli sforzi di marketing per attirare gli investimenti stranieri» e «censiscono le terre disponibili» per offrirle al mercato. Il governo dell'Etiopia, a giugno del 2009, ha fatto sapere che ci sono 1,6 milioni di ettari di terreno, estendibili fino a 2,7 milioni, pronti per essere coltivati .
Molto spesso, però, i governi considerano libere terre dove sono presenti comunità, costrette ad abbandonare i territori in cui vivono, per far posto a campi di canna da zucchero, cereali o olio di palma. È accaduto in Mozambico, con il progetto ProCana della società inglese Camec (Central African Mining Exploration Company) per la coltivazione di canna da zucchero, su 30 mila ettari che erano già stati promessi ad alcune comunità locali. A comprare terra non sono soltanto società di produzione. Spesso ad investire sono direttamente gli Stati. In Mali, una società controllata dal governo libico sta investendo su un'area irrigabile di 100 mila ettari. Nell'ultimo vertice Fao sulla sicurezza alimentare era stato proprio il colonnello Gheddafi a mettere in guardia la comunità internazionale contro il «land grabbing», parlando di «nuovo feudalesimo» africano. Un problema evidenziato dal rapporto IIED è la mancanza di trasparenza degli accordi. Esistono casi in cui gli investitori coinvolgono i contadini locali, ma più spesso gli accordi passano sulla loro testa. La Fao, durante il vertice di Roma sulla sicurezza alimentare, ha proposto un codice di condotta per regolamentare gli affitti. Il cammino da fare è lungo e la cooperazione euro-mediterranea potrebbe svolgere un ruolo importante nell'accendere la miccia dell'autosviluppo in Africa partendo dall'agricoltura e dalla trasformazione dei suoi prodotti di base. Ma non lo sta svolgendo. E lascia libero campo a operazioni che rischiano di trasformarsi in un vero e proprio saccheggio. (dal Bollettino Bio di Greenplanet – gennaio 2010)
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Buongiorno a tutte e tutti, sono Lele della Comune Urupia.
Di seguito incollo due testi che ci sono stati mandati da Antje e Rolf, ex comunarde tedesche, fondatrici, uscite da Urupia nel 2007 e tornate in Germania. Una volta all'anno tornano a trovarci, e anche a stimolarci...
I due testi sono una specie di riassunto-diario su un paio di realtà in Germania, una vicino a Berlino (con cui Antje e Rolf collaborano) e una vicino ad Amburgo (che hanno visitato). Sono due realtà diverse tra loro per età, ambiti di riferimento, esperienza, storia, ma con forti punti in comune su domande chiave dal punto di vista dell'agricoltore e proposte concrete collocate in un immaginario cambiato. Credo che vi siano forti spunti interessanti per le riflessioni di tutti noi.
Un abbraccio a tutte e tutti.
-------------------- TESTO 1 ----------------------
Nuove sperimentazioni di una economia solidale in agricoltura in Germania
Per 12 anni abbiamo contribuito ad una agricoltura alternativa nel ambito della Comune Urupia nel Salento. Anche dopo il nostro ritorno nella citta di Berlino l´agricoltura continua ad essere ben presente nella nostra vita. A parte delle iniziative in sostegno di “Via Campesina”, della promozione di una agricoltura urbana e del “guerilla gardening” stiamo da due anni sostenendo la sperimentazione di una “agricoltura non commerciale”, partito da una comune agricola, la “Lokomotive Karlshof” al nord di Berlino. Ultimamente abbiamo visitato il “Buschberghof”, una azienda agricola vicino Amburgo che da più di vent’anni sta realizzando un progetto “CSA” ( community supported agricolture ).
Cosa si intende con “CSA” ? Molto in breve si tratta di una agricoltura sostenuta da una comunita locale che viene realizzata tramite una stretta cooperazione tra contadini/ una azienda agricola ( biologica )ed un gruppo di consumatori/trici. In differenza ad altri tipi di cooperazione come i ”GAS” il coinvolgimento e la responsabilità degli ultimi e ben più profondo.
Molto sinteticamente si puo dire che i contadini sono responsabile per l´agricoltura, cio per la cura dei terreni e la produzione alimentare; i consumatori/ trici per la copertura di tutti i costi della produzione e riproduzione. Questo concetto vale per tutti i progetti. Differente invece e il grado di partecipazione die cittadini ai vari lavori ( sia quelli strettamente agricoli come quelli della trasformazione, del trasporto e della distribuzione, della communicazione..... ). Differente e la misura delle aziende ( da 3 ha a 150 ha ), la varieta dei prodotti, l´esperienza e professionalita dei contadini.....
Fino a pochi anni esistevano solo pochi progetti “CSA” in Germania. Negli ultimi anni il numero e aumentato; ora sono ca. una quindicina, si nota un interesse piu forte. In altri paesi come in Giappone e negli Stati Uniti c´e gia una diffusione piu ampia: qui sono gia alcune miglaie ed anche in Francia nel giro degli ultimi 10 anni sono nati piu di mille.
Il “Buschberghof”
Vorrei illustrare ora in modo esemplare questo progetto “CSA” più vecchio della Germania.
Situato nelle campagne vicino Amburgo ( ca. 30 km ); 101 ettari; terreno sabbioso argilloso; 86 ettari di terreno coltivato; bovini, manzi, mucche, pecore, maiali, galline, anatre, oche; coltivazione di grano tenero, orzo, segale, avena, farro, piante di foraggio, patate ed una gran varieta di verdure, fragole, mele ed altra frutta; prodotti trasformati: vari pani, carne e salumi, burro, yogurt, ricotta, formaggi.
Alcuni appunti sulla storia:
– da ca. 60 anni stanno praticando l’agricoltura biodinamica con i principi di un massimo di varietà, ed armonia
– più di 40 anni fa il “Buschberghof” si trasformava da una azienda privata in una comunità agricola: si creava la “Gemeinnützige Landbauforschungsgesellschaft Fuhlenhagen” che diventava proprietario di tutta l’azienda, con terreni, patrimonio zootecnico e macchinari sulla base della donazione dei vecchi proprietari. Due altre famiglie contadine procedevano nello stesso modo, neutralizzando cosi il capitale ed assicurando anche per le future generazioni una agricoltura sostenibile, non orientata al profitto ed alla crescita.
– più di 20 anni la comunità agricola di allora incominciava a sperimentare qualcosa di nuovo. Dopo tante esperienze di vendita diretta ( mercati contadini, cooperazione con vari GAS ) cercavano a realizzare una cooperazione piu ampia e compatta con i giri dei consumenti e nasceva la “comunità economica Buschberghof” ed inizio il progetto “CSA”.
Dopo una breve fase di transizione da due decenni riesce a coprire una gran parte dell’alimentazione alimentazione di incirca 350 persone ( ca. 90 famiglie ).
Ogni maggio gli agricoltori informano sul andamento economico del anno precedente e presentano un preventivo per il prossimo anno. Si procede poi con una sorte di asta, cioè tutti i partecipanti decidono poi liberamente, con quale somma vorrebbero contribuire alla copertura dei costi. Un mese dopo si tiene una assemblea nella quale vengono pubbliccati i risultati e nel caso che sia necessario si richiede qualche bis (sempre volontariamente) per arrivare alla copertura completa.
Nei costi sono inclusi i salari per gli agricoltori, il sostegno delle loro figlie, i costi di salute, per la prevedenza sociale, per un fondo macchinari....
La produzione agricola verra poi distribuito tra i membri della “comunita economica”, secondo i bisogni di ciascuna famiglia che autoorganizzano in gruppi per paese la distribuzione settimanalmente.
Questo finanziamento in anticipo assicura la sopravivenza dell´ azienda, libera la produzione agricola dai meccanismi di mercato....
Negli ultimi anni sono nati altre realta del genere; altri stanno in fase di progettazione; la maggior parte su terreni piu piccoli e con una varieta dei prodotti piu ristretta; spesso producendo sopratutto verdure; alcuni ancora costretti a vendere una parte della propria produzione sul “mercato”.....
Da quando esiste il capitalismo, un sistema basato sulla proprieta privata e sul proffito, ci sono anche dei tentativi di sperimentare una produzione che basa su altri criteri. Questi tentativi come i progetti `CSA” e “l´agricoltura noncommerciale “ fanno parte di una “economia solidale” che negli ultimi anni in Germania ha trovato qualche rinforzo.....
------------------------- TESTO 2 ---------------------------
Projektwerkstatt auf Gegenseitigkeit ( PAG ) Für einen etwas anderen Umgang mit Privateigentum - Laboratorio progetti di mutualità – Per una gestione un po’ alternativa della proprietà privata.
Qui di seguito cercherò di fare un’introduzione di questa iniziativa, elaborata negli anni novanta da vari attivisti con lunghe esperienze in collettivi autogestiti di lavoro, abitativi.... che poi hanno dato vita nel 2000 al Laboratorio dei progetti a mutualità e nel 2002 alla fondazione “Dissidente Subsistenz” Sussistenza dissidente.
Cercherò di illustrare gli obiettivi, il funzionamento e le esperienze dell´ iniziativa tramite un “collage” da vari testi del laboratorio stesso. Chiunque disponga di una buona conoscenza della lingua tedesca può accedere alle informazioni sul loro sito internet: www.gegenseitig.de Mutualità.
”Le case a chi le abita – le aziende a chi ci lavora”
Con questi slogan si voleva lanciare un segnale contro l’orientamento al profitto e l`accumulazione del capitale. Purtroppo in passato spesso nel giro di pochi anni la maggior parte delle proprietà acquistate collettivamente poco a poco veniva riprivatizzata.
Sulla base di queste esperienze nacque l’idea, di separare proprietà ed usufrutto, affinché progetti autogestiti abitativi e lavorativi potessero sperimentare le loro utopie in case o terreni che non appartenessero a nessuno e la cui espropriazione come un orientamento al profitto fosse impossibile. Con questo scopo abbiamo creato il “laboratorio progetti di mutualità”. Lo strumento centrale per impedire una riprivatizzazione è la forma giuridica della fondazione.
Abolire la proprietà privata, pilastro centrale del capitalismo
Il capitalismo globalizzato vive più che mai grazie allo svaligiamento del nostro pianeta.
Noi abitanti della terra siamo confrontati con le conseguenze di questo processo. In misure diverse viviamo l´oppressione, la mancanza di diritti, lo sfruttamento e la distruzione delle basi naturali della vita, in tante parti del mondo in modalità estremamente pericolose. In questo scenario la proprietà privata protetta gioca un ruolo fondamentale, ansi un ruolo tragico.
Il “laboratorio progetti di mutualità” si intende come una parte delle tante sperimentazioni nel mondo per gestire la proprietà in modo solidale e collettivo, utilizzando le risorse in modo prudente, per una gestione alternativa della vita....
Il laboratorio con la sua fondazione funziona da un lato come una specie di fiduciario per donazioni e sottoscrizioni con le quali si acquistano beni immobili. Questi terreni ed edifici verranno poi dati in prestito a vari gruppi che ne usufruiscono e trovano lì uno spazio per sperimentare forme solidale e collettive abitative e lavorative.
La base è un contratto di prestito nel quale vengono concordati i reciprochi diritti ed obblighi. Quando un gruppo cambia gli obiettivi originali o se non riesce a raggiungere questi obiettivi, ad esempio a causa di una fluturazione dei partecipanti si sciolge il contratto ed i beni immobili vengono messi a disposizione nuovamente di altri gruppi con nuove idee; un ciclo che non finisce mai. L´intero patrimonio, inclusi gli immobili , avrà allora per sempre il carattere di una proprietà neutralizzata; non appartiene a nessun gruppo singolo, ma è invece legato a concreti obiettivi dell`usufrutto.
Dal altro lato il “laboratorio” assume un ruolo da guardiano che verrà concretamente gestito da un consiglio di delegati – sia da gruppi di usufruttuari come da gruppi ancora in fase di progettazione che dispongono di competenze, esperienze e conoscenze professionali. Chiunque abbia collaborato in modo continuativo e serio al “laboratorio” può partecipare a questo “controllo”. Questo è un passo verso l’assunzione di una responsabilità sociale e la partecipazione a decisioni su risorse esistenti.
Quasi come effetto secondario “neutralizziamo” in questo modo la dipendenza dalle banche che in genere domina l´acquisto degli immobili e obbliga fin dall’inizio ad una redditività economica e dà la propria impronta alla gestione dei progetti. Contemporaneamente questi beni vengono allontanati in modo durevole dal ciclo speculativo del mercato degli immobili. Il prestito ha il carattere di un usufrutto gratuito, per non far pesare rate di rimborso o interessi agli esperimenti e creare un’indipendenza dalla logica della realizzazione. Ma non possiamo e vorremmo creare ( non ancora ) il paese della cuccagna.
Al “laboratorio” servono i mezzi per riempire ed aumentare il patrimonio solidale per la realizzazione di nuove idee. Tutti i membri dei gruppi di usufruttuari partecipano a queste attività tramite campagne di raccolta fondi, attività economiche proprie, ricerca di sostenitori privati e pubblici, e tramite l’aumento del valore degli immobili in prestito dovuto al loro
risanamento.....Questo flusso di ritorno al patrimonio solidale non verrà allora estorto da banche tramite gli interessi, ma invece motivato dall` interesse per la cura del patrimonio e la disponibilità futura di questo anche per nuovi progetti.
Scambio reciproco e sostegno
Non a caso sulla nostra bandiera è scritto “ Laboratorio progetti di mutualità”. Nella nostra prassi in primo piano non sta la gestione del denaro e degli immobili, ma lo scambio e i consigli reciprochi, così come il profondo sostegno tra le iniziative. Facendo questo prendiamo atto delle esperienze del movimento alternativo. Sappiamo che non possiamo evitare degli sbagli, ma siamo ambiziosi e vogliamo farne almeno dei nuovi e non ripetere quelli vecchi! Mutualità include quindi anche servirsi delle competenze professionali nei settori edilizia/ architettura, diritto, tassazione, finanziamento, sviluppo d´organizzazione, acquisto degli immobili per i quali formiamo dei gruppi di lavoro....
Il gruppo di lavoro “Denkwerkstatt” (laboratorio di riflessione) assume il compito
centrale dell`’orientamento politico, per non perdere di vista la rilevanza sociale.
Progetti in sviluppo
Il Laboratorio progetti di mutualità nacque con l´obiettivo di creare degli “spazi liberi” per sperimentare idee alternative sociali ed economiche. Questi spazi dovrebbero essere gestiti da gruppi ed iniziative che
• creano delle strutture quotidiane solidali a parità di diritti
• sperimentano delle modalità abitative e lavorative orientate alla sussistenza per arginare la dipendenza dalla logica di realizzazione
• cercano di realizzare una gestione del quotidiano ecologica
• dispongono di un proprio interesse a disinnescare la proprietà privata
In linea di massima siamo aperti a gruppi che concordino con questi punti. Nello scambio verrà poi esaminato, se si voglia approfondire il contatto.
Per conoscersi reciprocamente ci si incontra inizialmente due volte. Nella prima il “laboratorio” si presenta ed il gruppo interessato puo chiarire tutte le proprie domande. Nella seconda volta il gruppo si presenta ed i delegati della PAG possono chiarire le domande necessarie. In questi incontri si cerca di capire le intenzioni di entrambi e di valutare se si è fatti l`uno per l´altro. Poi i membri dei gruppi in fase di progettazione possono partecipare nei vari gruppi di lavoro della PAG. In questo modo ci si conosce reciprocamente, si può sviluppare fiducia e si fa nno le prime eperienze pratiche. Quando entrambi si sono decisi definitivamente ad una cooperazione, la collaborazione nelle strutture della PAG è obbligatoria, con l´assunzione di una responsabilità per l´intero laboratorio.....
I gruppi degli usufruttuari assumono allora responsabilità per la proprietà della fondazione senza iventare proprietari. Nel contratto di prestito vengono definiti fra l´altro non solo gli obiettivi degli usufruttuari, ma anche le circostanze per un proprio fallimento. Nel caso di un fallimento verrà
elaborato un nuovo contratto o l´immobile passerà ad un nuovo gruppo.....
Una particolarita della PAG consiste nel fatto che non esiste una separazione fra
• la PAG ed i gruppi in ricerca di sostegno
• tra chi dà e chi riceve
• tra progetti vecchi e partecipanti nuovi
Noi vogliamo invece che tutti i gruppi siano legati alle strutture e alle discussioni della PAG: in un percorso di crescita condivisa ....
Attualmente ci sono tre gruppi che fanno parte della PAG:
– Il gruppo di Straussberg ( una piccola citta in periferia di Berlino )
– Wukania Cascina dei progetti ( a Biesental, un paese ca. 30 km da Berlino )
– Lokomotive ( locomotiva ) Karlshof ( vicino la piccola citta di Templin, ca. 45 km di Berlino)
Purtroppo due dei gruppi in fase di progettazione che avevano collaborato nella PAG si sononel frattempo sciolti..... In cooperazione con il “Landprojekt” ( Progetto in campagna ) la fondazione aveva acquistato in aprile 2004 il primo bene immobile, il “Karlshof” vicino Templin.
Il “Landprojekt” si è sciolto poi nel maggio 2005; il “Karlshof” rimaneva nella proprietà della fondazione, ciò significa nel patrimonio solidale della PAG. Nel frattempo il gruppo della “Lokomotive Karlshof” sviluppa lì il progetto di un “agricoltura non commerciale”....
Lo statuto descrive i principi della PAG. Una cooperazione fra vari gruppi ed individui a lungo termine deve necessariamente riflettere il cambiamento continuo delle loro motivazioni, obiettivi e comportamenti come lo sviluppo della societa. Per rendersi conto di questi cambiamenti i membri della PAG esaminano una volta all’anno il loro consenso e l’adeguatezza dello statuto....
Le forme giuridiche civili servono soprattutto a proteggere la proprietà privata. Perciò abbiamo fatto una lunga ricerca prima di deciderci per le forme giuridiche con cui potevamo nominare gli intenti della PAG e contemporaneamente assicurarci al livello legale.
I progetti
Gruppo di lavoro Straussberg
Straussberg “Chi si sta lamentando nella steppa?“
Non possiamo più sentirle: queste lamentele continue. L’est sconfortante con il suo enorme numero di disoccupati, la migrazione dei giovani, una zona distrutta socialmente.....Le richieste della popolazione non vengono considerate. Le dinamiche del capitalismo hanno prodotto terreni che ricordano la steppa. Ci vogliono nuovi concetti sociali che non si basino su interessi di mercato e sull’orientamento alla realizzazione assoluta del profitto che soddisfa solo i bisogni di pochi. Il mercato desolato degli immobili nell’est ci offre un potenziale sufficiente....
Una delle idee viene già messa in atto. Siamo un gruppo di giovani che qui, a Straussberg, 40 km all’est di Berlino, col sostegno della PAG ha acquistato una casa che vorremo abitare collettivamente. Qui vorremmo creare uno spazio abitativo autogestito, affrontabile a livello economico che corrisponderà ai bisogni degli abitanti.... Per creare una vita collettiva solidale esiste già una cassa comune nella quale tutti i futuri abitanti mettono le loro entrate e dalla quale vengono coperti tutti le spese quotidiane. Creando delle condizione finanziarie uguali, vorremo dare a ciascuna/o le stesse opportunità, indipendentemente del suo stato sociale.
D’altra parte intendiamo creare nell’ambito di questa casa uno spazio pubblico che inviti tanta gente ad incontrarsi ed organizzarsi. Uno spazio per iniziative pubbliche, mostre, un punto d’incontro per studenti, per iniziative politiche....In breve: un luogo per sviluppare tanti interessi non commerciali e mettersi in rete .....
Proprio Straussberg....
Abbiamo una risposta chiara: da tanti anni ci impegniamo in attività locali e regionali; nel centro sociale “Horte”, un progetto giovanile di sinistra a Straussberg, alla cui creazione abbiamo contribuito, o nella cooperazione continua con la comune “Ökolea” a Klosterdorf (paese vicino),
nell’iniziativa antirazzista “azione entrata d´emergenza”, in un gruppo d´acquisto, nelle campagne contro il gruppo neonazista “Märkischer Heimatschutz” o nel “gruppo di consigli per vittime della violenza nazista”. A parte dei nostri contatti sociali questo coinvolgimento sta alla base della
decisione di realizzare le nostre idee qui a Straussberg....
Questo progetto sicuramente è solo una prima parte della risposta alla situazione sociale. Ma si tratta di un inizio per incoraggiare altri a muoversi da una situazione precaria.
Wukania Cascina dei progetti
Da dicembre 2008 Wukania è la nuova cascina dei progetti del nostro gruppo di Bernau. Le radici del gruppo: Nell’estate 1998 un’azione di un gruppo di giovani trova un certo interesse dei mass media. A Bernau, una piccola città a nord est di Berlino vanno da un negozio all’altro a distribuire degli adesivi dove con la scritta in tre lingue “Entrata d’emergenza. Noi offriamo protezione ed informazioni in caso di attacchi razzisti e fascisti“. Con questa azione si riusciva a sensibilizzare la città alle azioni dell’estrema destra. L’azione nasceva nel centro sociale “Dosto“ di Bernau, un luogo dove giovani si incontrano ed organizzano dei concerti e delle iniziative in modo autogestito. Nell’arco degli anni alcuni di loro facevano nascere „L´ufficio di consulenze per vittime della violenza di destra“, un negozio di alimenti biologici, partecipavano ad una rete d’azione regionale contro gli OGM. E nel loro contesto cresceva il bisogno di costruire una “cascina dei progetti collettivi”. Dopo tanti anni di ricerca di un luogo adatto e parecchie trattative finalmente nel 2008 si riusciva a concludere con l’acquisto di un grande ex centro di formazione sportiva con tre ettari di terreno ed alcune migliaia di metri quadrati di spazi coperti.
Il progetto
Costruiamo una “cascina dei progetti” a fianco del Wukensee ( un piccolo lago ) a Biesenthal che offrirà una vita collettiva per persone di varie generazioni. Col “vivere insieme” intendiamo in alternativa alla vita isolata in piccole famiglie o da “single” una gestione collettiva e solidale del quotidiano. Questo scopo può comunque esprimersi in varie forme di convivenza: con una economia comune, con l’alloggio in comune o in famiglia. Spazi collettivi come una biblioteca, un luogo per attività sportive e laboratori artigianali debbono collegare le persone che vivono nelle varie forme d’abitazione. Tutti condivideranno la responsabilità per l’intero progetto ed il suo sviluppo e promuoveranno la qualità della vita tramite delle attività collettive. Integrato nel nostro quotidiano vorremo impegnarci nella e per la nostra regione. Vorremo dare spazio qui a “Wukania” per avviare o continuare dei progetti sociali, culturali, politici ed ecologici. Vorremmo sviluppare questa “cascina dei progetti” insieme con i vari interessati. Vorremmo offrire la possibilità di utilizzare i laboratori artigianali, e che gruppi sportivi utilizzino la nostra grande palestra. Nel grande complesso centrale potrebbero nascere una casa di formazione culturale, una scuola libera, un asilo nido ed una scuola materna o delle aziende autogestite. Un altro scopo è la promozione dei progetti non commerciali, di iniziative sociali per bambini, giovani ed anziani.
Lo sviluppo negli ultimi due anni
Nel primo anno, nel 2009, l´attività principale era la creazione degli spazi abitativi, cucina e bagni per il gruppo, composto da 9 adulti e 2 bambini, risanando una casa sul terreno ed i primi passi di cura degli alberi, delle piante e dei prati. In quest’anno nasceva un orto per l’autosufficienza e nei lavori di cantiere venivano create delle infrastrutture per poter ospitare varie iniziative (bagni ed una ampia cucina estiva) che permettevano già dall’estate di organizzare il primo campeggio per giovani e i primi seminari.
Parallelamente all’inizio del anno veniva avviato un’offensiva dei progetti. In vari incontri decine di persone, interessate a ridare vita a questo posto, incominciavano ad individuare e sviluppare dei progetti. Questi lavori intensi di pianificazione hanno poi nell’arco dell’anno già portato ai primi risultati: Un gruppo ( composto da interni ed esterni ) che si sta impegnando a far nascere una scuola materna è già arrivato ad un punto avanzato di progettazione, prevedendo per l’anno prossimo i lavori di risanamento e per il 2012 l’apertura. Un altro gruppo degli “esterni” ha quasi concluso i lavori di risanamento di un’altra piccola casa come struttura di riposo per weekend e vacanze. Il “gruppo di salute”, persone esterne che vorrebbero anche abitare a “Wukania” ha sistemato due spazi per massaggi Shiatsu, Yoga etc. che ora già da mesi vengono utilizzati.
Altri progetti come un “circo per bambini”, una “scuola internazionale di gestione civile dei conflitti” ed un “laboratorio di formazione reciproca” sono in fase di progettazione; in parte hanno già fatto i primi passi pratici.
“Wukania Lernwerkstatt” Laboratorio di formazione reciproca
Questo laboratorio è un altro tentativo, per imparare reciprocamente e collettivamente come possa funzionare una vita solidale, non commerciale. Il termine “non commerciale” esprime in modo non ancora soddisfacente il nostro scopo: una formazione non legata al mercato e non dipendente dallo stato, che esprime il nostro dissenso al sistema dominante dei valori e della realizzazione del profitto. Mettiamo in dubbio quello che si considera la “normalità”.
In modo astratto sappiamo che il capitalismo globale è di carattere patriarcale, dominato dalle società industriali dell`ovest e che influenza anche il nostro modo di pensare, le nostre conoscenze ed il nostro agire. Da un lato stanno i brevetti sulle piante, il commercio delle persone e le guerre sulla punta dell´iceberg . Dall’altra parte i valori di questo sistema stanno penetrando nel nostro quotidiano, nelle nostre relazioni, nella nostra lingua. Cerchiamo di comprendere questi meccanismi e di liberarci, orientandoci verso altri valori. Sappiamo che ci sono esperienze e conoscenze che nella realtà capitalistica non vengono né percepiti né valorizzate, a queste vorremmo aprirci.
L’educazione e la formazione non automaticamente portano ad essere una parte integrale di un processo emancipativo; spesso vengono abusate a formare una “coscienza servile”. Perciò preferiamo non parlare di educazione, ma invece di una formazione reciproca. Vorremmo sviluppare una cultura dell’ascolto e dello studio, con una disponibilità a mettere anche in dubbio i propri pensieri.....
Incominciamo con una struttura che non distingua tra apparato, persone di ruolo pagate dai partecipanti e clienti. Tutti contribuiscono: nelle pulizie, nel cucinare, nel tenere relazioni, nel produrre film, nel fare musica....e chi può anche alla copertura dei costi; ognuna/o secondo i propri interessi e possibilità....
Come progetto non commerciale non richiederemo per le iniziative nessun contributo fisso né per la partecipazione né per vitto ed alloggio. La partecipazione alle iniziative del “laboratorio” è indipendentemente dal suo finanziamento. Visto lo scopo di sviluppare il progetto indipendentemente dal mercato e dello stato, abbiamo bisogno dei sostenitori. Naturalmente anche i partecipanti sono invitati a sostenere questo sperimento...
Proprietà significa furto! Questo vale anche per la proprietà intellettuale. Tutti i metodi che verranno sviluppati nel “laboratorio” e tutte le conoscenze che usciranno fuori in questo contesto non avranno
carattere di merce, ma verranno invece pubblicati sotto libere licenze come “creative commons”.
”Lokomotive Karlshof” sperimentazione di una agricoltura non commerciale ( NKL )
Quando nel 2005 incominciavamo a riflettere sull’impostazione dell’agricoltura sui nostri 50 ha di terreno era nostra intenzione sperimentare una produzione alimentare alternativa al sistema capitalistico dominante della mercificazione, la cui assurdità e distruttività ci sembrava ovvia. Noi, la “Lokomotive Karlshof”, volevamo sperimentare una produzione e distribuzione fuori dai meccanismi mercificatrici.
In una cooperazione libera e solidale con altri gruppi e persone singolare volevamo sviluppare un`´agricoltura non commerciale ( NKL ), cercando di coprire una piccola parte del nostro fabbisogno in un processo collettivo di produzione e distribuzione. Non volevamo produrre per la vendita o per uno scambio con prodotti equivalenti, ma invece per soddisfare i bisogni primari, in modo diretto ed autogestito. In un processo collettivo volevamo avviare una produzione per una specie di autosufficienza, ma non vincolata ad un gruppo locale autarchico, ma con l´intenzione di creare una rete sociale produttiva.....
Slegare dare e ricevere
La produzione degli alimenti comprende tutta una serie di passaggi di lavoro. L´intero processo ha allora bisogno un impegno collettivo e la comunicazione ed organizzazione di tutti quanti coloro che fanno parte di questa rete. La partecipazione è volontaria, dare e ricevere vengono slegati e orientati alle competenze e possibilità di ciascun partecipante. Il rifornimento dei prodotti non è vincolato nè ad un contributo economico nè alla partecipazione al processo lavorativo.
Nella primavera 2006 partiva la nostra prima stagione NKL. Vista la ancora scarsa disponibilità degli attrezzi agricoli ed un`infrastruttura ancora all` inizio, decidevamo di incominciare con la produzione delle patate. Abbiamo inivitato delle persone interessate ad informarci sul loro fabbisogno di patate e sulla base delle loro richieste, abbiamo seminato un ettaro a patate. La preparazione primaria del terreno è stata fatto dal contadino vicino con nostra sorpresa gratuitamente. Grazie ad alcuni sostenitori potevamo acquistare degli attrezzi necessari per la semina; altri lì abbiamo ricevuti in prestito. In estate abbiamo avuto il sostegno di persone che ci aiutavano a raccolgere i coleotteri, a sanare un capannone ed a preparare l´infrastruttura. Per la raccolta – con un tempo meraviglioso è arrivata tanta gente che ha lavorata e si è divertita in questa azione. In quattro giorni riuscivamo a raccogliere, selezionare e confezionare 5 tonnelate di patate, concludendo con una bella festa. Nel secondo anno potevamo già raccogliere 9 tonnellate, nel 2009 18 tonnellate.
Cerchiamo di sottrarci da una “legge naturale”
Nonostante il successo della sperimentazione NKL in questi primi anni, dobbiamo comunque nominare alcune difficoltà e contraddizioni che lo accompagneranno anche in futuro. In mezzo ad un sistema di produzione mercificato, il quale appare alla grande maggioranza senza alternative, cerchiamo di sottrarci da un sistema che sembra una legge naturale: realizzazione e scambio di merci. Viviamo allora la contraddizione di dover servirci per la soddisfazione dei nostri bisogni ancora di questo sistema. Da dove provengono i soldi, se rinunciamo sia alla vendita dei prodotti che a quella del nostro lavoro? Da un punto di vista di “mercato” il nostro progetto sembra assurdo. Se fossimo da soli come gruppo questo progetto non si potrebbe finanziare. Come parte di un processo collettivo di autogestione invece il rifornimento di finanziamenti diventa un impegno fra tanti altri.
Di una base importante, i terreni e gli edifici, possiamo usufruire grazie alla PAG in modo gratuito. La copertura dei costi di produzione per la NKL avviene tramite donazioni e sottoscrizioni. Per coprire i costi per il nostro mantenimento siamo ancora dipendenti da sussidi sociali e contributi per progetti vari da parte dello stato. Dobbiamo allora – anche in futuro vivere con la contraddizione di usufruire del surplus della realizzazione altrui per poter sperimentare delle modalità economiche alternative. Se il nostro esperimento dovesse funzionare e se riusciremo a creare una rete di sostentamento, abbiamo la speranza che questa si allargherà ad altri settori di produzione e servizi e che noi, in tale modo, riusciremo a coprire una parte più sostanziosa del nostro fabbisogno tramite un’economia non commerciale. Già adesso ci rendiamo conto che l’autogestione insieme con altri ci permette di coprire tante necessità senza o con pochi soldi.
Lo sviluppo negli ultimi anni
La gamma dei prodotti si è allargata: dal 2009 si sono aggiunti vari cereali: grano tenero, farro, orzo e segale che vengono macinati presso il panificio di un’altra comune a nord di Berlino e nella rete che si è formata a Berlino un gruppo panifica queste farine, sostenuto da un collettivo di panettieri
a Kreuzberg, orientandosi al concetto della NKL. In più abbiamo fatto le prime esperienze con la semina della soia, del girasole, di piselli e ceci ......Il quantitativo delle patate si è ulteriormente allargato.... Un altro gruppo della rete ha contributo con le prime verdure, un altro ancora con
delle mele.... A Greifswald, una città vicino al mare baltico si è formato un altro piccolo circuito che sta sperimentando la NKL.... La rete si è allargata ad altre piccole città come Potsdam e Eberswalde, dove venivano arredate altre cantine per depositare e distribuire i prodotti. Si sono avviate delle ricerche e sperimentazioni sulla trasformazione delle materie prime. L’anno scorso si è tenuta una serie di seminari teoricipratici per trasmettere delle competenze agricole nella rete....
Grazie al sostegno finanziario tramite varie donazioni ed alla bravura di alcuni meccanici si è riusciti a complementare il parco degli attrezzi agricoli. Anche il risanamento di un grande capannone ha contributo ad un miglioramento delle condizione delle produzioni agricole. Da ormai più di tre anni dall’autumno alla primavera una volta al mese i partecipanti alla rete si incontrano nel cosidetto “Kartoffelcafe” a Berlino, che man mano è diventato uno strumento importante di informazione, comunicazione ed organizzazione di tutti gli aspetti della NKL, con una crescente responsabilità degli attivisti “esterni”, che non fanno parte del gruppo “Lokomotive Karlshof”.
Se il “Kartoffelcafe” da un lato è un elemento centrale all`interno della rete NKL, è allo stesso tempo aperto a nuovi interessati, allora una porta d´ingresso nella rete.
Alcune riflessioni sulla NKL
Dal 2009 si è entrati in una riflessione più approfondita dei primi anni della sperimentazione NKL. In questi discussioni – nel gruppo interno della “Lokomotive karlshof”, nell` ambito degli incontri nel “Kartoffelcafe” e in qualche seminario si è affrontata tutta una serie di punti deboli, problematiche della prassi e domande aperte. In seguito sinteticamente alcuni temi ( presi da una lettera aperta del `Karlshof`):
1) Finanziamento: C’è qualche difficoltà a finanziare le sperimentazioni e il problema che questo impegno viene affrontato e coperto da pochi. Come si può coprire in modo migliore i costi della NKL?
2) Partecipazione: Tanta responsabilità sta ancora sulle spalle di pochi. A questo fatto si lega a domanda: Fino a che punto siamo il motore della NKL e vorremmo coprire questo ruolo? Stiamo riproducendo una relazione producenti consumatori? Tra persone impegnate si costruiscono delle relazioni personali. Tra di loro c´è una buona cooperazione. Mancando le relazioni personali si riproducono modalità gerarchiche. Sono allora le relazioni personali la base per il funzionamento? Verrà messo in dubbio allora il funzionamento in una rete più ampia? Il concetto della NKL, lo sta ostacolando una cooperazione con altri contadini che sono costretti a vendere i loro prodotti sul mercato? Nella rete ci sono delle conoscenze e competenze agricole ben diverse.
Questa gerarchia crea delle difficoltà nelle discussioni ed anche nel processo decisionale.
3) Problemi interni: Ci sono delle visioni differenti nel gruppo. Quale peso dovrebbe avere l’agricoltura nel “Karlshof”? Come scopo centrale della NKL abbiamo espresso un orientamento ai bisogni nella produzione agricola. Ma spesso i nostri propri bisogni stanno in seconda linea. Quali sono i nostri bisogni nella divisione dei lavori, nella produzione e nella rete NKL?
4) Mancanza di struttura: C’è forte un bisogno di una trasparenza più ampia ed una strutturazione maggiore dei processi pratici. La NKL è aperta, ma allo stesso tempo sono richiesti degli impegni responsabili. Da lì spesso nascono irritazioni e stress e nasce la domanda: Quanto aperta immaginiamo la rete NKL e quali strutture di comuncazione e divisione dei lavori sono adeguate?
5) Riflessione teorica ed interna: C’è un forte bisogno di riflettere in modo più continuativo l’esperienza della NKL. Finora questo concetto è stato ancora molto legato al “Karlshof”. Non si sono formati altre basi. Come si può estendere il concetto della “NKL” dentro il “Karlshof” ed altrove? I metodi del nostro lavoro concordano con gli scopi? Riusciamo a realizzare gli scopi anticapitalistici?
Nell’arco dell’ultimo anno abbiamo fatti i primi passi di affrontare queste problematiche nel interno della rete “NKL”. Per la copertura dei costi ci si sta ora orientando verso una “economia dei contributi”, ciò significa che partecipanti alla rete danno un contributo fisso e continuativo.
In questo modo si crea una base più solida....In alcuni campi si cerca di distribuire le responsabilità su più spalle realizzando una rotazione di certe responsabilità.... Altre domande aperte affronteremo nei prossimi mesi. Concludendo cito la relazione di un’attivista della PAG.
”L’economia dell’appropriazione contro l’economia dell`’equilibrio Forme di una economia solidale”
“Economia solidale” è il termine generale per tutte le forme dello scambio dei beni che tiene conto dell´utilità per gli altri e per se stessi. Invece di puntare sulla concorrenza, essa si basa sulla cooperazione. Nell’economia dominante ognuno tende ad imporre i propri interessi a scapito
degli altri....
L´economia solidale si basa invece su pensieri circolari ed un agire reciproco; vuol dire: chi danneggia l´insieme, danneggia anche se stesso. Essa si basa su un equilibrio fra dare e ricevere....
Perciò la chiamo in contrasto con l´economia dell`appropriazione anche economia dell` equilibrio.
Distinguo tre forme dell´economia solidale: l’economia dello scambio leale, l’economia del dono e l’economia del contributo.........
Nell’economia dello scambio in genere i prodotti o servizi vengono quantificati e paragonati nel loro valore. In una economia solidale entrambi le parti si auto obbligano alla ricerca di una valorizzazione “giusta”.
L’economia del dono si basa su un equilibrio relativo tra dare e ricevere in un contesto sociale, dove tutti prendono atto degli altri ed ognuno guarda al benessere degli altri come al proprio. Si regala, si aiuta, si divide, senza chiedersi quando si riceve qualcosa indietro, ma nella fiducia che gli altri stanno agendo allo stesso modo.....
L’economia del contributo segue i vecchi principi del lavoro in comune, al quale tutti gli interessati partecipano secondo le proprie potenzialità. La partecipazione al risultato dei lavori non dipende dal contributo dato.
Le possibilità migliori per far crescere un’economia solidale le vedo nella realizzazione di tutte le tre forme; ognuna secondo le condizioni: produzione collettiva e cassa comune ( economia del contributo ); in contesti vicini, dipendenti dal livello di fiducia raggiunto ( l’economia del dono ) e lì, dove lo scambio diretto basato nella fiducia reciproca non è realizzabile e si ha bisogno di contratti chiari, produzione e scambio leale di prodotti e servizi (economia dello scambio).
Tavolo tematico sull'accesso alla terra
In occasione di questo incontro si volevano indagare le maggiori problematiche riguardanti l'accesso alla terra e cercare di formulare delle azioni concrete di sostegno ai progetti di insediamento agricolo e rurale, partendo dal racconto di alcune esperienze.
Al tavolo sono state invitate due rappresentanti dell'associazione francese Terre de Liens, Cécile e Véronique, e Carlotta, comunarda di Urupia.
Inizialmente Véronique e Cécile hanno descritto la struttura e le attività svolte da TdL, in seguito hanno risposto in modo organico alle domande scritte dai partecipanti, divisi in piccoli gruppi .
Carlotta ha raccontato come è nata, su quali ideali poggia e come è organizzata la comune di Urupia.
Terre de liens - Terra di legami
Il contesto agricolo francese presenta alcune differenze e alcune somiglianze con quello italiano. In entrambi i paesi si assiste a un' erosione della piccola proprietà contadina, stretta fra la cementificazione delle campagne e delle periferie cittadine e l'accorpamento dei terreni lavorabili in aziende di grandi dimensioni. L'agricoltura biologica in Francia rappresenta circa il 2% delle aziende agricole, in Italia l'8%.
La differenza principale è che a partire dagli anni '60 in Francia c'è stata una forte regolamentazione da parte dello stato nel settore agricolo, che ha influenzato anche il mercato di compravendita dei terreni portando a una diminuzione dei prezzi dei terreni (attualmente il costo medio nazionale di un ettaro è di 7.000 €). Nonostante questo negli ultimi dieci anni si è riscontrato un aumento dei prezzi di circa il 50%.
Terre de liens (TdL) è nata fra la metà degli anni '90 e l'inizio del 2000 dall'incontro tra agricoltori, co-attori, gruppi di economia solidale, gruppi ecologisti e persone provenienti dall'educazione critica. Lo scopo principale era quello di sostenere e diffondere l'agricoltura contadina, biologica, a chilometro zero.
Per sensibilizzare l'opinione pubblica hanno puntato sul concetto della terra come bene comune. La terra non può riguardare solo chi la vive e la lavora ma, essendo il substrato, non rinnovabile, necessario alla nostra vita, riguarda tutti. A questa riflessione è seguita la decisione di acquistare le terre in maniera colletiva, creando un forte legame fra città-campagna, fra contadini-”consumatori”.
Tramite l'acquisto collettivo e la presa in gestione delle fattorie da parte di agricoltori sensibili a tutte le tematiche citate, le terre venivano liberate dal mercato speculativo e dalla loro mercificazione.
TdL attualmente conta 2.000 soci ed è una realtà molto variegata, la sfida è di amalgamare le diverse anime che la compongono.
TdL ha tre gruppi di strumenti: animazione territoriale, finanziario e politico.
Animazione territoriale
In Francia il contesto agricolo è molto chiuso e per le piccole-medie aziende contadine, oltre che per chi si avvicina al settore, esistono problemi sostanziali nel fare sentire la propria voce. Inoltre spesso gli agricoltori sono molto occupati dal proprio lavoro e lontani gli uni dagli altri, quindi hanno difficoltà a fare rete. Per questo la chiave di volta è stata quella di chiudere le maglie della rete grazie a cittadini-attivisti che si facessero carico delle esigenze di chi lavora la terra.
I 2000 aderenti attivi di TdL (divisi in un collettivo nazionale e in 21 gruppi regionali) sono il frutto di una campagna capillare di sensibilizzazione iniziata quattro anni prima della raccolta vera e propria dei fondi e dell'acquisto dei terreni. Durante questa campagna hanno organizzato numerose serate in cui si presentava l' associazione e il progetto di acquisto terreni; in questi incontri ponevano le problematiche sollevate dagli agricoltori e ne discutevano con i presenti.
Per creare una partecipazione così sentita è stato fondamentale riuscire a comunicare le problematiche del mondo agricolo, in modo che gli interesati avessero modo di informarsi e si sentissero legittimati a elaborare delle proposte. Gli attivisti di TdL sono riusciti a creare legami e scambi molto forti tra chi lavora la terra e la cittadinanza. Quest'alleanza è fondamentale perché possano avvenire dei cambiamenti sostanziali nella società.
La cittadinanza può e deve sollevare problematiche riguardanti la terra. Spesso la loro pressione si è rivelata più efficace nei piccoli comuni di provincia, dove si può interagire più facilmente con gli amministratori del territorio.
I ventuno gruppi locali sono molto attivi e producono delle pubblicazioni che riguardano diversi argomenti, come gli aspetti tecnici della coltivazione o le esperienze di acquisti collettivi di terre in altri paesi. In queste riviste spesso si mette anche in contatto chi cerca terreni con chi li offre.
Il passo successivo è stato quello di presentare i progetti di acquisto collettivo dei terreni, a cui si può partecipare con denaro o contribuendo con il proprio lavoro.
Aspetti finanziari
Per l'acquisizione delle terre e delle fattorie sono state create una società fiduciaria e una fondazione.
La fiduciaria è una società che raccoglie i risparmi dei cittadini. La creazione della fiduciaria è stata un processo lungo e difficile.
Gli azionisti non decidono direttamente come verrà utilizzato il capitale societario: c'è una netta separazione tra i fondi e il potere decisionale, detenuto da un consiglio di amministrazione composto da rappresentati dell'associazione nazionale TdL e da appartenenti ad un ente di finanza etica (NEF).
La società fiduciaria è nata nel dicembre del 2006, sono seguiti quattro momenti di raccolta fondi; le azioni hanno il valore di 100 € ciascuna e attualmente ci sono 8.000 azionisti (il 95% privati) per un totale di 22.000.000 €, con la media di 3.500 € per azionista.
Con questi fondi sono state acquistate 75 aziende, a differente indirizzo produttivo e sparse per tutto il territorio francese, per un totale di 2000 ettari su cui lavorano 220 agricoltori affittuari.
Dei fondi accumulati hanno riservato un 25% del totale per rimborsare eventuali azionisti dimissionari. La società fiduciaria ha due stipendiati a tempo pieno mentre il resto del lavoro è svolto da volontari suddivisi nei diversi gruppi locali: tutti i soldi raccolti sono utilizzati per l'acquisto di terreni.
Le terre vengono acquistate per sostenere delle realtà agricole già esistenti o per avviare il progetto concreto di agricoltori che ne fanno richiesta; vengono acquistate le terre indicate da chi presenta il progetto, non vengono acquistati terreni per poi cercare chi se ne occupa.
La fondazione raccoglie le donazioni di fattorie, terre o denaro; è nata nel 2009 e per ora consta di 5 fattorie, mentre altre 7 sono in via di acquisizione. Per TdL la fondazione, anche se più giovane, ha grande rilevanza perché raccoglie beni che non verranno mai più immessi nel mercato, rimarranno alla collettività e saranno gestiti in maniera biologica e sostenibile per sempre.
Chi dona la propria terra o la propria fattoria è mosso dal desiderio di veder proseguire il proprio progetto. Tramite la fondazione anche gli enti pubblici possono fare delle donazioni, cosa impossibile tramite la società fiduciaria.
La società fiduciaria e la fondazione sono proprietarie delle terre e delle fattorie acquistate, mentre gli agricoltori pagano un affitto concordato a livello nazionale che permette di coprire i costi di gestione di TdL. I contratti di affitto vengono stipulati insieme dagli affittuari e da TdL, quindi sono discussi caso per caso. I contratti prevedono delle clausole esplicite per la tutela dell'ambiente; non è mai ammesso l'uso di sostanze di sintesi e l'agricoltore si impegna a migliorare le terre che prenderà in gestione a livello di fertilità del suolo, ambientale e paesaggistico. Non è richiesta la certificazione biologica e si sta pensando alla creazione di un percorso di certificazione partecipata.
Aspetti politici
La parte politica di TdL si batte principalmente a livello locale e nazionale, ultimamente si sta muovendo in ambito europeo.
Due esempi a livello nazionale: tramite pressioni, negli anni passati gli azionisti (che non ricevono nessun interesse sulle loro azioni) hanno ottenuto degli sgravi fiscali. Vantaggi e svantaggi di questi sgravi sono un punto molto dibattuto all'interno di TdL. Nella nuova finanziaria francese non ci saranno più questi benefici per gli azionisti.
Un'altra vittoria politica ha permesso a TdL di poter imporre clausole ambientali nei contratti di locazione; in particolare hanno esplicitato la dicitura generica “l'affittuario deve occuparsi della terra come un buon padre di famiglia” in “come colui che gestisce le terre per lasciarle migliori alle generazioni future".
Risposte
Le risposte sono state organizzate in tre gruppi:
1 – forma giuridica
2 – rapporto tra proprietari e locatari
3 – modalità di azionariato e gestione interna
1- Forma giuridica
- È stata scelta la società fiduciaria (forma giuridica non presente in Italia) e non la cooperativa perché la vita di un terreno è più lunga di quella umana, quindi è importante che non si perda lo scopo primario con il ricambio delle persone nella cooperativa. In Belgio, TdL sta collaborando alla creazione di una struttura simile che sarà però una cooperativa, a dimostrazione del fatto che la scelta della forma giuridica va adeguata al contesto legislativo.
- Si è scelto di separare “soldi” e “potere”, quindi gli azionisti non hanno potere decisionale, possono solo decidere di riavere indietro i soldi investiti. La gestione è affidata non a chi mette i soldi ma a chi ha ideato e lavora per l’associazione.
- Gli attuali 8000 azionisti sono stati raggiunti a fronte di un capillare lavoro di comunicazione tramite internet, rete dei GAS, reti di produttori agricoli, sindacati e associazioni. All’inizio si è partiti dai negozi biologici, quindi dalle persone che comprano prodotti biologici.
- Le quote versate dagli azionisti possono essere destinate ad un podere in particolare oppure no, si preferisce la prima scelta perché si vuole legare le persone di un territorio al progetto più vicino. In alcuni casi gli azionisti sono amici del produttore agricolo e si preferisce che il produttore stesso metta una quota nell’acquisto. Si preferisce avere molti azionisti che versano piccole quote che viceversa, per avere più persone che sostengano i progetti. Le quote versate, anche se è garantita la restituzione, si danno in una logica di donazione più che investimento, infatti sono molto pochi quelli che chiedono la restituzione.
2- Rapporto tra proprietari e locatari
- I progetti da finanziare vengono presentati all'associazione direttamente dai futuri beneficiari. L’associazione aiuta anche a stilare il progetto se il futuro produttore lo richiede, anche con l’aiuto di altre associazioni, così si crea una rete intorno a ciascun progetto. Si cerca di creare un legame anche tra azionisti e contadini.
-Una volta avviato il progetto non c’è un controllo stretto sul contadino, si prevede una visita in azienda ogni anno, fatta dalle persone della rete locale. Non si tratta di un vero controllo, più che altro si cerca la trasparenza dei progetti, e le visite hanno anche una funzione educativa.
-In Francia c’è una legge sugli affitti rurali, per cui la cifra è decisa per decreto. L’affitto è di 100 – 150 euro per ettaro l’anno. I soldi degli affitti coprono le spese dell’associazione.
In genere si fanno due tipi di contratto, o di nove anni confermabile o di venticinque anni. Se ci sono ristrutturazioni a carico del locatario si fanno anche contratti di novantanove anni e la cifra spesa per ristrutturale viene detratta dall’affitto dovuto.
-Nel contratto con il contadino si scrive come lui si impegna a gestire il terreno, se non lo fa il contratto si rompe, ma non è mai successo. Il contratto è scritto insieme al contadino che quindi può far valere le sue esigenze.
-Se l’agricoltore decide di interrompere il progetto si cerca un sostituto.
3 –Modalità di azionariato e gestione interna
-E' altamente improbabile il fallimento della fiduciaria perché investire nella terra è un investimento sicuro.
-È anche considerato altamente improbabile che tutti gli azionisti richiedano indietro i soldi contemporaneamente, se succedesse la fiduciaria si darebbe la possibilità di restituirli col tempo. C’è comunque sempre 25% dei fondi tenuti disponibili per le restituzioni.
Urupia
La comune Urupia, nata in Puglia all’inizio degli anni ’90, è un esempio di insediamento agricolo su un terreno di proprietà collettiva. La sua costituzione è stata preceduta da 2 anni di seminari che hanno portato alla definizione di alcuni principi base: autogestione, assenza di proprietà privata, principio del consenso, importanza dell’aspetto relazionale e quindi il mantenimento di una comune aperta.
Nel gruppo di lavoro si è parlato solo del percorso che ha portato all’acquisto della terra perché era quello che più interessava in quel contesto.
Il progetto non nasce come progetto agricolo, ma lo diventa col tempo, attualmente nei terreni gestiti dalla comune si producono olive, uva e ortaggi. L’uva è destinata ad una moderna cantina che produce diversi vini di qualità, vi è anche un forno che produce varie tipologie di prodotti.
La terra è di proprietà dell’associazione Urupia, ed è stata comprata con fondi provenienti dalle fondatrici stesse, da amiche e amici, sottoscrizioni, donazioni e prestiti di una fondazione tedesca e di una comune, sempre tedesca, nonché con un prestito della MAG 6 di Reggio Emilia. L’associazione comprende un numero elevatissimo di persone, ed è proprietaria sia della terra che degli edifici. Si è scelto di non avvalersi di finanziamenti pubblici e di coltivare in modo biologico senza certificazioni. Per le ristrutturazioni degli edifici c’è stato l’aiuto materiale di centinaia di persone, ospiti della comune.
Visto che l’associazione non può commercializzare i prodotti agricoli è stata successivamente costituita la cooperativa La Petrosa, e questo ha anche reso possibile la regolarizzazione del lavoro agricolo da parte delle comunarde.
Dibattito
Si è deciso di proseguire nel tentativo di creare uno strumento simile alla società fiduciaria di Terre de Liens adatto al contesto italiano. Per tenersi in contatto in questa fase di progettazione si sono raccolti gli indirizzi dei presenti per costruire una mailing list.
E’ importante capire che comunque l’acquisto di poderi non fermerà l’uso della terra a scopo speculativo, perché i grandi poteri finanziari compreranno sempre più terra di noi. Per questo sull’uso della terra è importante un’azione politica a livello nazionale volta a denunciare l’esproprio di terra da parte dei grandi poteri economici. Per questo serve agire su diversi piani. D’altra parte è importante studiare anche soluzioni immediate, per questo si è espressa la volontà di organizzare un sito di informazioni sull’accesso alla terra.
Per una nuova PAC
Nelle pagine seguenti abbiamo deciso di inserire due testi sulla Politica Agricola Comune (PAC). Questo perché ad ottobre la Commissione Europea ha varato la proposta di riforma per gli anni 2014-2020.
Il primo contributo, estratto dal documento di posizione di Slow Food sulla PAC “Verso una nuova Politica Agricola Comune” lo abbiamo selezionato perché introduce in modo chiaro e sintetico i principi di fondo del approccio comunitario all’agricoltura. Il secondo documento invece è una riflessione politica di un compagno che ha attraversato l’esperienza di AltrAgricoltura Nord Est.
Appendice 1 - Che cos’è la PAC?
Estratto da “Verso una nuova Politica Agricola Comune” di Slow Food
La Politica Agricola Comune (PAC) è formata dall’insieme delle regole e dei meccanismi che regolano gran parte degli aspetti concernenti la produzione, lo scambio e la trasformazione dei prodotti agricoli all’interno dell’Unione Europea (UE).
L’agricoltura, fin dalla creazione della Comunità Economica Europea, è stata una delle politiche comunitarie principali. Seppure in misura ridotta rispetto al passato, la PAC è, tuttora, la politica che impegna la percentuale maggiore dell’intero budget comunitario (il 43% circa).
La struttura della PAC
La PAC oggi, in seguito alle varie stagioni di riforma succedutesi nell’arco dei decenni (di cui si darà conto al paragrafo successivo), è strutturata in due pilastri (vedi fig. 1).
Il primo pilastro comprende misure volte al sostegno del mercato, quali i pagamenti diretti ai produttori (su base annuale), le restituzioni all’esportazione, il sostegno per gli acquisti di intervento e lo stoccaggio. Ogni misura compresa nel primo pilastro è finanziata interamente dal budget europeo per mezzo del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA). Nelle intenzioni della Commissione Europea, il primo pilastro della prossima PAC dovrà concentrarsi quasi esclusivamente sui pagamenti diretti, limitando le misure volte a una maggiore regolamentazione del mercato al ruolo di “strumenti d’emergenza”.
È importante sottolineare che la gran parte del budget della PAC è speso per i pagamenti diretti ai produttori (80%). I pagamenti diretti si suddividono in due categorie. La prima è il regime di pagamento unico (single payment scheme) che definisce i pagamenti slegati dalla produzione (c.d. disaccoppiati): si applica negli Stati membri di più vecchia accessione e viene erogato in quantitativi corrispondenti ai pagamenti ricevuti in un determinato periodo storico. Questa tipologia di pagamento impiega il 66% del budget del FEAGA. La seconda è il regime di pagamento unico per superficie (single area payment scheme): si applica nei nuovi Stati membri e prevede il pagamento di importi uniformi per ettaro di superfici agricole deciso dallo Stato membro. Tale categoria occupa circa il 9% del budget del FEAGA.
I produttori non sono obbligati a produrre per ricevere il pagamento diretto, a condizione che mantengano i terreni in condizioni agronomiche e ambientali soddisfacenti e rispettino altri criteri di gestione relativi alla protezione dell’ambiente, alla sanità pubblica, alla salute delle piante e al benessere degli animali. Tale vincolo è noto col termine di condizionalità. Qualora tali condizioni non vengano rispettate i pagamenti possono essere ridotti o, addirittura, soppressi.
Le misure contenute nel secondo pilastro (al quale è dedicato circa il 20% del budget complessivo della PAC) sono finalizzate a supportare lo sviluppo delle aree rurali e il raggiungimento di obiettivi ambientali. Esse sono cofinanziate dagli Stati membri e il budget a disposizione è gestito dal Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR).
Il secondo pilastro rappresenta uno strumento d’investimento pluriennale e flessibile, adeguato alle realtà locali di ciascuno Stato membro.
Tra le misure impiegate vi sono i pagamenti a beneficio di quegli agricoltori che adottano ulteriori pratiche agroecologiche, il sostegno al reddito per i produttori nelle aree più sfavorite, investimenti infrastrutturali, eccetera. Le misure del secondo pilastro si raggruppano in tre assi tematici diversi e in un asse metodologico:
1. miglioramento della competitività del settore agricolo e forestale. Include misure quali gli investimenti nelle produzioni agricole, il supporto alle giovani generazioni, i programmi di pensionamento anticipato, la gestione dell’acqua nell’agricoltura, la creazione di infrastrutture relative all’agricoltura, il ripristino del potenziale produttivo;
2. miglioramento dell’ambiente e dello spazio rurale. Include i programmi agroambientali (questi costituiscono l’unica misura obbligatoria per gli Stati, tenuti ad attivare tali programmi), la protezione dell’ambiente, le compensazioni per le aree più sfavorite;
3. miglioramento della qualità della vita nelle zone rurali e diversificazione dell’economia rurale. Include misure quali il rinnovamento e lo sviluppo dei villaggi, la fornitura di servizi basilari per l’economia e le popolazioni rurali, la diversificazione dell’attività agricola, il turismo rurale;
4. l’approccio Leader. Il cosiddetto “approccio Leader” allo sviluppo rurale consiste nella messa a punto e attuazione di progetti altamente specifici da parte di partenariati locali al fine di rispondere a particolari problemi locali. Tale approccio incoraggia il raggiungimento di obiettivi incentrati sui bisogni locali tramite il coinvolgimento degli attori locali.
La percentuale di supporto che i produttori ricevono dal secondo pilastro, in relazione al supporto ricevuto dal primo pilastro, varia notevolmente da uno Stato all’altro. Altrettanto varia è la redistribuzione delle risorse tra i vari assi del secondo pilastro. In ogni caso, è opportuno segnalare che gli Stati sono tenuti a dedicare delle percentuali minime delle risorse a disposizione del secondo pilastro ai diversi assi. Al primo asse deve essere dedicato almeno il 10%, al secondo almeno il 25% e al terzo almeno il 10%.
Allo stato dei fatti, le misure del secondo pilastro sono complementari al supporto generico fornito ai produttori dal primo pilastro.
La storia della PAC
La Politica Agricola Comune (PAC) è stata, fin dalla sua entrata in vigore nel 1962, la più importante politica comune dell’Unione Europea. A tal proposito basti ricordare che per anni circa il 70% dell’intero budget comunitario fu destinato alla PAC. Negli ultimi due decenni questa percentuale è drasticamente calata – considerando altresì che l’Unione nel frattempo si è ampliata a 27 Stati membri – rimanendo tuttavia superiore al 40%.
In origine, in un’Europa in cui gli stenti dell’ultima guerra mondiale ancora si facevano sentire, lo scopo primario della PAC era quello di garantire una produzione sufficiente di cibo al fine di soddisfare i bisogni di tutti i cittadini e di assicurare la certezza alimentare all’interno dell’area comunitaria.
L’obiettivo dell’autosufficienza alimentare fu raggiunto ben presto, già negli anni settanta, grazie a un sistema incrociato dato dall’individuazione di un prezzo di intervento (prezzo minimo di ritiro produzioni garantito dall’Unione Europea), dalla creazione di barriere all’importazione (in primis tasse e quote all’importazione) e dalle restituzioni alle esportazioni (al fine di compensare lo scarto esistente tra i prezzi europei e i prezzi inferiori vigenti sul mercato mondiale). Parallelamente, la PAC favorì la transizione
dell’agricoltura europea verso un sistema industrializzato e intensivo, fortemente basato sull’impiego di energia fossile, di prodotti chimici, di fertilizzanti, eccetera, e finalizzato alla modernizzazione del settore e all’abbassamento dei costi di produzione.
Tale sistema, però, senza un controllo dei flussi produttivi, determinò ben presto un aumento della produzione a un ritmo superiore alla capacità di assorbimento del mercato europeo, causando la produzione costante di grandi quantitativi di eccedenze, acquistate a spese del budget comunitario e accumulate negli stock o, sfruttando le sovvenzioni all’esportazione, esportate sui mercati internazionali (con impatti negativi soprattutto per i produttori nei paesi poveri). Inoltre, l’incentivo a una produzione di tipo industriale comportò l’insorgere di problemi sociali e ambientali quali l’abbandono progressivo delle campagne da parte dei piccoli produttori, l’inquinamento e il sovrasfruttamento delle risorse naturali.
La PAC ha vissuto varie stagioni di riforma nell’arco della sua storia. Le principali risalgono al 1992 e, anche se in minor misura, al 2003. Dopo alcuni interventi negli anni Ottanta, mirati principalmente all’adozione di misure volte a limitare la produzione (quali l’introduzione delle quote e del set-aside), nel 1992 fu lanciata la prima grande riforma, la cosiddetta riforma MacSharry, come esito di un processo fortemente influenzato dagli accordi internazionali in materia di commercio internazionale che proprio in quegli anni determinarono la nascita dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). In tale occasione si diede il via all’abbandono del sistema precedente impostato sugli interventi su prezzi, restituzioni all’esportazione, eccetera, a favore di un sistema incentrato sui pagamenti diretti ai produttori agricoli. All’epoca la maggior parte di tali pagamenti erano direttamente proporzionali alla superficie delle terre coltivate o al numero degli animali allevati. Tale riforma – di ispirazione chiaramente liberista – portò al progressivo allineamento dei prezzi interni con quelli internazionali, allo scopo di rendere i prodotti europei più competitivi sul mercato senza ricorrere ai sussidi all’esportazione. Come accennato poc’anzi, la riduzione dei prezzi fu compensata, anche se solo parzialmente, dall’introduzione di aiuti diretti ai produttori.
Negli anni successivi alla riforma, si determinò una progressiva riduzione del prezzo al produttore (circa dell’1,1% nel periodo 1995-2002), a cui non corrispose una pari riduzione del prezzo finale pagato dai consumatori che, al contrario, aumentò di circa l’11% nel periodo 1995-2002.
Le riforme successive, avvenute nel 1999, nel 2003 e nel 2008, non si discostarono dall’impostazione introdotta nel 1992. Nel 1999 l’Agenda 2000 introdusse il cosiddetto secondo pilastro (che affianca il primo pilastro), dedicato allo sviluppo delle aree rurali e alla multifunzionalità dell’attività agricola: in tale contesto si inseriscono attività quali gli schemi agroambientali, il supporto alle aree marginali e i programmi di pensionamento anticipato. L’Agenda 2000 introdusse infine il concetto della “modulazione”, vale a dire la
possibilità per gli Stati di trasferire una certa percentuale dei fondi destinati al primo pilastro nel secondo pilastro, nell’ottica di una futura ed eventuale eliminazione del primo.
Nel 2003 la Riforma di Medio Termine impose un forte disaccoppiamento nel supporto diretto ai produttori. Con l’introduzione del disaccoppiamento la maggior parte dei contributi dati ai produttori non fu più direttamente legata ai quantitativi prodotti, alle superfici coltivate o al numero di animali allevati.
Uno dei risultati principali delle riforme descritte è che ora il reddito di gran parte degli agricoltori dipende dai pagamenti ricevuti anziché dai prezzi agricoli dal momento che, come esito delle innovazioni liberiste e del conseguente allineamento del prezzi europei rispetto a quelli internazionali, molti di essi non riescono a coprire gli elevati costi di produzione all’interno dell’UE e a ottenere profitti che li ripaghino della loro attività produttiva. Tale linea è stata confermata anche dall’ultima riforma avvenuta nel 2008 – il cosiddetto
“controllo dello stato di salute” – che ha determinato un’ulteriore spinta al disaccoppiamento nel sistema dei pagamenti diretti. Con tale riforma sono, altresì, aumentate le risorse destinate al secondo pilastro.
Uno degli effetti più nefasti di tutte le riforme liberiste adottate dagli anni Novanta in avanti è rappresentata da un grave aumento della volatilità dei prezzi, fenomeno deleterio per le aziende agricole: essa, infatti, può causare, da un lato, inflazione o, dall’altro, impedire agli agricoltori di ottenere un reddito adeguato per il loro lavoro. Tale instabilità dei prezzi, inoltre, non è per nulla invalidata dal sistema dei pagamenti, poiché nei periodi di abbassamenti drastici dei prezzi, i pagamenti risultano insufficienti, mentre nei periodi di prezzi elevati, i pagamenti risultano all’opposto inutili.
La PAC oggi: i suoi limiti
In questo paragrafo saranno presentati gli elementi di maggiore preoccupazione che, secondo Slow Food, caratterizzano la PAC odierna e la cui risoluzione risulta, di conseguenza, di primario interesse nel processo di riforma.
L’iniquità
L’attuale sistema dei pagamenti diretti è particolarmente iniquo, su due fronti diversi. Innanzitutto, la distribuzione dei pagamenti non è uniforme tra i vari produttori agroalimentari. Secondo le stime della Commissione Europea, l’85% dei pagamenti va a beneficio di appena il 18% delle produzioni mentre l’1,58% dei produttori riceve pagamenti diretti superiori ai 50.000€ (Commissione Europea, 2010). In secondo luogo, il sistema dei pagamenti diretti è iniquo anche per quanto riguarda la distribuzione delle risorse fra i
diversi Stati membri. I criteri in base ai quali i pagamenti sono assegnati e ripartiti fra gli Stati di più vecchia accessione si rifanno, in generale, all’ammontare di aiuti ricevuti durante un periodo di riferimento storico mentre, per gli Stati entrati nell’Unione dal 2004 in avanti, il criterio di ripartizione – non potendosi basare sulla stessa formula applicata agli altri Stati – è impostato su un unico importo per ettaro. Questi ultimi aiuti risultano sensibilmente inferiori rispetto a quelli percepiti dagli Stati di vecchia accessione. Appare dunque evidente l’iniquità insita nell’attuale sistema.
Inoltre, legare il sostegno alle produzioni a criteri “storici” ne determina l’incapacità di riflettere lo stato attuale del mercato e le necessità della produzione agroalimentare in Europa. Tale sistema mantiene, infatti, implicitamente in vita la “vecchia” tendenza degli aiuti comunitari a beneficiare i grandi produttori, non offrendo un supporto adeguato a coloro i quali necessiterebbero e In questo documento, il termine inglese food security viene tradotto in italiano con “certezza alimentare” per distinguerlo dal concetto di “sicurezza alimentare” che corrisponde all’inglese food safety meriterebbero veramente di riceverlo, ossia i produttori sostenibili di piccola e media scala.
L’ingiustizia
Prendendo in esame la sfera alimentare, lo scenario generale nell’Unione Europea è quanto mai paradossale: su una popolazione totale di poco meno di 500 milioni di abitanti, 42 milioni vivono in condizioni di forte deprivazione (fonte Eurostat, 2010), più di 250 milioni sono sovrappeso (fonte Commissione Europea, 2010) e il 15,5% è obeso (fonte Commissione Europea, 2010). Tutto questo si registra mentre 90 milioni di tonnellate di cibo ogni anno – l’equivalente di circa 179 kg pro capite – sono sprecate (fonte Eurostat, 2010).
Tale scenario non fa altro che replicare, su scala regionale, il panorama mondiale in cui, a fronte di una popolazione mondiale di 7 miliardi di persone, 925 milioni sono sottoalimentate (fonte FAO, 2010), 1,5 miliardi di adulti è sovrappeso (fonte OMS, 2008) e 1,3 miliardi di tonnellate di cibo (che equivalgono a circa 1/3 della produzione mondiale) sono sprecate ogni anno (fonte FAO, 2011).
Il quadro appena delineato è inaccettabile e rappresenta una delle più gravi ingiustizie perpetrate nel mondo contemporaneo.
L’Unione Europea deve fornire una risposta concreta a livello comunitario – e contribuire a farlo a livello mondiale – all’immoralità del modello descritto. Non si può più tollerare che, in nome del profitto dell’agroindustria e del modello economico/sociale in cui questa si inserisce, siano perpetuate condizioni di estrema ineguaglianza e siano causati gravi danni alla salute delle persone.
La disoccupazione e il declino del lavoro nel settore agricolo
Un altro fenomeno preoccupante determinato, in qualche misura, dalle politiche agricole, è la diminuzione dell’occupazione nel settore agricolo. La spinta verso una sempre maggiore produttività, basata però unicamente sull’incremento di fattori produttivi diversi dal lavoro umano, ha portato a una drastica diminuzione dell’occupazione. L’Unione Europea a 27 Stati membri ha perso, nel settore agricolo, 3,7 milioni di posti di lavoro a tempo pieno – vale a dire ¼ e degli attivi – nell’arco di nove anni (fonte Commissione Europea, 2010). Paesi fondamentali per l’agricoltura europea, quali l’Italia, la Francia e la Germania hanno visto – nel periodo dal 1975 al 2005 – la percentuale di manodopera impegnata nel settore diminuire annualmente rispettivamente del 2,3%, del 2,8% e del 3% (fonte Commissione Europea, 2010). Complessivamente, in Francia la percentuale di persone impegnate nel settore agricolo è scesa dal 30% al 3% nell’arco di cinquant’anni. Ancora, nel 2007 – con l’entrata nell’UE della Bulgaria e della Romania – la popolazione agricola attiva era di circa 14 milioni, mentre oggi, a distanza di pochi anni, si è ridotta a 11 milioni.
Un altro dato significativo riguarda la dimensione delle aziende, che tendono a essere sempre più grandi e a elevata concentrazione di capitale e terreno. Dal 1980 a oggi, sono infatti cresciute in media del 66%.
Infine, come conseguenza diretta della liberalizzazione del mercato agricolo e della corsa al ribasso dei costi di produzione si assiste alla concentrazione delle produzioni dove essi sono più bassi: attualmente il 50% del territorio agricolo utilizzato e il 10% della produzione dell’UE è concentrato in soli tre paesi.
L’inadeguatezza del reddito agricolo e l’ingiustizia del prezzo
Alla riduzione di occupazione non è corrisposto, come implicitamente concordato tra le istituzioni e gli agricoltori europei, un aumento del reddito dei lavoratori nel settore agricolo paragonabile a quello registrato in altri settori professionali. I redditi agricoli sono, in generale, inferiori ai redditi percepiti negli altri settori lavorativi (fonte Commissione Europea, 2010). Il reddito insufficiente rimane uno dei fattori determinanti che porta alla scomparsa di molte produzioni agricole, specialmente nelle aree in cui i costi di produzione sono più elevati.
Attualmente il reddito dei produttori agricoli è strettamente dipendente dal sistema dei pagamenti diretti: il prezzo di mercato non è più in grado, infatti, di remunerare adeguatamente il produttore. Con l’apertura dei mercati, il prezzo di riferimento è divenuto il prezzo mondiale, il quale, tuttavia, non riflette la realtà produttiva della maggior parte degli agricoltori europei. Produrre in Europa comporta, infatti, alti costi. Tuttavia, il prezzo, scollegato da questi ultimi, si situa a un livello troppo basso per costituire una remunerazione
adeguata per i produttori. Tra il 1995 e il 2002 i prezzi alla produzione sono addirittura diminuiti dell’1,1%. Inoltre, nella remunerazione dei produttori non sono tenuti in conto i servizi ambientali forniti dall’attività agricola, né gli alti standard di sicurezza alimentare (fonte Parlamento Europeo, 2004).
D’altro canto, al calo dei prezzi al produttore non è corrisposto un calo dei prezzi al consumatore: infatti, nello stesso periodo di riferimento (1995-2002), questi sono aumentati dell’11% (fonte Parlamento Europeo, 2004). Questa difformità è sintomatica di un più generale disequilibrio all’interno della filiera alimentare. I piccoli produttori e i consumatori, gli “estremi” della filiera, rappresentano gli elementi più deboli e non hanno a disposizione mezzi adeguati per fronteggiare il potere dei grandi gruppi della produzione e della distribuzione.
Infine, l’instabilità dei prezzi a livello internazionale – fenomeno che negli ultimi anni ha avuto un andamento drammatico – porta con sé gravi conseguenze. I periodi di prezzi elevati, infatti, sono causa di inflazione, dannosa tanto per i produttori quanto per i consumatori. Specularmente, i periodi di prezzi bassi impediscono ai produttori di contare su un reddito sufficiente per continuare la propria attività, causandone spesso il fallimento e favorendo l’abbandono delle campagne. Basti pensare che, negli ultimi anni, il reddito agricolo in alcuni casi è variato anche del 30% (fonte Commissione Europea, 2010).
L’instabilità dei mercati è stata aggravata dalla progressiva eliminazione delle misure volte a regolare il mercato e da fenomeni quali la speculazione sui mercati alimentari. La volatilità dei prezzi – all’origine delle rivolte per il cibo avvenute in oltre 30 paesi del mondo, soprattutto nel 2008 – impedisce l’accesso al cibo da parte delle popolazioni più vulnerabili dal punto di vista economico e di quei paesi particolarmente dipendenti dalle importazioni.
La questione ambientale e climatica
La PAC, e la produzione agroalimentare che essa determina, sono anche fattori in grado di incidere fortemente sulle problematiche ambientali e climatiche. Il modello agroalimentare industriale che ha arricchito l’Europa e i grandi produttori negli ultimi cinquant’anni è, al contempo, causa dell’inquinamento, in parte irreversibile, delle acque, dell’aria e dei suoli, con conseguenti danni in termini di salute pubblica, fertilità dei suoli, prosperità delle campagne, eccetera. Questo modello agroindustriale trova il suo paradigma nello sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, quali i suoli, le fonti idriche, le foreste, i mari. La crescita è stata resa possibile proprio dall’uso di tali risorse, alle quali per molto tempo non si è attribuito un grande valore – né dal punto di vista etico né dal punto di vista economico – nella convinzione, rivelatasi drammaticamente fallace, che queste fossero inesauribili. Da molti, inoltre, sono state a lungo percepite come res nullius, cose di nessuno, la cui appropriazione e il conseguente utilizzo nei processi produttivi
risultava, sostanzialmente, a costo zero. Oggi, tali risorse sono sempre più considerate “beni comuni” indispensabili alla vita e nei cui confronti, di conseguenza, è necessaria una tutela particolare che garantisca a tutti il diritto di accedervi.
È perciò tempo, per le politiche comunitarie, di predisporre misure concrete affinché queste risorse siano preservate e mantenute per le generazioni future, vista l’incapacità del mercato di rispondere a tale esigenza. Ciò non esclude, tuttavia, la necessità di prevedere un sistema di governance mondiale di molte di queste risorse naturali e una risposta coordinata su scala globale alle problematiche climatiche: pur giocando un ruolo essenziale, le eventuali misure adottate dall’Unione Europea non potranno risolvere in toto tali questioni ed esaurire la lista di attori coinvolti, essendo la gran parte di tali problematiche intrinsecamente transfrontaliere.
Lo stato in cui versano alcune delle risorse naturali solleva particolari preoccupazioni. In primo luogo, è ormai evidente come l’inquinamento e, soprattutto, l’esaurimento delle fonti idriche – dovuto a fenomeni quali l’alterazione del sistema dei ghiacci perenni, la deforestazione, il consumo indiscriminato, l’innalzamento del livello delle acque salate e la conseguente riduzione delle fonti di acqua dolce – costituirà un grande fattore di tensione nei decenni a venire. Già oggi la scarsità d’acqua colpisce almeno l’11% della popolazione europea e il 17% del territorio dell’Unione. Il 20% delle acque di superficie è a rischio inquinamento, mentre il 60% delle città europee sfrutta in eccesso le fonti sotterranee (fonte Commissione Europea, 2010).
La PAC ricopre, in tale ambito, un ruolo fondamentale: in media il 24% dell’acqua usata in Europa è destinata all’agricoltura, percentuale che nel sud dell’Europa sale in media al 60% e addirittura all’80% in certe aree (fonte European Environmental Agency, 2009). È, perciò, evidente la ragione per cui debba essere la PAC la prima politica a dare una risposta alla crisi idrica.
Altra priorità è costituita dalla perdita dei suoli. Le terre destinate all’agricoltura stanno diminuendo in quantità e si stanno degradando in qualità sotto i colpi inferti dallo sfruttamento insostenibile dei terreni, dal cambiamento climatico (si stima che circa il 15% delle terre nell’Unione Europea sia danneggiato dall’erosione), dall’inquinamento, dalla contaminazione e da una cementificazione indiscriminata. Il terreno fertile è un bene che si sviluppa in migliaia di anni: si stima che per “produrre” due centimetri di terreno fertile ce ne vogliono oltre 500. Con la costruzione di un edificio si elimina lo strato superficiale fertile del terreno, privandolo per sempre della sua capacità produttiva. Il costo della perdita dei suoli nell’Unione Europea è quantificato in circa 38 miliardi di euro all’anno (fonte Commissione Europea, 2010).
Il suolo non è solo fondamentale per la produzione agroalimentare. Il terreno in buone condizioni riduce i rischi di alluvioni e protegge le fonti idriche di profondità neutralizzando o filtrando eventuali inquinanti e “immagazzinando” fino a 3750 tonnellate di acqua per ettaro.
Nell’ottica della lotta ai cambiamenti climatici, inoltre, il suolo può ricoprire un ruolo rilevante, ma spesso sottovalutato: può infatti immagazzinare il doppio della quantità di carbonio che i vegetali sono in grado di trattenere, giungendo a catturare circa il 20% delle emissioni di anidride carbonica.
Una menzione a parte va riservata alla problematica relativa alla perdita di biodiversità e al degrado degli ecosistemi. L’agricoltura intensiva e i metodi agroindustriali hanno contribuito a tale processo tramite l’uso massiccio di pesticidi, l’inquinamento, la drastica diminuzione delle varietà coltivate e delle razze allevate, la privatizzazione delle sementi.
Si stima che l’80% della biodiversità legata al cibo sia andata perduta, che un terzo delle razze bovine, ovine e suine autoctone sia estinto o in pericolo di estinzione, e che, più in generale, tra le 150 e le 200 specie viventi si estinguano ogni 24 ore (fonte UNEP).
Le varietà vegetali e le razze animali locali sono le più adatte alle condizioni pedoclimatiche del territorio in cui si sono acclimatate nel corso dei secoli, grazie all’opera dell’uomo, e in quel territorio esprimono il meglio delle loro potenzialità. Per questo sono più resistenti e richiedono meno interventi esterni. Sono quindi più sostenibili, sia dal punto di vista ambientale sia dal punto di vista economico.
Oggi, soltanto 12 specie di piante e 5 specie di animali forniscono più del 70% di ciò di cui l’uomo si alimenta. Alcune statistiche indicano che fino all’80% degli habitat protetti in Europa sono sotto seria minaccia (fonte Commissione Europea, 2009). Ulteriori stime quantificano la perdita annua della capacità degli ecosistemi di fornire servizi in 50 miliardi di euro. Inoltre, entro il 2050, in mancanza di contromisure efficaci, la perdita della sola biodiversità “terrestre” costerà all’UE il 7% del PIL (fonte Commissione
Europea, 2008).
L’agricoltura e, in generale, l’industria alimentare nell’Unione Europea è uno dei fattori determinanti del cambiamento climatico, sebbene tale consapevolezza sia ancora poco diffusa. L’agricoltura, parallelamente, costituisce una delle attività su cui il cambiamento climatico inciderà di più: fenomeni quali l’aumento delle temperature, la siccità, lo spostamento delle zone fertili verso i poli e le inondazioni avranno
infatti serie ripercussioni sulla produzione agricola.
L’agricoltura (compreso l’allevamento che è causa di una grande percentuale delle emissioni di gas serra), la produzione del cibo e la sua commercializzazione consumano più energia fossile di qualsiasi altro settore industriale. L’effetto serra e l’inquinamento sono aggravati anche dalle migliaia di chilometri percorsi dal cibo nei processi produttivi, di trasformazione e distributivi. In generale, il 9% delle emissioni totali di gas serra dell’intera Unione Europea è imputabile all’agricoltura (fonte European Environmental Agency, 2008).
Le misure intraprese finora per porre un freno alla deriva ambientale del continente europeo si sono rivelate poco efficaci. Il sistema della “condizionalità” (vedi Appendice 1) contribuisce in maniera solo parziale al mantenimento dei terreni in buone condizioni agronomiche e ambientali. Le carenze, infatti, sono numerose e gravi: basti pensare alla vaghezza con la quale la maggior parte dei requisiti sono definiti, alla carenza e all’inadeguatezza dei sistemi di controllo e delle sanzioni, alla mancanza di monitoraggio e disistemi di valutazione. Inoltre, molti dei programmi di sviluppo rurale compresi nel secondo pilastro continuano tuttora a prevedere l’impiego di misure che nella pratica ledono la biodiversità e non supportano un sistema agroecologico.
Il cibo e la salute pubblica
Più della metà della popolazione adulta nell’Unione Europea è sovrappeso o obesa. In paesi quali il Regno Unito, l’Irlanda e Malta la percentuale di persone obese si assesta attorno al 20%. Altre statistiche (fonte Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, OCSE) indicano che un bambino su sette nell’Unione Europea è sovrappeso o obeso. Nel sud Europa (Malta, Grecia, Portogallo, Italia, Spagna) il rapporto è di un bambino su cinque.
I tassi di crescita di tali percentuali costituiscono un fattore di grave preoccupazione: l’obesità, infatti, è un fattore di rischio per numerosi problemi di salute quale l’ipertensione, il diabete, le patologie cardiovascolari, i problemi respiratori e per alcune forme di cancro. Anche il rischio di mortalità cresce sensibilmente una volta superata la soglia del sovrappeso. Gli effetti della malnutrizione, dell’obesità e dell’iperalimentazione – oltre a essere gravi dal punto di vista della salute pubblica – possono avere serie ripercussioni sul budget sanitario di un paese. A tal riguardo, basti pensare che a livello europeo ben il 7% delle spese sanitarie è imputabile a patologie legate all’obesità (fonte Commissione Europea, 2006).
I fattori che contribuiscono all’obesità sono molteplici, ma fra i principali ci sono l’iperalimentazione e le diete non bilanciate.
Il rapporto che ha sempre legato l’uomo al proprio cibo è progressivamente andato perduto. La semplificazione e l’uniformazione dei metodi di produzione, di trasformazione e di consumo del cibo – in nome di una maggiore “velocità” e di una globalizzazione vista come mera omologazione – ha provocato una progressiva erosione della cultura alimentare, un tempo patrimonio comune di tutti, e imposto “il prezzo” come principale criterio per operare le proprie scelte e, conseguentemente, impostare la propria dieta.
Ciò ha comportato, da un lato, lo svilimento del ruolo del cibo, che non rappresenta più una risorsa essenziale che va rispettata: lo si può consumare in eccesso (iperalimentazione) o, al contrario, sprecarlo senza che ciò comporti conseguenze immediatamente visibili (il 42% degli sprechi avviene a livello domestico, vedi par. 2); dall’altro ha fatto sì che, all’atto dell’acquisto, la preferenza del consumatore ricada su cibi più economici. Tuttavia, spesso, il cibo più economico è di qualità scadente. Come Slow Food spiega da anni, produrre un cibo buono, pulito e giusto comporta dei costi. Il prezzo basso spesso è reso possibile dall’impiego, nel processo produttivo, di metodi industriali che consentono l’abbattimento dei costi di produzione. Tali metodi di produzione sono, ovviamente, tipici delle grandi produzioni, che oltretutto beneficiano in larga misura di forti sostegni economici da parte della PAC, potendo in tal modo abbassare ulteriormente i costi e quindi i prezzi di vendita. Se si considera, infine, che il cibo prodotto dall’agroindustria
è più facilmente reperibile tramite i canali della grande distribuzione, si comprende immediatamente come sia lo stesso sistema agroalimentare il primo elemento a favorire l’adozione di diete sbagliate e il consumo di cibo di bassa qualità.
È evidente che le fasce a reddito più basso sono le più “esposte” al cibo economico di bassa qualità e di facile reperibilità. Insita in tale quadro, vi è un’ulteriore ingiustizia, di cui non si è dato conto finora, che vede il cibo sano e di qualità come un privilegio “riservato” alle fasce di reddito più alte. La qualità del cibo è invece una componente essenziale del diritto al cibo. Tutti, senza alcuna distinzione di censo, hanno diritto a un cibo sano, nutriente e di qualità.
AltrAgricoltura Nord Est
giovedì 8 dicembre 2011
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