Il riso «coreano»
La produzione di riso della Corea del sud è aumentata quest'anno del 10%, per la prima volta dal 2005, nonostante che l'estensione di terra arabile nel paese continui a ridursi. Lo annunciava in agosto il governo sudcoreano. Ma non si pensi che la Corea abbia trovato la formula magina per aumentare la produttività delle sue risaie, tecniche agricole d'avanguardia, varietà di riso a rendimento straordinario. La produzione di riso è aumentata per il semplice fatto che Seoul non mette sotto la voce «import» il riso coltivate da aziende agricole coreane - ma a Sulawesi (Indonesia) o in Madagascar o altrove, su terre acquisite in paesi terzi.
In questo senso la Corea del sud è davvero all'avanguardia. Parliamo della corsa a investire in grandi estensioni di terre agricole: di solito consorzi di investitori privati (a volte pubblici, o misti) di paesi benestanti ma a corto di terra produttiva, o comunque dipendenti da importazioni alimentari, che cercano di acquisire considerevoli porzioni di terra arabile in paesi per lo più poveri ma fertili. C'è chi lo considera un investimento come tanti altri (magari più sicuro di tanti altri, di questi tempi...), chi ne fa un elemento chiave delle strategie di autosufficenza alimentare - o, al contrario, chi lo vede come una violazione dei diritti umani fondamentali, magari una nuova forma di imperialismo. Il trend ha un nomignolo: «landgrabbing», accaparramento di terre. E molte organizzazioni della società civile impegnate nella difesa del mondo agricolo considerano che andrebbe catalogato come una violazione dei diritti umani, nel senso che è un attentato a uno dei diritti umani fondamentali - il diritto alla terra e alla sopravvivenza. La cosa risulta chiara se si guardano alcuni degli esempi elencati dal sito www.farmlandgrab.org (è un blog, con aggiornamenti quotidiani, istituito dalla rete Grain, cui si deve anche uno dei primi studi sul «landgrab e finanzial security», nel 2008).
La Corea del sud è uno caso da manuale: paese non grande, densamente popolato e molto industrializzato, è diventato sempre più dipendente dall'importazione di derrate alimentari. Cosa che ha allarmato i governanti sudcoreani, e si capisce, tanto più quando è stato chiaro nel 2008 che il corso delle derrate agricole poteva salire in modo vertiginoso, un po' per l'aumento della domanda globale, un po' per le oscillazioni nella produzione (vedi caos climatico, siccità, disastri) e un po' per la tendenza dei mercati a lanciarsi in speculazioni. Così il governo di Seoul ha cominciato un paio d'anni fa a incoraggiare grandi acquuisizioni di terre agricole. L'esempio più noto e controverso di questa strategia è il Madagascar, dove l'anno scorso il gruppo Daewoo ha annunciato accordi per prendere 1,3 milioni di terra arabile in leasing per 99 anni. Ovvero: quasi metà della terra arabile del Madagascar, paese dove tre quarti (73%) della popolazione vive in aree rurali e dipendende dall'agricoltura, e il 37% della popolazione totale è «sottonutrito», sarebbe stata trasformata in grandi piantagioni di palma da olio, mais e riso, ovviamente per l'esportazione. Il piano ha avuto una parte non indifferente nelle turbolenze politiche dell'ultimo anno, le proteste antigovernative che hanno portato alla fuga del presidente Marc Ravalomana (il suo successore, Andry Rajoelina, ha cancellato la concessione, appena andato al potere: ma sembra che Daewoo vi abbia ancora oltre 200mila ettari di terra). Altre terre sta trovando in Tanzania, in Siberia orientale, Indonesia, Filippine. Una nuova forma di accaparramento di risorse naturali - la terra.
(di di Paola Desai)
Il Manifesto
venerdì 11 dicembre 2009
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