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La decrescita plurale.

La straordinaria conferenza internazionale sulla decrescita, ospitata nei giorni scorsi a Barcellona, ha mostrato le diverse anime della decrescita, ma soprattutto ha messo insieme ricercatori universitari e movimenti del sud del mondo Siamo tornati dalla seconda conferenza internazionale sulla decrescita di Barcellona carichi di energie, qualche speranza e molte domande. La conferenza indubbiamente è stata un successo. Oltre cinquecento persone da tutto il mondo, dall’Europa ma anche dagli altri continenti, spazi concessi sulla televisione nazionale, sulla radio e sulla stampa. La sensazione è che questa conferenza segnerà un passaggio nel storia del movimento. La decrescita esce dalla nicchia, dall’infanzia e si affaccia autorevolmente sullo scenario scientifico culturale, e seppure ancora timidamente su quello politico, mostrando alcune incoraggianti qualità: tensione verso un immaginario condiviso, grande vivacità culturale, capacità di tenere insieme ricerca e attivismo, informazione e testimonianza radicale, Nord e Sud del mondo.

Questo passaggio di scala pone allo stesso tempo nuove domande, o forse, più precisamente, rende alcune vecchie domande non più rinviabili. Barcellona ha mostrato in modo sempre più evidente come il movimento sia composto da differenti anime per il momento ancora disposte a camminare assieme [quantomeno a livello internazionale] ma della cui diversità è bene essere consapevoli. Cominciamo dagli ultimi arrivati, la cui presenza tuttavia si è sentita fortemente sia a Barcellona che, prima ancora, a Londra [nel gennaio scorso]. Si tratta del mondo delle Ong che da tempo lavora sui temi dello sviluppo sostenibile, dell’ambiente, della cooperazione internazionale. Sono organizzazioni in particolare di matrice anglosassone [Nef, Casse, ma anche Anped, Seri…], formate generalmente da professionisti, ma sostenute da un vasto panorama di volontari e da una diffusa credibilità. Hanno buoni rapporti nelle istituzioni e negli ambienti governativi europei, nazionali e locali. Per quanto convinte della necessità di un mutamento di rotta è chiaro che queste organizzazioni non sfuggono da un atteggiamento, almeno in parte, ambiguo: sentono il fascino dell’idea della decrescita ma non ne cologono in pieno la radicalità… sono gli unici a disporre di una qualche capacità organizzativa e si stanno attrezzando per costruire attorno a questo movimento progetti e anche, ovviamente, a ottenere finanziamenti. A questo mondo possiamo affiancare quello delle Università, della ricerca, dell’economia ecologica in particolare, che inizia a interessarsi di decrescita e a cui è stata affidata – non a caso – l’apertura della conferenza. La legittimazione che la «discesa in campo» di alcuni degli ambienti più avanzati dell’Accademia porta con sé è sentito con grande speranza, ma, al tempo stesso, desta qualche perplessità tra i militanti. Un ruolo centrale ha giocato in questo processo l’Icta, fondata a Barcellona da Joan Martinez-Alier, già presidente dell’International Society of Ecological Economics, un Istituto di Ricerca con rapporti stretti e articolati con il mondo delle Ong.

In generale possiamo dire che questi due mondi condividono una visione della decrescita come necessaria transizione verso un’economia compatibile con i limiti imposti dalla biosfera [molti parlano a questo proposito di transizione verso uno «stato stazionario»] senza tuttavia che ciò comporti una rimessa in discussione delle istituzioni esistenti [capitaliste]. Generalmente interessati e competenti sui temi dei limiti ecologici alla crescita, e alle volte sulle questioni dell’equità sociale, queste organizzazioni hanno mostrato sin’ora scarso interesse per la critica della società e delle istituzioni esistenti e ancor meno per i temi legati alle rappresentazioni e all’immaginario collettivo. Speculare a questo mondo abbiamo visto e ascoltato il vasto panorama degli attivisti… di coloro che si impegnano in vario modo nelle «buone pratiche» della decrescita, nei mille rivoli dell’associazionismo. Questo «popolo della decrescita» era presente a Barcellona sicuramente di più di quanto non fosse a Parigi nel 2008 – grazie anche ai molti legami del comitato organizzatore [Reserch & Degrowth] con le reti sociali catalane, [presenti in forza in particolare nei gruppi di lavoro e nel supporto organizzativo alla conferenza], ma non solo. Semplificando un poco mi sembra si possa affermare che questo mondo informale condivide una visione della decrescita in cui la trasformazione è vista come una fuoriuscita dall’immaginario economicista e un’occasione per rimettere radicalmente in discussione le istituzioni esistenti. Si tratta, non a caso, sopratutto di italiani, ma anche di francesi e spagnoli. Nonostante il pregevole lavoro di mediazione la tensione tra queste due anime si è sentita e si sentirà ancora più forte in futuro. Nelle prossime settimane capiremo se queste due anime riusciranno a giungere, o meno, ad una Dichiarazione comune [potete seguire gli sviluppi sul sito www.degrowth.eu]. In questa cornice si è posto, in un incontro informale post-conferenza, il tema della (eventuale) costituzione di una rete internazionale della decrescita. L’incontro, partecipato sopratutto da attivisti, ha mostrato come sia forte la consapevolezza, tra i militanti, che la costituzione di una rete internazionale è un processo i cui esiti non possono essere decisi a priori a tavolino, né tanto meno controllati da un unico centro. Nonostante il desiderio di continuare a incontrarsi e scambiare esperienze, documenti e buone pratiche sia forte e condiviso, nessuno dei presenti ha mostrato il desiderio di procedere verso una nuova «Internazionale della Decrescita». E questo mi sembra un primo passo nella giusta direzione.

Sicuramente significative [rispetto a Parigi 2008] le presenze di alcune voci dal Sud del mondo [America latina, India]. Significative innanzitutto perché ci hanno restituito il senso di una comprensione più intuitiva di cosa significhi la decrescita [e di una adesione più entusiasta] di quanto noi stessi siamo capaci. I popoli del Sud e in particolare le minoranze indigene percepiscono la decrescita come un processo di «decolonizzazione culturale», ma anche di radicale liberazione dalle oppressioni economiche e sociali connesse alla megamacchina capitalista. Una visione, quindi, che spiazza dall’interno le tradizionali obiezioni, provenienti solitamente dal Nord, sul bisogno che – almeno il Sud – avrebbe ancora dello sviluppo. Davvero notevole [e qualificata] la partecipazione italiana: circa cinquanta tra amici e amiche in vario modo connesse alla Rete per la Decrescita: tra gli altri: Marco Deriu, Gianni Tamino, Ferruccio Nilia, Paolo Cacciari [il cui libro «Decrescita o barbarie», edito da Carta, è stato tradotto e presentato a margine della conferenza], numerose anche le realtà locali [come il nodo del Friuli Venezia Giulia o il costituendo Tavolo di Rieti], molti giovani studenti o dottorandi, alcuni anche passati attraverso le precedenti edizioni della Scuola Estiva. Tutto questo lascia ben sperare per il futuro al punto che – nonostante le tristi notizie che arrivavano in quelle ore sull’esito delle elezioni regionali – abbiamo avanzato la nostra candidatura a organizzare la prossima conferenza internazionale in Italia. Se non fosse che non crediamo nelle magnifiche e progressive sorti [neppure per la decrescita] verrebbe da dire, Avanti! (di Mauro Bonaiuti)
Carta

giovedì 8 aprile 2010


 
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