Vittime e carnefici E in Sardegna va in scena la guerra del latte.
È forse la più grande vertenza della Sardegna. Riguarda circa 14 mila aziende per non meno di 30 mila addetti. Ma quella dei pastori, a differenza di quella di altri lavoratori, è percepita come marginale. Vige un comportamento presindacale, ognuno per sé e Dio per tutti. E circola l’idea che le rivendicazioni dei pastori del settore ovicaprino non possano essere accolte perché sennò andrebbero estese a tutta l’economia delle campagne, se non oltre. Campagna in crisi profonda, strutturale, bisognosa di interventi finanziari, ma con differenze. I pastori che hanno manifestato a Cagliari e durante l’estate, a più riprese, nei porti ed aeroporti dell’Isola, subiscono una doppia tragedia. Quella di vivere la più grande vertenza in corso, e non riuscire a farla percepire, e quella, decisiva, di vivere la condizione sciagurata di dover pagare per vendere il latte.
Un pastore spende non meno di 80 centesimi per produrre un litro di latte. Gli industriali che lo trasformano lo pagano tra i 60 e i 65 centesimi. Prendere o lasciare. E’ la regione di tutti i problemi: il piede sul collo degli allevatori premuto dagli industriali caseari. Come avviene questa distorsione rispetto a normali regole di mercato? I trasformatori indicizzano il prezzo del latte a quello del pecorino romano, il formaggio a più basso prezzo, che dà meno della metà del fatturato dell’industria casearia. Quindi i trasformatori, anche quando producono formaggi diversi, con altissimi margini di guadagno, pagano il latte al prezzo minimo stabilito dal loro cartello. Una cuccagna, con solo una classe di gaudenti. Di più, non tutti gli industriali producono pecorino romano che, anzi, spesso è prodotto da cooperative. Ma queste ne affidano la commercializzazione a pochi industriali, che rimangono padroni del sistema. Anche in spregio a norme comunitarie che prevedono la fissazione dei prezzi agricoli attraverso accordi interprofessionali.
Un sistema senza mercato, che evidentemente provoca un danno. Un danno che, nell’idea dell’ordine del giorno del centrosinistra in consiglio regionale, approvato con l’astensione della maggioranza, si sarebbe potuto e dovuto indennizzare creando le condizioni per rafforzare la capacità negoziale degli allevatori. Perché non può certo bastare l’indennizzo a pioggia, che lascia il mondo come sta. Anche l’incapacità degli allevatori e delle cooperative di riorganizzare il proprio lavoro ha il suo ruolo, ché forse non basta più solo allevare, mungere e poi fare le rivolte, con qualche furbo in mezzo ai buoni. Però, al di là della guerra sulle cifre che si è scatenata in questi giorni, gli indennizzi ai pastori non sarebbero uno scandalo – e nemmeno quelli all’intero comparto agropastorale - se le risorse fossero nella disponibilità della Regione. Perché la proposta condiziona il finanziamento, in regime di de minimis, alla adesione delle aziende a Organizzazioni di Produttori (OP), esistenti e future. Ma le risorse non si trovano, e Cappellacci ha taciuto questa condizione. Una condizione comunque rimediabile se il presidente pretendesse dal governo Berlusconi il rispetto della legge sul regime delle entrate spettanti alla Sardegna e che lo Stato è obbligato a trasferire (frutto della vertenza sulle entrate chiusa dalla giunta Soru con il governo nazionale). Oltre un miliardo e mezzo di euro per il 2010. Ecco la difficoltà per il de minimis ai pastori.
Per questo si è taciuto, e si è arrivati agli scontri. Intanto l’opposizione ieri ha presentato una proposta di legge con una copertura di 110 milioni per il 2010 e di 86 milioni per il biennio 2011-2012, da attingere da altri capitoli di spesa indicati nel dettaglio. Mentre la giunta Cappellacci e la sua maggioranza nemmeno provano a gestire la crisi e cercare le risorse. Ma le responsabilità della giunta riguardano anche una pratica politica perseguita pervicacemente dall’assessore all’agricoltura Prato: indebolire le organizzazioni di produttori sul versante degli allevatori, lisciando il pelo alle organizzazioni di categoria e agli industriali. È quello che è avvenuto dopo che nella scorsa legislatura, con forte sostegno politico della giunta Soru, si cominciava a profilare la logica di un più equo contemperamento di interessi, con le OP, costituite anche con industriali e cooperative, che erano arrivate a quotare il latte a prezzi più competitivi per i pastori. Una logica che poteva aprire una prospettiva. Così come le misure sul benessere animale, che consentivano una serie di interventi migliorativi di diverso tipo in seno alle aziende di allevamento, citate dall’Unione Europea come esempio di idoneo e migliore utilizzo delle risorse. Strumenti per affrontare una realtà in crisi da tempo. Che oggi è diventata molto più pesante. E intanto a Cagliari stanno per arrivare i precari della scuola e le famiglie dei disabili cui sono stati tagliati 25 milioni per l’assistenza.
www.controlacrisi.org
venerdì 22 ottobre 2010
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