Lo sciopero a Nardò (Lecce) è finito.
Dopo 13 giorni difficilissimi lo sciopero è sostanzialmente finito alla Masseria Boncuri di
Nardò (Lecce). Yvan, il leader camerunense della protesta, se ne è andato dopo una notte, quella di
giovedì 12 agosto, ad alta tensione tra gli stessi scioperanti. Il gruppo di migranti che, pur
politicamente inesperto, aveva imposto una lotta coraggiosa si è fatto così consumare dal logorio
continuo delle pressioni padronali e istituzionali, di attenzioni sindacali e massmediatiche (sono
passati giornalisti della carta stampata e delle televisioni locali e nazionali), nonché di dicerie
dispensate ad arte da altri migranti e dai caporali sui privilegi, in realtà inesistenti, di alcuni
protagonisti. Certo, il decreto d’urgenza emanato ieri dal governo, peraltro una vera manovra di classe,
introduce all’articolo 12 il reato di “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”: si tratta di un
riconoscimento importante della lotta sostenuta dai lavoratori africani qui a Nardò. Per il momento,
però, i caporali continuano indisturbati a muoversi dentro e fuori il campo, nonostante la decina di
denunce che gli stessi migranti hanno risolutamente presentato in questi giorni alle forze dell’ordine.
Le prime falle tra gli scioperanti si erano create venerdì mattina 5 agosto, dopo che per sei
giorni il blocco era stato pressoché totale. Da un lato si registravano i primi risultati concreti: aumento
del cottimo e alcuni contratti regolari. Dall’altro era iniziata su più fronti l’azione di padroni e
caporali: ingaggio di crumiri provenienti anche dalla provincia di Foggia; suggerimenti da parte dei
caporali per alimentare conflitti tra scioperanti di diverse nazionalità; minacce dirette e indirette ai
protagonisti più in vista. A questo nel corso dell’ultima settimana si sono aggiunti i tavoli concertativi
in Prefettura a Lecce e in Regione a Bari, che hanno spossato lo slancio generoso dei migranti in una
lotta nella quale si sono infilati progressivamente molti soggetti. Le pratiche istituzionali come
strumento per stanare le aziende non stanno dando i risultati agognati. Addirittura, la Cia Puglia, una
delle organizzazioni padronali del settore, con un comunicato stampa ha rivendicato la propria assenza
al tavolo regionale poiché essa “non rappresenta e né intende rappresentare presunti agricoltori, per lo
più mediatori e commercianti che utilizzano in modo selvaggio i caporali e praticano lo schiavismo”.
Sul fronte sindacale, la Flai-Cgil è stato l’unico sindacato che ha sostenuto la protesta; esso da
un lato ha puntato sui tavoli istituzionali e su un ristretto gruppo di migranti, facendo ventilare sembra
a uno di questi l’assunzione presso la Cgil di Lecce in qualità di “referente per gli immigrati”;
dall’altro lato ha evitato la contrattazione collettiva diretta e fornito scarso sostegno pratico agli
scioperanti nei campi e nei blocchi stradali, nonostante conti oltre 5.000 iscritti in provincia.
Gli accordi sottoscritti in Regione riguardano l’istituzione di liste di prenotazione per i
lavoratori immigrati stagionali a livello sperimentale presso il Centro per l’impiego di Nardò, dalle
quali il padronato dovrebbe scegliere la sua forza lavoro. Il trasporto dalla masseria fino ai campi,
2
garantito gratuitamente dal Comune di Nardò, avverrà solo per quanti saranno scelti dalle aziende
dalle liste di prenotazione. Nel frattempo la Regione sta cercando di individuare le imprese produttrici
di pomodori attraverso l’Agea, l’ente che gestisce i contributi europei: Regione e sindacato sperano di
coinvolgere almeno tre o quattro aziende “virtuose”, per poi provare a riproporre questo “schema” in
altri contesti, primo tra tutti la Capitanata. Molti immigrati, anche tra quanti già lavorano, si sono
iscritti alle liste, ma le aziende non sono obbligate ad assumere attraverso il Centro per l’impiego,
sicché poco è cambiato, e siamo ormai agli sgoccioli della raccolta. Vero è che una decina di migranti
sono stati regolarmente e direttamente assunti da un’azienda nei giorni scorsi, pagati con salario orario
e ospitati in locali di proprietà della stessa.
Nella Masseria già nel pomeriggio di giovedì si respirava un’aria di delusione. Lo stesso Yvan
affermava: “C’è un sentimento di amarezza perché avevamo dato tutto in questa battaglia per avere dei
risultati subito, ma non è successo nulla. Però sappiamo che le vittorie sono difficili da ottenere e che
occorre sempre continuare a lottare perché se non si lotta non si ottiene niente. D’altra parte c’è un
sentimento di vittoria perché qualcosa si è mosso sul piano politico, istituzionale, poi la stampa ne ha
parlato”. Lo sciopero ha comunque permesso a molti immigrati di sentirsi meno soli e di intraprendere
anche percorsi di presa di parola diretta: “ho denunciato il mio padrone perché mi aveva assunto
regolarmente, ma mi continuava a pagare a cassone e non a ore, come dovrebbe”, afferma Karim, giovane tunisino.
Nonostante molti migranti siano stati costretti da necessità impellenti a ritornare al lavoro, la
lotta sembra averli resi maggiormente consapevoli della loro forza. Molti di loro non avevano mai
scioperato prima: “è una classe di lavoratori che pensa subito al presente, a quello che guadagna alla
giornata”, sosteneva Yvan. Migranti abituati alla fatica e allo scarso guadagno, a sistemazioni
disagiate, ma evidentemente in difficoltà nella gestione politica di uno sciopero così prolungato. E i
volontari dell’Associazione Finis Terrae e delle Brigate di solidarietà attiva hanno potuto fare ben
poco per arginare le molte pressioni subite dai braccianti.
La situazione al campo rimane tesa e la chiusura è stata anticipata di una decina di giorni. Il
sindaco di Nardò in visita sabato 13 agosto ha promesso una certa attenzione ai bisogni dei migranti,
in particolare a quanti necessitano di andarsene e sono senza un soldo. Come talvolta accade quando
gli scioperi si concludono, salgono alla ribalta di nuovo gli individualismi e i piccoli egoismi
personali, che si erano sopiti nella lotta. Pur con i suoi limiti, lo sciopero dei lavoratori africani di
Nardò ci ha mostrato che è possibile e necessario, anche nelle condizioni più complicate, autoorganizzarsi
e rivendicare migliori condizioni di lavoro e di vita. Di questo si dovrà tenere conto nei
prossimi difficili mesi, non solo tra i migranti.
(di Mimmo Perrotta, Devi Sacchetto - Nardò, 12-14.8.2011)
dueconques@libero.it
lunedì 15 agosto 2011
|