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Il tango del cotone.

La fluttuazione delle azioni del cotone. Come l'economia del capitale stravolge la vita dei contadini e delle piccole imprese cinesi.

Gao è un contadino cinese, coltiva cotone nella provincia occidentale dello Xinjiang. Durante il primo semestre di quest'anno, sopra i suoi sette ettari di coltivazione, si sono abbattute diverse tormenti di neve, pioggia e grandine. Alla fine della stagione, Gao è riuscito a raccogliere solo cento quintali di fiocchi di cotone: meno di un terzo del raccolto dell'anno precedente. «Ero disperato – confessa il contadino – avevo intenzione di farla finita col cotone ed iniziare a coltivare grano..». Poi, inaspettatamente, le cose sono cambiate. «Dopo pochi mesi, invece della grandine, dal cielo è incominciato a piovere oro! – racconta Gao, e sul suo volto traspare tutta l'eccitazione di quel momento – Appena sono usciti i fiocchi del cotone, già c'erano i compratori pronti a pagarlo 10 Yuan al chilo (circa un Euro e cinquanta centesimi ndr)...oggi lo vendo a 13 Yuan, mentre l'anno scorso era 6 Yuan al chilo e prima ancora solo 3 Yuan». Da cosa è dipeso un così impressionante rialzo del prezzo d'acquisto? Gao ce lo spiega a parole sue: «È tutta una roba che ha a che fare con le azioni in borsa – sostiene sorridendo il coltivatore – io l'ho sentito dire in televisione...ma non è che ci abbia capito poi tanto». Gao non ci è andato lontano: il rialzo del cotone è dipeso da una speculazione – sui mercati finanziari mondiali e cinesi – di contratti a termine “futures”.

Il tango del cotone – Il 12 agosto il Dipartimento per l'Agricoltura degli Stati Uniti annuncia un un gap di circa 2 milioni e 300 mila tonnellate di cotone, tra la produzione nazionale di questa materia prima ed il fabbisogno di mercato. L'annuncio del Dipartimento per l'Agricoltura americano fa scattare sul mercato azionario un esplosione di acquisti e speculazioni sui contratti a termine futures, innalzando il prezzo del cotone fino a raggiunge, nel solo mese di dicembre, quota 171,42 centesimi di Dollaro al chilo. Seguendo l'ondata di rialzo dei titoli americani, i mercati azionari cinesi hanno fatto così piovere quest'anno, sulle teste dei coltivatori di cotone, quel famoso 'oro' di cui parlava eccitato Gao. Ma non è tutto oro quello che riluce: lo sostengono gli esperti. «È difficile prevedere fino a quando durerà questo rialzo – sostiene Wu Junliang, direttore di una società finanziaria che, sin dall'inizio del 'boom del cotone', tiene sott'occhio il mercato finanziario – i prezzi potrebbero scendere drasticamente nel giro di pochi mesi...il mercato del cotone è come un tango – ironizza Wu – si va su e giù sino a quando i ballerini hanno la forza di ballare». Secondo gli esperti asiatici, per seguire i passi di questo 'tango', non bisogna puntare lo sguardo solo sul mercato americano ma anche su quello Cinese. Lo spiega Xu Shimin, consulente finanziario con una lunga esperienza nel mercato azionario agricolo. «Un'altra ragione del rialzo del prezzo del cotone in Cina – afferma Xu – oltre naturalmente al gap tra produzione e richiesta di mercato negli Stati Uniti, sono state le politiche di finanziamento del governo cinese all'agricoltura – secondo il consulente – queste politiche favorendo altre colture, come ad esempio il grano e il mais, hanno spinto gli agricoltori a non investire nel cotone, portando la produzione di questa materia prima a non soddisfare il fabbisogno dei mercati». La versione di Xu trova riscontro nelle statistiche. Nel 2009, infatti, nella sola provincia dello Xinjiang, si è riscontrata una diminuzione della produzione di cotone, rispetto all'anno precedente, di ben 5 milioni e 250 mila tonnellate (il doppio del gap di produzione degli interi Stati Uniti): una perdita di materia prima consistente per le industrie tessili cinesi, sempre ai primi posti nelle esportazioni all'estero. Una speculazione senza precedenti – Ma allora, se la materia prima è diventata più costosa, come mai non si è assistito ad un conseguente aumento dei prezzi sui prodotti tessili provenienti dalla Cina? «Non dobbiamo lasciarci trarre in inganno – spiega Huang Hongjun, consulente finanziario di una grossa compagnia di investimenti della provincia dello Zhejiang – le grandi industrie tessili non solo non hanno subito perdite a causa del rincaro dei costi del cotone, ma ne sono state complici! Quando ancora il mercato era stabile – spiega il consulente finanziario – le grandi industrie del settore manifatturiero hanno fatto scorta di materie prime, con una voracità senza precedenti in Cina. Così facendo – chiarisce Huang – la restante quantità di cotone presente sul mercato, non sufficiente a soddisfare il fabbisogno delle altre imprese del settore, è stata venduta ad un prezzo esageratamente alto a causa della forte richiesta. Ciò ha favorito i rivenditori di primo livello (coloro che comprano il cotone dai coltivatori e lo rivendono alle industrie ndr), che hanno speculato a danno delle piccole imprese».

Come mai le industrie tessili hanno deciso di comprare così tanta materia prima, per far fronte ad un aumento della produzione? «Niente affatto! Le industrie tessili sono state le prime a speculare – esclama Huang, prima di abbandonarsi al sorriso compiaciuto di colui che conosce la verità dei fatti – le grandi compagnie tessili hanno aspettato che il prezzo del cotone salisse alle stelle per poi rivendere, a costi più competitivi, il cotone in più che avevano stoccato. Le piccole imprese – aggiunge l'economista – si sono così trovate in mezzo ad una morsa letale: da una parte c'era il cotone di mercato a prezzi proibitivi, dall'altra quello venduto dalle grandi industrie tessili, a cosi più bassi, ma comunque non concorrenziali. Molte piccole industrie, a causa di questa speculazione – commenta con rammarico Huang – sono fallite o hanno dovuto chiudere i battenti!». Ed in merito alla questione c'è chi, come il consulente finanziario Wu Junliang, ammette persino che: «Probabilmente le grandi industrie tessili guadagnano più sulla speculazione del cotone, che sugli introiti delle vendite di vestiario...». Per garantire alle grandi compagnie del settore manifatturiero tutta la liquidità necessaria ad attuare questa strategia speculativa, è stato fondamentale l'aiuto delle banche. «A causa della rinomata salute di cui gode l'economia cinese – precisano gli esperti asiatici – le politiche sul prestito bancario oggi in Cina sono molto...come dire...'rilassate'». È facile ottenere un prestito insomma, soprattutto – aggiungiamo noi – se la banca è a conoscenza che il creditore è una grande azienda che non avrà problemi a restituire il denaro: speculare sulle materie prime è un'impresa redditizia, questo gli istituti di credito lo sanno fin troppo bene. Nel frattempo, tra una speculazione e l'altra, il 'tango del cotone' continua a dare spettacolo sul palcoscenico del capitale. Grandi industrie accrescono i guadagni, piccole industrie chiudono i battenti. In mezzo a tutto questo, ci sono i piccoli coltivatori come Gao: si fanno portare nel giro di questo tango, godendo fin che possono del ritmo vivace di quest'economia, con la vana speranza che questa musica duri per sempre... (di Mirko Misceo)
www.controlacrisi.org

lunedì 29 novembre 2010


 
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