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SOVRANITA' ALIMENTARE, I GAP PRENDONO PAROLA .

La globalizzazione neoliberista, il modello produttivo agricolo che ne discende e la nuova divisione del lavoro agricolo a livello internazionale stanno provocando il collasso dell’economia agricola. E’ infatti sempre più evidente la contraddizione tra il modo di produzione capitalistico e le forze produttive in agricoltura, che sono ostacolate e distrutte dai rapporti di mercato. Laddove l’agricoltura resiste, costituendo pur sempre la maggioranza della forza lavoro a livello mondiale, si caratterizza prevalentemente per monocolture intensive e ambientalmente insostenibili, col compito di area produttiva per il Nord del mondo e deprivando gran parte dei contadini del Sud della necessaria agrobiodiversità per le necessità alimentari. L’intreccio con la finanziariazione di beni alimentari, diventati merce “rifugio” della speculazione, rende ancor più problematica la situazione dal punto di vista del prezzo e dell’accesso al cibo. L’accesso al cibo è comunque reso proibitivo dai bassi redditi delle popolazioni contadine del Sud , comportando un aumento della popolazione affamata nel mondo; tutto ciò nonostante le promesse di sconfiggere la fame con l’agricoltura industriale e gli Ogm da parte delle multinazionali dell’agroindustria.

L’alternativa a questa situazione che, dopo il petrolio e l’acqua, vedrà sempre più il cibo come problema, rendendo già ora visibili fenomeni di neocolonialismo di territorio coltivabile, è l’affermazione della sovranità alimentare che, nella definizione di Via Campesina, è “ il diritto dei popoli a definire le proprie politiche e strategie sostenibili di produzione, distribuzione e consumo di cibo, che garantiscano a loro volta il diritto all’alimentazione di tutta la popolazione”, attraverso la produzione di una quantità sufficiente di alimenti resi accessibili a tutti (sicurezza alimentare). La sovranità alimentare non è questione unicamente del Sud del mondo. Per costruirla a livello globale è necessario che ogni Paese la faccia divenire una pratica concreta rilocalizzando (deglobalizzando) l’agricoltura con modelli sostenibili e orientati alla agrobiodiversità, creando così le condizioni per una graduale inversione di tendenza in grado di riterritorializzare in tutti i Paesi del mondo la produzione di cibo.

Le linee operative per realizzarla debbono: priorizzare le produzioni agricole per il mercato interno orientarsi progressivamente alla diversificazione, sulla base delle caratteristiche produttive e culturali locali, per emanciparsi dalle multinazionali agroalimentari garantire reddito agli agricoltori locali con prezzi remunerativi, disincentivando le importazioni di dubbia qualità e sottocosto sostenere l’agricoltura sostenibile e di piccole dimensioni (complessivamente ad alta intensità di manodopera), anche attraverso le relazioni col consumo critico e responsabile e per evitare le eccedenze produttive superare le sovvenzioni alle esportazioni e abolire progressivamente i sussidi all’agricoltura convenzionale non sostenibile (monocolture e allevamenti intensivi) sostenere il ciclo chiuso contro l’importazione di mangimi, proibendo quelli a base di ogm garantire la trasparenza dell’origine dei prodotti sviluppare economie locali con punti di produzione e vendita locali incoraggiare la filiera corta e il Km 0, puntando ad innalzare radicalmente l’attuale quota di valore destinata alla produzione Non si tratta di autarchia o di localismo rozzo. Si tratta di privilegiare il consumo interno, lasciando alla commercializzazione internazionale prodotti specifici o in surplus, con modelli agricoli che, preservando ambiente, diritti del lavoro, salute, paesaggio naturale, garantiscano la sicurezza alimentare.

Per tutto ciò e’ necessario agire su due fronti: il ruolo pubblico (dai comuni, agli Stati, fino alla Pac del 2013) e l’autorganizzazione mutualistica sociale, basata su modelli relazionali, produttivi e di consumo orientati a diversi stili di vita e sull’economia solidale, anche per tutelare i diritti del lavoro, spesso violati per realizzare prezzi altrimenti inspiegabilmente bassi. I Gap ( gruppi acquisto popolare) a livello nazionale possono e devono realizzare pratiche coerenti con questi indirizzi, soprattutto realizzando reti locali e nazionali a supporto della sovranità alimentare e capaci, attraverso politiche rivendicative verso il pubblico e pratiche di filiera corta, di costruire accesso al cibo di qualità anche agli strati più deboli della popolazione e di sostenere la piccola produzione agricola sostenibile. In questo senso va la proposta di costruzione di una piattaforma per la sovranità alimentare a cui si sta lavorando. Il cibo deve essere considerato un bene comune e la deglobalizzazione dell’agricoltura in direzione della sostenibilità può diventare paradigmatica per la messa in discussione anche dei modelli produttivi delle merci in generale (vedi auto), oggi in crisi di sovrapproduzione. (di Vincenzo Vasciaveo - Comitato scientifico rete GAP)
www.controlacrisi.org

lunedì 1 novembre 2010


 
News

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