Cerca Contatti Archivio
 
Una "sovversiva" che non muore: Mamma Jones.

Il più diffuso periodico della sinistra statunitense, vincitore di premi prestigiosi per la sua qualità giornalistica, si intitola Mother Jones. Un omaggio, che si perpetua, a uno dei più formidabili personaggi che la storia del movimento operaio americano abbia conosciuto. Mother Jones, soprannome dell’irlandese Mary Harris Jones, ebbe una vita lunghissima, consacrata, a partire dalla mezza età, alle lotte del proletariato e al sostegno dell’ideologia socialista. Non sorprende la presenza di una donna, negli Usa, alla testa delle classi subalterne e dei loro moti rivendicativi. Queste furono moltissime, da Elizabeth Gurley Flynn a Emma Goldman a Emma Florence Langdon, più tante altre meno note, fino ad arrivare ai giorni nostri. Colpisce, piuttosto, l’età non acerba in cui Mother Jones si diede all’attivismo e la coerenza con cui difese le proprie convinzioni fino agli ultimi giorni della propria esistenza, ormai ultranovantenne. In un contesto politico-sociale che definire “ostile” è un eufemismo.

La storia del movimento operaio statunitense, dimenticata da troppi anche in patria, è stata dura e spietata, raggiungendo con facilità e frequenza picchi di ferocia vertiginosi. Un proletariato giovane di formazione e composito dal punto di vista razziale, continuamente rimodellato dai successivi flussi migratori, si trovava a confronto con un padronato anglosassone altrettanto recente di nascita e completamente privo di scrupoli, capace di ricorrere – all’occorrenza, e in totale impunità – all’omicidio, al linciaggio, alla strage. Esisteva poi un nemico più insidioso: una mentalità diffusa, di origine puritana, che vedeva nel successo economico personale l’equivalente di una virtù benedetta da Dio, e in chi lo contrastava una matrice diabolica. Più il razzismo, e un’idea di patria ispirata alla concezione di popolo eletto, con una missione civilizzatrice da compiere non solo in America ma nel mondo intero. Mother Jones si oppose a tutto questo, a partire dal momento in cui la sua famiglia andò in pezzi. Si iscrisse a una famiglia più grande e universale comprendente lavoratori d’ogni razza, ed espresse repulsione per le guerre patriottiche comunque giustificate. Fu “mamma” per i minatori in sciopero, per i bambini costretti a mansioni che li uccidevano, per i ribelli antimilitaristi. Una mamma singolare, però, che non predicava la conciliazione, bensì il conflitto di classe. Sfidò tutti gli stereotipi del suo tempo, dal ruolo della donna a quello, parallelo ma ancora più costrittivo, della donna anziana. Un giudice la chiamò “nonna” per irriderla e compatirla. Lei accolse l’appellativo con orgoglio: era “nonna”, sì, ma niente affatto pacificata. Ebbe a che fare con sceriffi, vigilanti d’ogni specie, guardie nazionali, squadre antisciopero, crumiri, polizia, camere di commercio, agenzie di spionaggio: l’armata immensa, con licenza di uccidere, che uno Stato decisamente di parte poteva mettere in campo contro gli sfruttati in rivolta. Mother Jones, più volte imprigionata, vide all’opera tutta la potenza di una borghesia senza freni nelle fasi, che condivise fino in fondo, della nascita di un movimento operaio americano. Un movimento capace di resistere all’oppressione e di tentare controffensive, a volte vincenti e a volte no: gli Knights of Labor, la Western Federation of Miners, gli Industrial Workers of the World... Proprio gli IWW, o wobblies, segnarono l’identità di una donna anticonformista, che la morale corrente avrebbe voluto, quando non in galera, condannata all’uncinetto o alla cura dei nipoti. Gli wobblies furono gli unici, nella loro epoca, a farsi carico di un proletariato precario, mobile, multirazziale, perennemente cangiante. Espressione americana del sindacalismo rivoluzionario di origine europea, poi transitati verso l’anarcosindacalismo, seppero fino alla prima guerra mondiale aderire alla composizione di una classe che mutava forma e che talora si confondeva con gli hoboes, la massa dei “vagabondi” privi di radici. Li intercettava, grazie a una mobilità territoriale tipicamente americana, nei loro spostamenti geografici e di identità lavorativa repentini e obbligati. Braccianti agricoli, operai di fabbrica, disoccupati, lavoratori occasionali. Sempre dello stesso proletariato dalle mille lingue si trattava, pronto a sparire in un luogo e a riapparire in un altro. Avevano però con loro, grazie agli IWW, un sindacato duttile, capace di adeguarsi a ogni contingenza, e, tra gli altri agitatori, una “mamma” leggendaria: per l’appunto Mother Jones. Il declino, per gli wobblies, sopravvenne con la prima guerra mondiale. Ostili a una partecipazione americana al conflitto, e fedeli all’idea che un lavoratore non debba mai sparare su un altro lavoratore, divennero bersaglio di campagne d’odio sempre più veementi. I loro dirigenti, additati dalla stampa come oggettivi alleati del nemico, furono imprigionati, linciati nelle forme più orribili, condannati a morte o a lunghe detenzioni. La caccia allo wobbly diventò lo sport preferito dell’American Legion, del Ku Klux Klan, di posse di benestanti, per non parlare delle forze dell’ordine “regolari”. Aderire al sindacato diventò sinonimo di tradimento. Mother Jones vide tutto ciò in cui credeva fatto a pezzi, e il riaffacciarsi di forme schiavistiche di lavoro, sotto il pretesto dello “sforzo bellico” e della conseguente, indispensabile “unità nazionale”. Quando fu troppo anziana per partecipare di persona all’attività di chi ancora resisteva, si mise a scrivere, per consegnare a chi sarebbe venuto dopo il ricordo della propria esperienza. Non era mai stata un’ideologa. Queste sue memorie, pubblicate nel 1925, sono più che altro una raccolta di episodi, di bozzetti drammatici, tragici o commoventi, di narrazioni di atti di coraggio. Testimonianza di una passione che la “mamma” degli sfruttati coltivò fino alla morte. Un altro movimento operaio sorse successivamente negli Stati Uniti, e i minatori di Mother Jones si presero, negli anni Trenta, le loro rivincite, con lotte di portata eroica. Si innescarono problematiche diverse, il sistema ora parve aprirsi, ora si chiuse a riccio. La classe operaia rimase esclusa da ogni potere decisionale, e tuttavia certe sue tematiche, come l’eguaglianza razziale o la liberazione femminile, si affermarono anche nel difficilissimo contesto americano. Il nome di Mother Jones ha continuato a circolare, sia pur sommessamente, fino a Seattle 1999 e oltre. Nel 2007 un musical dedicato a lei è stato messo in scena da un gruppo di studenti dei licei del Connecticut. La “nonna” dei movimenti antagonisti degli Usa non si decide a morire del tutto, entra addirittura nell’epica. Buon segno. Significa che persino negli Stati Uniti non tutto è perduto. (di Valerio Evangelisti - tratto da Carmilla 11/07/2010)

Ancora su Mamma Jones. Ripubblicare l’Autobiografia di Mamma Jones in italiano è, dal punto di vista editoriale, una piccola scommessa, perché il libro parla di temi argomenti oggi poco praticati nel dibattico politico e culturale del nostro: lavoro duro, sfruttamento, lotte operaie. Quando il libro venne pubblicato per la prima volta in Italia, nel 1977, il nostro paese viveva ancora la stagione dei grandi scontri sociali iniziati nel 1967. I temi del lavoro erano argomento di discussione viva e quotidiana, e di conflitti anche profondi, e i lavoratori - “la classe operaia”, come voleva il linguaggio d’allora - erano una realtà concreta, anche fisica, presente nelle piazze, nei mezzi di comunicazione e nella letteratura. Gli scioperi nelle grandi fabbriche italiane ricordavano a tutti che c’era gente, tanta, che viveva sudando per guadagnare stipendi sempre modesti in luoghi come fabbriche, cantieri, fonderie. Oggi invece, per la grande massa del pubblico, il lavoro non è più argomento di discussione né culturale, né politica. Quando se ne parla negli immancabili talk-show televisivi, è in maniera asettica, quasi astratta, come se il lavoro esistesse senza persone fisiche: “de-fiscalizzare il costo del lavoro”, “rendere il lavoro più flessibile”, e via discorrendo. Il lavoro, ormai, entra nelle nostre case più spesso attraverso la cronaca nera: operai bruciati in una fonderia, muratori caduti da un’impalcatura, agricoltori morti sotto un trattore, immigrati presi a fucilate. E gli scioperi sono più spesso segnalati solo come difficoltà per i viaggiatori o per gli utenti che devono presentarsi a un ufficio. Il libro, però, mi è sembrato ancora molto attuale, e, penso, utile.

Mamma Jones, dicevo, ci parla per prima cosa di lavoro, e di vita di lavoratori (minatori, soprattutto) e delle loro famiglie. Certo, racconta un periodo lontano nel tempo (ma non così tanto): tra la fine del Novecento e i primi decenni del ventesimo secolo, negli Stati Uniti. I temi che il lettore incontra, però, non sono vecchi: lavoro minorile, immigrazione, razzismo, sfruttamento, controllo economico dei mezzi di comunicazione, intreccio tra finanza e politica, e molti altri ancora. Il tutto visto con gli occhi di una vecchia signora che ha attraversato quella storia, e ce la racconta come la sua storia. Questa, infatti, è l’autobiografia di Mamma Jones, non della sua autrice, Mary Harris Jones. Della sua vita privata Mamma Jones ci dice pochissimo, solo poche pagine all’inizio del primo capitolo, a significare che la sua vita privata non conta in questa storia. Mamma Jones espone qui la sua persona pubblica, e la sua personale versione dei fatti pubblici di quel periodo. E’ un racconto diretto, scritto in maniera semplice, a volte ingenuamente retorico, ma anche divertente (leggete lo scambio nel cap. 22 con il poliziotto che la sta scortando in carcere: “ - Signora, - aveva detto, - vuole darmi il braccio? - Non sono una signora, - avevo risposto io. - Sono Mamma Jones. Il governo non può prendersi la mia vita e lei non può prendermi il braccio; in cambio però può portarmi la valigia.”. Fosse viva oggi, Mamma Jones sarebbe forse a Rosarno, o in qualche cantiere della periferia romana, o in una fonderia del bresciano, perché voleva, per dirla con le sue parole, “essere libera di fare la (sua) parte nella lotta per una società più felice, ovunque questa lotta si combatta”. Post Scriptum. Alcune note finali: il mio suggerimento è di leggere il libro come un romanzo. Alla fine, spero, vorrete saperne di più, e allora potrete leggere la bella Introduzione di Peppino Ortoleva all’edizione del 1977 – un eccellente quadro della storia operaia e sindacale degli Stati Uniti di quel periodo. Il libro non è di facile reperibilità in libreria, ma, insistendo, si ottiene; è comunque disponibile nei negozi elettronici. Più informazioni su www.elytra.it e www.fiorenzoalbani.it dove, per chi volesse leggere il libro in inglese, trovate i link a versioni online del testo originale. Buona lettura. (di Fiorenzo Albani)
www.carmillaonline.com

domenica 11 luglio 2010


 
News

Nuova protesta degli agricoltori a Bruxelles, 250 trattori intorno alle sedi Ue. Roghi davanti all’Eurocamera: polizia usa idranti e lacrimogeni.
Circa 250 trattori hanno bloccano le strade principali del quartiere delle istituzioni Ue a Bruxelles chiamati a manifestare da Fugea, dalla Federazione dei Giovani Agricoltori (FJA), dalla Federazione Vallone dell’Agricoltura ( Fwa), dalla Rete di sostegno all’agricoltura contadina (RéSAP) e dal Coordinamento europeo. >>



Gates e Zuckerberg puntano sull'agricoltura: "Cibo vero solo per ricchi"
Altro che carne sintetica e dieta vegetale. I grandi imprenditori dei Big Data sembrano andare proprio nella direzione opposta. Mentre, infatti, la sostenibilità planetaria spinge le economie a orientarsi verso la produzione di cibo sintetico, loro investono su terreni agricoli e sulla produzione di carne tradizionale di altissima qualità. E naturalmente altissimi costi e ricavi. >>



FPP2 GRATIS, ANNUNCIO DI BIDEN, COSA ASPETTA DRAGHI?
Il presidente USA Biden, raccogliendo la richiesta che da tempo avanza Bernie Sanders, ha annunciato che gli Stati Uniti forniranno mascherine ffp2 gratis ai cittadini. >>